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Imagines 5

Imagines 5

Il numero 5 della rivista delle Gallerie degli Uffizi è dedicato al convegno "Gli Stati Uniti e Firenze (1815-1915): modelli artistici, ispirazioni, suggestioni" organizzato dalle Gallerie degli Uffizi il 23 e 24 settembre 2019.

Contenuti
Gli articoli in questo numero di Imagines.

Quando Firenze trovò l'America (e viceversa)

Eike Schmidt

Article in italian

Uno scultore del Maine a Firenze: John Adams Jackson, 1825-1879

John F. McGuigan Jr

Articolo in inglese | John Adams Jackson appartiene al circolo di quegli scultori statunitensi di spicco stabilitisi nella Firenze di metà Ottocento; in seno ad esso, contribuì, in patria, a foggiare il gusto del pubblico grazie a una fortunata reinterpretazione del rigoroso linguaggio formale del Neoclassicismo, perseguita conferendo maggiore naturalismo ai propri busti e alle opere di ispirazione ideale in linea con sviluppi artistici allora in corso nella capitale toscana. Richiestissimo da un consesso rappresentativo della società transnazionale anglo-fiorentina composto da scultori, pittori e scrittori, realizzò capolavori ideali – fra gli altri, Eve and the Dead Abel, Musidora, The Culprit Fay, e The Reading Girl – che – come confermeranno i primi riconoscimenti moderni della sua esperienza esistenziale e creativa – lo posero all’avanguardia del rinnovamento della scultura in marmo in atto ai suoi tempi.

Elihu Vedder e il suo circolo artistico internazionale a Firenze, 1857-1860

Mary K. McGuigan

Articolo in inglese | Il presente saggio indaga i tre anni che Elihu Vedder (1836-1923) trascorse – da studente ben lieto delle molteplici opportunità offertegli dall’Accademia di Belle Artie dal suo contesto – nell’ambiente internazionale sorto intorno agli artisti che confluivano a Firenze a metà secolo. In città era infatti possibile ingaggiare un insegnante privato, frequentare corsi dal vivo, realizzare copie tratte dai maestri del passato presso gli Uffizi e Palazzo Pitti, presentare opere proprie alla mostra Promotrice annuale. Vedder ha inoltre modo di darsi all’avventura al fianco dei compagni di bohème — con i quali condivide gli spazi, frequenta il progressista Caffè Michelangelo insieme agli stessi Macchiaioli e pratecipa a escursioni pittorico-bozzettistiche. Da questa esperienza uscirà forte di un magistero tecnico e di uno stile inconfondibile che ne faranno un vero apripista, ponendolo a capo di un articolato scambio artistico su base trasnazionale.

E un giorno una signora...Intrecci culturali tra Firenze e gli Stati Uniti nelle arti decorative. Dall’ebanisteria alle arti del filo, tra collezionismo, produzione e filantropia

Lucia Mannini

Marshall Cutler, giunto da Boston, aveva realizzato con Carlo Matteo Girad, nato a Firenze da madre americana e padre ginevrino, mobili che si annoverano tra i maggiori episodi del Liberty fiorentino, ma la moglie Helen aveva anche riunito un’ampia collezione di samplers, giunta in parte nelle raccolte di Palazzo Davanzati. Elisa Ricci, che fu a Firenze tra il 1903 e il 1906, ha in certa misura testimoniato, con le pagine dei suoi libri, il filo del collezionismo di antichi tessuti, trine e merletti che si dipana tra le due sponde dell’Oceano. Protagoniste ne sono state molte figure femminili dall’educazione moderna e dall’inclinazione dinamica (come Ida Schiff, Carolina Amari, Edith Bronson Rucellai, figlia di Katherine de Kay Bronson, e Romeyne Robert Ranieri di Sorbello), che contribuirono alla storia del ricamo e del merletto, incentivarono la produzione delle “arti donnesche” e incisero nella riqualificazione della condizione femminile, rappresentando anche per Firenze un capitolo significativo dei proficui rapporti tra Firenze e l’America.

The lure of bronze: l’arte della fusione monumentale da Firenze allo spazio pubblico degli Stati Uniti (1850-1900)

Giuseppe Rizzo

Il testo esamina la trasmissione del gusto per il bronzo e le conoscenze tecnologiche legate all'uso dell’antica tecnica della ‘cera persa’ sviluppatesi da Firenze agli Stati Uniti (1850-1900). Si guarderà principalmente al ruolo svolto dagli anglo-americani a Firenze influenzati dalla Reale Fonderia di Statue diretta da Clemente Papi, il quale realizzò le prime statue pubbliche in bronzo negli USA, come il Daniel Webster, dal modello dell'americano Hiram Powers per il Senate House di Boston e Il Falconiere, ideato dall'inglese George Simonds, esposto al Central Park di New York. La storia di quest'ultima scultura, unitamente a una serie di documenti d'archivio, fornisce un'interessante visione sulla trasmissione della tecnica tra Firenze e l'Inghilterra e poi negli Stati Uniti.

Protagonisti del Romanticismo americano nelle esposizioni dell’Accademia di Belle Arti di Firenze al tempo della Restaurazione

Michele Amedei

L’articolo evidenzia quanto il coinvolgimento di artisti statunitensi gravitanti a Firenze nei decenni immediatamente successivi alla Restaurazione, invitati ad esporre quadri e sculture alle annuali mostre di fine anno dell’Accademia di Belle Arti della città, abbia contribuito all’affermazione e all’apertura di nuovi indirizzi artistici locali. Da una parte, è sottolineato il ruolo di pittori statunitensi come Gilbert Stuart Newton, Thomas Cole, e Frederick Fink, fondatore insieme ad altri connazionali del poco noto Florence Sketch Club of American Artists. Dall’altra, l’articolo esplora la scultura americana a Firenze, chiudendosi con le novità portate in Toscana da Horatio Greenough e dal giovane Hiram Powers. Le opere di quest’ultimo, esposte nelle mostre autunnali dell’Accademia tra la fine degli anni ‘30 e il corso dei ‘40, contribuirono all’affermazione del “Bello Naturale” promosso nella aule dell’istituzione fiorentina dal magistero di Lorenzo Bartolini.

Henry Kirke Brown: scolpire un’identità statunitense nella Firenze del 1843

Karen Lemmey

Articolo in inglese | Tra il 1830 e il 1870, Firenze rappresenta per gli scultori statunitensi un importante centro di richiamo. Oltre al fastoso patrimonio artistico e alla contiguità con cave e intagliatori di marmo, ad attrarli è il clima cameratesco che li attende in seