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Ai Piedi degli Dei

  • Ai Piedi degli Dei

    L'arte della calzatura tra antica Roma, cinema colossal e moda contemporanea

    Ai Piedi degli Dei
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    Intro

    Le scarpe dicono molto della persona che le indossa. La forma, il colore, il materiale con il quale sono realizzate o le decorazioni che le ornano rivelano il sesso del loro proprietario, il suo mestiere, la sua condizione economica e il suo gusto estetico. Queste considerazioni, valide per qualsiasi epoca, sono particolarmente vere per il mondo greco e romano che produsse una varietà di tipi e modelli rimasta ineguagliata sino all’età moderna. L’arte calzaturiera era, infatti, il frutto di un raffinato sapere tecnologico, i cui prodotti andavano ben oltre l’esigenza di proteggere il piede, per divenire veicoli di valori simbolici articolati e complessi.

    Questi presupposti sono particolarmente utili anche per una migliore comprensione dell’arte classica. Attraverso il modello di scarpa indossato, le statue greche e romane ci svelano dettagli spesso trascurati anche dagli studiosi più attenti, fornendoci dati importanti per una più precisa definizione cronologica dell’opera (o del suo archetipo) e per un più esatto inquadramento dello status sociale, economico o etnico del proprietario di quelle calzature. Può sembrare paradossale, me non è affatto azzardato affermare che, dal solo frammento di un piede calzato di una scultura, sia possibile avere un’idea piuttosto precisa di quello che era il soggetto della statua, della sua datazione e dell’ambito culturale nel quale la scultura fu creata.

    Sono queste le considerazioni alla base di questa Ipervisione che si propone di analizzare alcune fra le più celebri statue della Gallerie degli Uffizi da un punto di vista completamente inedito: quello dei piedi!

    Questa mostra virtuale ha la sua naturale prosecuzione nell’esposizione “Ai piedi degli dei”, visitabile nei locali del Museo della Moda e del Costume fino al prossimo 27 settembre. In quella sede, sarà possibile avvicinarsi concretamente alla conoscenza della storia, del ruolo sociale e della valenza simbolica della calzatura a partire dal mondo classico sino al contemporaneo. La mostra, incentrata su un tema tanto affascinante quanto inedito, vuole infatti raccontare gli infiniti ruoli che la scarpa ha rivestito in Occidente dai tempi antichi ai giorni nostri, attraverso una eccezionale selezione di oltre 80 opere che accompagneranno il visitatore in un inusuale cammino attraverso la storia e il mito classico.

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    Demetra tipo Uffizi

    Arte Romana
    Metà del II secolo d.C.
    Marmo greco

    Uffizi, Inv. 1914 n. 231

    La statua, nella quale nel Settecento si volle riconoscere la dea Giunone, è oggi identificata in un tipo iconografico che raffigura la dea della fertilità Demetra e che prende il nome di “Demetra-Uffizi”. Questo tipo fu creato in età romana, probabilmente intorno alla metà del II secolo d.C., rielaborando un modello greco di età classica (V secolo a.C.) ispirato alle Korai dell’Eretteo.

    La testa e le braccia sono frutto del restauro settecentesco operato dallo scultore e architetto attivo alla corte di Cosimo III de’ Medici, Giovan Battista Foggini.

    La dea è raffigurata stante e il peso insiste sulla gamba destra lasciando flessa e leggermente arretrata la sinistra, in una posa che ruotava il corpo leggermente verso destra e cui doveva seguire una corrispondente torsione del collo e della testa.

    La figura è vestita di un morbido peplo che ricade in vita mediante un arco con gorghi di pieghe. Sulle spalle è poggiato un corto mantello che scende lungo la schiena. Poiché la parte posteriore della scultura è lavorata con minor cura, appare verosimile che l’opera trovasse la sua originaria collocazione all’interno di una nicchia. La mano sinistra, integrata dal Foggini, doveva in principio reggere un attributo, probabilmente una patera, il piatto usato per i rituali sacrificali di età romana.

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    Demetra tipo Uffizi

    L’orlo della vesta lascia scoperte le dita del piede destro e tutta la parte anteriore del piede sinistro, consentendo di apprezzare parte dell’elegante modello di calzatura indossato dalla dea. Questo consiste in un paio di solea o sandalia, sandali simili ad odierni infradito e diffusi nel mondo classico. I sandalia erano composti da una suola in legno o in cuoio, più o meno alta, ancorata al piede mediante lacci passanti tra il primo e il secondo dito. Si rivela interessante la mancanza della resa delle corregge della calzatura che, con ogni probabilità, dovevano essere realizzate a pittura. La fattura del sandalo, costituito da un’alta suola a più strati, è peculiare della moda femminile. Le fonti antiche raccontano infatti che questo genere di suola fosse particolarmente apprezzato dalle donne di bassa statura.

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    Demetra tipo Uffizi

    Piede destro con suola di sandalo
    I secolo d.C.
    Marmo
    Uffizi

    Esempi di solea o sandalia simili a quelli indossati dalla Demetra fiorentina sono esposti presso la mostra “Ai Piedi degli Dei”. Uno di questi è rappresentato dal piede destro con suola di sandalo appartenente alla collezione delle Gallerie degli Uffizi, la cui foggia dimostra la pertinenza a una figura muliebre. Anche in questo caso l’assenza della caratterizzazione dei lacci rivela che questi dovessero essere dipinti.

     

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    Demetra tipo Uffizi

    Frammento di piede sinistro con sandalo 
    IV-III sec. a.C. 
    Bronzo 
    Catanzaro, Museo Archeologico Provinciale (MARCH)

    Un ulteriore esempio è fornito dal frammento di piede con sandalo in bronzo, datato tra il IV e il III secolo a.C., del museo di Catanzaro. In questo esemplare le corregge a saetta si allacciano, mediante un elaborato nodo, al cordino che separava il primo e il secondo dito.

     

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    Guerriero ferito

    Arte Greca
    Marmo pario  

    Uffizi, Inv. 1914, n. 232

    La statua del guerriero ferito - parte della collezione granducale già dal 1676 - è un originale greco datato alla metà del V secolo a.C.. Essa spicca per il suo aspetto composito, dovuto senza dubbio dall’unione di un torso classico vestito di uniforme militare greca (corazza e corto chitone) e di una testa di barbaro di epoca ellenistica. La posizione del corpo risponde all’iconografia del guerriero colpito e in particolare il soggetto doveva mostrarsi in atteggiamento di resistenza dopo esser stato trafitto da una lancia alla coscia, della quale rimangono poche tracce. Le braccia sono frutto di due interventi distinti di restauro, ma nella loro disposizione ricalcano grossomodo quella originale. Anche per quanto riguarda la testa, antica ma non pertinente, il restauratore è riuscito a ricostruirne la posizione originale, rivolta verso sinistra.

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    Guerriero ferito

    Ai piedi del guerriero si riconoscono le krepídes, sandali che ebbero grande diffusione, particolarmente adatti alle lunghe marce e dunque spesso indossati in ambito militare. Nella scultura in oggetto è originale solo la porzione della caviglia e del tallone destro, ma il restauratore seppe riconoscere e integrare il modello. L’allacciatura si trova in corrispondenza della caviglia dove, peraltro, si nota anche la presenza di un calzino al di sotto dei listelli intrecciati. Tale indumento, però, non fu poi riprodotto nella porzione integrata dal restauro post-antico. Noto con il nome di pellytron, questo calzino aveva la funzione di fodera protettiva dallo sfregamento contro i lacci in pelle e poteva coprire per intero le dita o lasciarne scoperta la punta. 

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    Guerriero ferito

    Rilievo con pastore seduto
    Fine del I secolo d.C. - inizi del II secolo d.C.
    Marmo
    Uffizi

    Il suo impiego trova puntuali confronti nel Rilievo con pastore seduto degli Uffizi e nel piede bronzeo di Bologna, esposti alla mostra “Ai piedi degli Dei”. In questi casi le krepídes presentano una tomaia a listelli che copre anche le dita.

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    Guerriero ferito

    Piede di statua con calzatura militare e sperone 
    I-II secolo d.C
    Bronzo 
    Bologna, Museo Civico Archeologico

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    Esculapio Giustini

    Arte Romana
    I secolo d.C.
    Marmo greco 

    Uffizi, Inv. 1914, n. 247

    La statua ritrae il dio Esculapio in posizione stante, panneggiato e accompagnato dal suo caratteristico bastone con la serpe attorcigliata. Si tratta di una replica romana di un originale greco di fine V secolo a.C. Lo stato di conservazione dell’opera è straordinario, tant’è che i restauri sono circoscritti a poche integrazioni. La resa quasi metallica di alcuni dettagli del volto, quali le labbra e le arcate sopraccigliari, uniti all’aspetto del panneggio, inducono a supporre che l’originale tardo-classico da cui il copista prese ispirazione fosse realizzato in bronzo; la replica romana, d’altra parte, sembra collocarsi entro il I secolo d.C.

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    Esculapio Giustini

    Ai piedi di Esculapio si riconoscono le krepídes, sandali di origine greca, noti fin dal VI secolo a.C. e successivamente adottati a Roma con il nome di crepidae. Si tratta di un modello particolarmente adatto a lunghe camminate, attestato sia in ambito civile che militare; era caratterizzato da listelli variamente intrecciati sul piede, che conferivano alla tomaia [parte superiore della calzatura, solitamente realizzata in cuoio ndr] un caratteristico aspetto a rete. Se numero, spessore e trama dei listelli variano nel tempo, il reticolo a copertura del tallone, invece, rimane una caratteristica costante. Nell’opera in oggetto il sandalo è allacciato alla caviglia e l’intreccio dei listelli chiude il piede lateralmente e lascia ben in evidenza la parte superiore delle dita. È inoltre visibile una linguetta, la lingula, che dall’allacciatura scende a coprire parte del dorso del piede e che costituisce un particolare di gusto prettamente romano. 

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    Esculapio Giustini

    Piede calzato di statua virile colossale
    Prima metà del II secolo d. C.
    Bronzo 
    Brindisi, Museo Archeologico Francesco Ribezzo

    L’ampia apertura sulle dita e la presenza della lingula sul dorso avvicinano queste calzature alla crepida del piede bronzeo da Brindisi, esposto alla mostra “Ai Piedi degli Dei” e di dimensioni colossali.

     

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    Bacco e Satiro

    Arte Romana
    Prima metà del II secolo d.C.
    Marmo pentelico, 185 cm

    Uffizi, Inv. 1914, n. 246

    Il gruppo statuario ritrae un giovane Bacco, nudo ed ebbro, rappresentato nell’atto di reggersi ad un piccolo satiro. L’opera fu acquistata dal Granduca Ferdinando I de' Medici e la prima notizia certa della sua presenza in Galleria si data al 1704.
    L’incredibile stato di conservazione ha reso necessari pochi interventi di restauro, limitati all’integrazione di parte delle gambe di Bacco e del braccio destro del satiro. Se la tecnica di esecuzione consente di datare questa copia romana nella prima metà del II secolo d.C., è invece dibattuta l’individuazione dell’archetipo greco.

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    Bacco e Satiro

    È interessante il tipo di calzari indossati da Bacco, i mullei. Si tratta di una calzatura romana attestata unicamente in scultura e in genere associata a personaggi ritratti in veste miliare, in contesto venatorio oppure dionisiaco; il termine deriva dal mullus, un tipo di triglia di cui riprendeva il colore rosso. La forma è quella di uno stivale alto, caratterizzato da una robusta tomaia [parte superiore della calzatura, solitamente realizzata in cuoio ndr] e un’allacciatura frontale che poteva coprire le dita del piede o lasciarle in vista. L’elemento certamente più peculiare del modello era la fodera conformata a pelle felina, pendente dal bordo superiore del calzare. Tale aspetto è presumibilmente la traduzione più aulica e “da parata” dello stivale greco con risvolto, l’embás. La particolarità che rende unico il modello calzato dal Bacco risiede senza dubbio nelle decorazioni laterali che, anziché avere la forma canonica di zampa felina, presentano una sagoma fallica in linea con la sfera dionisiaca.

    Un singolare anello reso a squame chiude la calzatura a metà polpaccio: l’allacciatura frontale è costituita da un elemento circolare stretto tra le fauci di due teste canine affrontate.

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    Mercurio

    Arte Romana
    I-II secolo d.C.
    Marmo greco

    Uffizi, Inv. 1914, n. 147

    La statua ritrae Mercurio in posizione di riposo, stante e nudo, dotato del tipico copricapo alato e di un mantello che ne copre la spalla sinistra e il corrispettivo braccio. Nella mano sinistra stringe il caduceo che, nonostante sia frutto di restauro, è in linea con l’iconografia del dio. Il braccio destro è moderno e la posizione scelta per la sua integrazione non corrisponde a quella originaria: sul lato destro del copricapo, infatti, sono presenti tracce di un antico attacco che suggeriscono che il braccio fosse sì sollevato ma con la mano destra adagiata sul capo. 

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    Mercurio

    Tradizionalmente gli attributi più noti di Mercurio sono i calzari alati, ma in questo caso il dettaglio delle ali è applicato direttamente alle sue caviglie. Delle quattro presenti, tre sono integrazioni moderne su attacchi antichi, mentre solo quella interna destra è originale. L’opera, giunta a Firenze alla fine del Settecento, è una replica romana - datata ad età antonina sulla base della resa del panneggio - di un originale greco di IV sec a.C. 

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    Mercurio

    L'Etrusco (Fernando Baldi)
    Manifesto pubblicitario per Salvatore Ferragamo
    2013
    Acrilico e tempera su tela
    Firenze, Museo Salvatore Ferragamo

    Pur avendo un’origine così antica, l’immagine del piede – o del calzare – alato ancora oggi affascina in qualità di simbolo di velocità e libertà: divenne addirittura il soggetto del celebre Manifesto pubblicitario per Salvatore Ferragamo e pure un vero e proprio sandalo, entrambi esposti nella sezione “Moda” della mostra “Ai piedi degli Dei”.

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    Mercurio

    Salvatore Ferragamo
    Flash
    2013
    Sandalo in capretto con ali 
    Firenze, Museo Salvatore Ferragamo

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    Statua femminile con ritratto ideale

    Arte Romana
    Metà del II secolo d.C.
    Marmo greco. Altezza: cm 180

    Uffizi, Inv. 1914 n. 30

    La scultura, precedentemente posta a ornamento del giardino della Villa medicea di Pratolino, arrivò nelle Gallerie degli Uffizi durante la seconda metà del Settecento, quando fu collocata nel Corridoio di Ponente (detto anche Terzo Corridoio).

    L’opera rappresenta una figura femminile stante e di grandezza uguale al vero. Il volto, dal ritratto ideale, è ovale e pieno, rivelando una bellezza senza età. La capigliatura è divisa da una scriminatura centrale e sottili ciocche mosse scendono ai lati del volto sino a ricoprire le orecchie. Il peso del corpo insiste sulla gamba destra, mentre la sinistra rimane flessa e leggermente arretrata. La giovane donna è vestita con un pesante chitone quasi interamente coperto da un lungo mantello che ricade sul capo e avvolge completamente il busto e il braccio destro. Rimane scoperto solo il pollice della mano sinistra che, frutto di restauri moderni, regge una patera, oggetto legato alla sfera sacra e rituale.

    Il tipo iconografico è piuttosto raro e l’opera fiorentina rappresenta una copia di età romana, ascritta alla metà del II secolo d.C., il cui archetipo deve essere ricercato nella statuaria funeraria della Grecia del IV secolo a.C. La testa e il busto coperti dal mantello sono l’espressione della castitas e della pudicitia, le qualità esemplari incarnate dalle matrone romane quali immagini di rettitudine morale e di pietas.

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    Statua femminile con ritratto ideale

    La figura indossa un paio di sandalia o solea, calzature simili agli odierni infradito, che il buon costume romano imponeva di usare solo in contesti domestici. Il modello calzato dalla donna è caratterizzato da un’alta suola dal profilo sagomato che distingue il primo dito dal resto del piede. Un piccolo dettaglio impreziosisce la sobria calzatura: si tratta di un’applique a foglia d’edera, che poteva essere variamente realizzata in cuoio o in metalli più o meno pregiati.

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    Statua femminile con ritratto ideale

    Frammento di piede con sandalo
    I - II secolo d.C.
    Marmo
    Roma, Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano

    Un esemplare simile può essere riconosciuto nel frammento di piede in marmo con sandalo appartenente alla collezione delle Terme di Diocleziano e oggi esposto presso la mostra “Ai Piedi degli Dei”. Anche in questo caso, la calzatura è ornata da una piccola applique a foglia di fico. L’esemplare, probabilmente pertinente a una figura femminile, presenta ancora le tracce del pigmento rosso che doveva dare colore alla suola del sandalo.

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    Statua femminile con ritratto ideale

    Vaso plastico a forma di piede con sandalo
    III secolo a.C.
    Ceramica
    Firenze, Museo Archeologico Nazionale

    Un ulteriore esempio della varietà dei modelli di sandalia in uso in età antica è fornito dal piccolo vaso a forma di piede con sandalo ascritto al III secolo a.C. e caratterizzato da due elementi decorativi terminanti in una voluta. Il contenitore, di probabile fabbricazione magno greca o siceliota e funzionale al contenimento di liquidi, era verosimilmente impiegato nel corso di cerimonie rituali e religiose.

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    Putto incatenato

    Arte Romana
    Metà del II secolo d.C.
    Marmo greco 

    Palazzo Pitti, Tesoro dei Granduchi
    Inv. 1914 n. 1059

    La statuetta rappresenta un bambino piangente incatenato al piede e alla vita. L’opera, già presente nell’inventario del 1588 di Villa Medici a Roma dove è ricordata come uno “stiavetto”, fu trasferita entro il 1625 nella sala terrena della Villa del Poggio Imperiale a Firenze, dove rimase sino alla metà dell’Ottocento, quando fece il suo ingresso a Palazzo Pitti.

    Il fanciullino è completamente nudo; solo il braccio sinistro è avvolto da un mantello i cui lembi ricadono su un pilastrino, decorato da una ghirlanda, da un paio di orecchie e da un bucranio.

    Nella singolare immagine si può riconoscere la complessa allegoria di Amore che, incatenato e privato delle ali, si asciuga le lacrime con la mano destra. La punizione a cui fu soggetto il piccolo dio è nota da alcuni frammenti dell’Antologia Palatina, una raccolta di epigrammi greci del X secolo d.C., nei quali si racconta che la dea della vendetta Nemesi punì Amore, causa dei tanti tormenti degli amanti. L’episodio è noto, inoltre, da altre opere antiche che lo rappresentano con le mani legate dietro la schiena o addirittura fustigato, un tema iconografico che, successivamente, ebbe successo in età rinascimentale.

    L’opera scultorea rappresenta una replica romana della metà del II secolo d.C. di un originale greco di età ellenistica (I secolo I a.C.). Diverse sono state le interpretazioni in merito al luogo dove la statuetta di Amore dovesse essere esposta in età antica: se infatti la presenza della ghirlanda e del bucranio sul pilastrino suggerirebbero la collocazione dell’opera in un contesto sacrale, i nastri di cuoio che stringono le ciocche mosse del bambino - alla stregua delle cuffie indossate dagli atleti greci - sembrerebbero indicare che almeno l’archetipo fosse esposto in un ginnasio.

    La figura calza un paio di krepides o crepidae, un sandalo indossato in età greca e romana caratterizzato da una serie di corregge in cuoio che, variamente intrecciate, assicuravano il piede alla suola. Talvolta, le krepides, come nel caso della statuetta di Palazzo Pitti, presentavano una linguetta che correva lungo il collo del piede e che aveva la duplice funzione di essere un elemento ornamentale della calzatura e di proteggere il piede dagli sfregamenti contro i lacci. Nella tarda età repubblicana, Cicerone criticò aspramente l’uso delle krepides che, essendo una moda introdotta a Roma su imitazione dei costumi greci, divenne il simbolo di una vita lasciva.

    Putto incatenato
    Tesoro dei Granduchi | Palazzo Pitti
    Scheda opera
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    Putto incatenato

    Piedi incrociati con krepídes
    Metà del II secolo a.C.
    Terracotta
    Arezzo, Museo Archeologico Nazionale " Gaio Clinio Mecenate"

    Un esempio di krepides è fornito da un’elegante opera in terracotta rinvenuta nell’area sacra della Catona di Arezzo e oggi esposta presso la mostra “Ai Piedi degli Dei”. Si tratta di due piedi, pertinenti a una figura maschile seduta con le gambe incrociate, che doveva far parte del frontone di un tempio della metà del II secolo a.C.

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    Baccante (cosiddetta Ariadne)

    Arte Romana
    I secolo d.C.
    Marmo pentelico, 201 cm

    Uffizi, Inv. 1914, n. 122

    La statua della Baccante, in origine identificata con la figlia di Minosse Ariadne, è una replica romana del I secolo d.C. di un originale greco in bronzo di età ellenistica; ritrae una figura femminile vestita di un lungo chitone stretto sotto il seno e fermato sulle spalle. La testa - antica ma non pertinente - presenta una corona di grappoli d’uva che ben risponde all’identità del soggetto. Le braccia sono frutto di restauro ma integrate in linea con la lettura dionisiaca della figura, come dimostra il graspo stretto nella mano destra. Il braccio sinistro, tuttavia, in origine doveva essere abbassato nell’atto di reggere un lembo della veste con la mano. 

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    Baccante (cosiddetta Ariadne)

    Al di sotto delle realistiche e chiaroscurate pieghe del panneggio si intravedono le calzature conosciute con il nome di soleae o sandalia, un modello che ricorda da vicino i moderni infradito e che trovò diffusione in ambito greco, etrusco e poi romano. Indossati da donne e uomini, se ne conoscono numerose varianti che si distinguono per la disposizione e il numero dei listelli, e per la forma e lo spessore della suola. Gli esemplari in oggetto presentano due semplici cordini che si congiungono, tra primo e secondo dito, in una applique decorativa di forma romboidale.

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    Baccante (cosiddetta Ariadne)

    Frammento di piede sinistro con sandalo
    IV-III secolo a.C.
    Bronzo
    Catanzaro, Museo Archeologico Nazionale Provinciale (MARCH)

    La suola è spessa e presenta una sagomatura che distingue chiaramente l’alluce dal resto delle dita, caratteristica che compare a partire dall’età ellenistica. I due esemplari ascrivibili a questo modello ed esposti alla mostra “Ai Piedi degli Dei” sono entrambi riferibili a figure femminili e consentono di apprezzare l’elaborata lavorazione dei cordini e dei nodi di congiunzione.

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    Baccante (cosiddetta Ariadne)

    Frammento di piede con sandalo
    I-II secolo d.C.
    Marmo
    Roma, Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano

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    Statue di Daci prigionieri

    Arte Romana
    Prima metà del II secolo d.C.
    Porfido rosso (corpo) marmo bianco (testa, avambracci e mani)

    Giardino di Boboli, Inv. Boboli n. 8

    Probabilmente ritrovati durante alcuni scavi condotti a Roma per volontà del cardinale Andrea Della Valle, la coppia di statue di Daci prigionieri fu acquistata da Ferdinando de’ Medici nel 1584 per decorare la facciata della sua villa sul Pincio. Alla fine del Settecento, Pietro Leopoldo d’Asburgo ordinò il trasferimento delle due sculture a Firenze, dove Francesco Carradori ne operò il restauro. Originariamente fecero parte di un progetto - mai portato a termine - che le vedeva esposte nella Loggia dei Lanzi, quali allegorie del trionfo della monarchia asburgica e della cristianità. A partire dal 1819 furono poste, su alti basamenti antichi non pertinenti, a ornamento dell’ingresso del Giardino di Boboli.

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    Statue di Daci prigionieri

    Le figure dei due Daci, realizzate in pregiato porfido rosso, sono stanti e presentano opposte ponderazioni del corpo. La testa leggermente rivolta verso il basso, i lineamenti contratti del volto e le mani incrociate mostrano dolore e sottomissione, ma, al contempo, fierezza e dignità. Un Dace, dalla barba lunga e dalle rughe profonde che ne denunciano l’età avanzata, indossa il pileus, un copricapo dalla punta afflosciata e piegata in avanti indossato dai personaggi di rango elevato. L’altro, dalla barba folta ma più corta, porta i capelli lunghi che ricadono sulla fronte e scendono lungo il collo.

    Entrambe le figure indossando una tunica manicata, stretta in vita e ricoperta da un pesante mantello appuntato sulla spalla destra che lascia scoperto il braccio corrispondente, avvolgendo invece il torso e il braccio sinistro per poi riscendere lungo la schiena sino a terra.

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    Statue di Daci prigionieri

    Al di sotto della tunica si distinguono le lunghe brache, una sorta di pantaloni peculiari dell’abbigliamento barbarico, strette alla caviglia dai lacci dei calzari, qui rappresentanti attraverso eleganti scarpe chiuse e stringate. Queste, come il resto degli indumenti, dovevano far parte di un sontuoso abbigliamento riservato solo ai personaggi barbari di più alto rango e non trovano perciò confronti con le calzature indossate dai cittadini romani.

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    Statue di Daci prigionieri

    Stivale militare 'Allendale'
    105-120 d.C.
    Cuoio, ferro
    Bardon Mill, Roman Vindolanda Fort and Museum

    Solo la foggia può ricordare, seppur da lontano, il basso Stivale militare "d’altura" ritrovato nel forte romano di Vindolanda. Il modello, chiuso e adatto al clima freddo-umido, fu, dopo la caliga, lo stivale più comune fra le milizie romane in forza nelle province nordoccidentali.

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    Sarcofago con scene di vita di un generale romano

    Arte Romana
    165-185 d.C.
    Marmo pentelico

    Uffizi, Sala della Niobe, Inv. 1914 n. 82

    L’elegante sarcofago, precedentemente appartenuto alla collezione del cardinale Della Valle, fu posto a ornamento del giardino di Villa Medici sul Pincio almeno a partire dalla fine del Cinquecento. Dopo essere stato restaurato da Francesco Carradori, tra il 1780 e il 1783 fu trasportato a Firenze per essere infine collocato, nel 1784, nella Sala della Niobe.

    Il grande sarcofago fu scolpito in un unico blocco marmoreo da un atelier attivo a Roma tra il 165 e il 185 d.C. La fronte e i lati brevi sono decorati con scene che raffigurano i momenti più importanti della vita del defunto, un generale romano, dalla sua infanzia sino alla piena maturità.

    Su uno dei lati brevi sono raffigurate le scene della cerimonia del bagno e dell’educazione letteraria. Il bambino a nove giorni dalla nascita era immerso in un bacino pieno d’acqua, sancendo così l’ingresso del neonato nella comunità dei cittadini. Appena divenuto adolescente, il fanciullo era avviato alla letteratura e al teatro da un precettore. Sul lato opposto, è raffigurata una scena di armamento: in un accampamento, due aiutanti preparano all’imminente battaglia il generale, ormai divenuto adulto. Seguono la scena della caccia al cinghiale, a simboleggiare il coraggio e la forza fisica che contraddistinse il defunto in vita, e le scene legate alle sue virtù morali, come la clemenza nei confronti dei vinti e la pietà verso gli dei, ai quali offre sacrifici espiatori. Sul lato principale è raffigurata la scena del matrimonio. La sposa, dal capo velato, è dolcemente sospinta dall’ancella e unisce la sua mano destra a quella del generale, nel gesto della dextrarum iunctio inter coniuges.

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    Sarcofago con scene di vita di un generale romano

    I Romani prestavano particolare attenzione all’abbigliamento che doveva essere appropriato a ogni situazione e contesto. Questo aspetto è evidente anche nel sarcofago del generale romano, le cui vesti cambiano a seconda della scena e, con queste, pure le calzature. Infatti, nella scena del matrimonio lo sposo indossa i calcei, la scarpa del cittadino romano per eccellenza. Si tratta di stivaletti chiusi, la cui foggia variava a seconda del rango sociale. Il defunto, in particolare, calza i calcei senatorii caratterizzati da due lacci legati mediante un singolo nodo in corrispondenza della caviglia.

    Presso l’accampamento militare indossa, invece, un paio di stivaletti al polpaccio, chiusi e stringati, che dovevano prestarsi bene alle lunghe marce, ai terreni impervi e alle intemperie climatiche.

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    Sarcofago con scene di vita di un generale romano

    Stivale militare d’altura
    100-105 d.C.
    Cuoio, ferro
    Bardon Mill, Roman Vindolanda Fort and Museum

    Un esempio di calzatura militare è costituito dallo stivale stringato cosiddetto “Allendale”, composto da una spessa suola chiodata e da una tomaia caratterizzata da ampie decorazioni a intaglio, attraverso le quali era possibile apprezzare l’eventuale presenza di calza colorate.

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    Statua di togato con testa ritratto

    Arte Romana
    Fine del II secolo d.C.
    Marmo italico a grana media. Altezza: 226 cm

    Uffizi, Inv. 1914 n. 64

    Entrata a far parte della collezione delle Gallerie degli Uffizi nel 1788, l’opera fu poco dopo spostata e collocata nel Giardino di Boboli. A seguito di danni causati dalle intemperie climatiche, nel 1815 la scultura fu restaurata e collocata nel Ricetto Lorenese della Galleria. A questi interventi di restauro probabilmente si deve il cambiamento della testa, non pertinente al corpo, nella quale alcuni autori ottocenteschi vi riconobbero il ritratto dell’imperatore Adriano. In realtà il ritratto sembra essere riferibile a un’età più tarda del regno dell’imperatore ed è stata ascritta alla fine del II secolo d.C.

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    Statua di togato con testa ritratto

    L’opera rappresenta una figura maschile stante, che si poggia sulla gamba sinistra, lasciando flessa e leggermente arretrata quella destra. L’uomo è vestito di tunica e toga. La mano sinistra stringe un volumen, una pergamena arrotolata attributo dei magistrati. Il rango elevato è confermato dalle calzature che indossa: i calcei senatorii. Il calceus era uno stivaletto chiuso realizzato in morbida pelle, la cui forma variava a seconda della condizione del cittadino romano. Celebre è ad esempio l’espressione usata da Cicerone per indicare il mutamento del rango sociale di un personaggio, divenuto senatore: mutavit calceos (cambiò i calcei).

    Esistevano infatti tre tipi di calcei: i calcei equestres, stivaletti lisci privi di lacci, i calcei senatorii, i cui lacci erano legati tra loro mediante un solo nodo e i calcei patricii, colorati di rosso e dotati di quattro corregge legate tra loro in due nodi.

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    Statua di togato con testa ritratto

    Frammento di piede destro calzato
    II secolo d.C.
    Porfido rosso
    Firenze, Opificio delle Pietre Dure

    Ai Calcei patricii o senatorii sono riferibili le calzature indossate da una statua maschile di II secolo d.C. realizzata in porfido, un marmo pregiato dal colore purpureo. Dell’opera, originariamente di considerevoli dimensioni, oggi rimane solo un frammento della parte anteriore del piede. Tuttavia, restano ancora evidenti le due corregge che, partendo dalla suola, andavano a incrociarsi in un nodo all’altezza della caviglia.

     

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    Statua di togato con testa ritratto

    Rilievo frammentario di Septimia Stratonice
    II secolo d.C.
    Marmo
    Ostia, Parco Archeologico di Ostia antica

    Un altro tipo di calceus è rappresentato sul rilievo frammentario di Septimia Stratonice, dove una figura femminile seduta indossa un paio di stivaletti dalla punta all’insù, i calcei repandi.

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    Sarcofago con il mito di Meleagro

    Arte Romana
    Marmo greco

    Uffizi, Inv. 1914, n. 135

    Il sarcofago, di provenienza romana e già dalla metà del Settecento presente nella villa di Pratolino (FI), fu trasferito ed esposto in Galleria all’inizio del XIX secolo. La cassa monolitica presenta una decorazione a rilievo che occupa la fronte e i lati corti. La scena raffigurata sulla fronte è quella della caccia al mitico cinghiale inviato dalla dea Artemide a devastare i campi di Calidone; i protagonisti sono gli eroi del mito, tra i quali si riconosce Meleagro al centro, ritratto nell’atto di uccidere il cinghiale. Osservando le calzature dei protagonisti della scena, vale la pena porre l’attenzione sugli stivaletti indossati dalla dea Artemide, la terza figura da sinistra. Si tratta dei mullei, un modello generalmente legato a figure maschili connesse all’ambito militare, venatorio o dionisiaco (il termine deriva dal mullus, un tipo di triglia di cui riprendeva il colore rosso). La presenza dei mullei ai piedi di una divinità femminile, tuttavia, non è certo un errore ma, anzi, costituisce una delle rare eccezioni alla regola: Artemide, in qualità di dea cacciatrice dotata di attributi tipicamente maschili - arco e frecce -, indossa questi particolari stivaletti. Chiusi, robusti, dotati di una fodera conformata a pelle felina e sporgente dal bordo superiore, sono generalmente ai piedi di dèi, eroi o figure di rango imperiale. 

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    Sarcofago con il mito di Meleagro

    Osservando le calzature dei protagonisti della scena, vale la pena porre l’attenzione sugli stivaletti indossati dalla dea Artemide, la terza figura da sinistra. Si tratta dei mullei, un modello generalmente legato a figure maschili connesse all’ambito militare, venatorio o dionisiaco (il termine deriva dal mullus, un tipo di triglia di cui riprendeva il colore rosso). La presenza dei mullei ai piedi di una divinità femminile, tuttavia, non è certo un errore ma, anzi, costituisce una delle rare eccezioni alla regola: Artemide, in qualità di dea cacciatrice dotata di attributi tipicamente maschili - arco e frecce -, indossa questi particolari stivaletti. Chiusi, robusti, dotati di una fodera conformata a pelle felina e sporgente dal bordo superiore, sono generalmente ai piedi di dèi, eroi o figure di rango imperiale. 

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    Sarcofago con il mito di Meleagro

    Calzare ispirato ai mullei
    1950
    Pelle, camoscio, cuoio, placca in metallo
    Formello (RM), Pompei 2000 srl

    Film: Quo vadis? (1951)

    Nel corso del Novecento grazie al fortunato genere cinematografico peplum (film storici in costume), il modello trovò nuova fortuna calzando proprio i piedi di personaggi di alto rango. È questo il caso dei mullei del console Marcus Vinicius in Quo Vadis, che si possono ammirare alla mostra “Ai Piedi degli Dei” e sui quali per la resa della testa leonina l’ideatore optò per un’applique metallica.

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    Musa di Atticiano

    Arte Romana
    IV secolo d.C.
    Marmo docimeno, 187 cm

    Uffizi, Inv. 1914, n. 269

    Presente nella collezione delle Gallerie sicuramente dal XVIII secolo, la statua si data al IV secolo d.C. ed è opera della celebre bottega scultorea di Afrodisia (Turchia). 
    La figura rappresentata è la Musa protettrice della danza, Tersicore, ritratta in piedi accanto ad una cetra. Essa indossa una lunga veste e un mantello che, stretto in vita, quasi intrappola il braccio destro. La testa è frutto di un intervento di restauro moderno e ne sono prova i resti di ciocche ricadenti sulle spalle che non si congiungono adeguatamente a quelle relative al capo. Ciò che ha reso celebre l’opera è senza dubbio la firma dello scultore Atticiano, incisa sulla base.

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    Musa di Atticiano

    Ai piedi la Musa calza un paio di scarpe chiuse: la suola è bassa e la tomaia [parte superiore della calzatura, solitamente realizzata in cuoio ndr] appare piuttosto morbida e aderente al piede. L’aspetto è molto semplice, arricchito solo da un elemento allungato che si estende sul dorso del piede e che presumibilmente, data la mancanza di lacci, aveva funzione decorativa. Anche se non è nota, ad oggi, la denominazione di questo modello di epoca tardoantica, l’aspetto ricorda da vicino quello delle persikai, le calzature greche senza lacci e generalmente prive di suola che, sui monumenti dall’epoca arcaica fino a tutto il periodo classico, avevano lo scopo di sottolineare l’origine orientale del soggetto.

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    Musa di Atticiano

    Salvatore Ferragamo
    Pianella sinistra
    1939
    Camoscio, capretto, cuoio
    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti

    Dono famiglia Ferragamo

    All’interno della mostra “Ai Piedi degli Dei” la pianella Ferragamo è quella che più rievoca, con la sua forma chiusa e morbida, le calzature della Musa. La punta rivolta verso l’alto, senza dubbio di ispirazione orientale, richiama anche un altro modello antico, l’akation.

Ai Piedi degli Dei

L'arte della calzatura tra antica Roma, cinema colossal e moda contemporanea

Coordinatori del Progetto: Lorenza Camin; Fabrizio Paolucci

Revisione: Patrizia Naldini

Traduzioni: Eurotrad Snc.

Grafica: Andrea Biotti

Crediti fotografici: Francesco del Vecchio, Roberto Palermo, Sillabe

Pubblicato settembre 2020

Il catalogo della mostra "Ai Piedi degli Dei" è edito da Sillabe

 

Nota: ogni immagine della mostra virtuale può essere ingrandita per una visione più dettagliata.

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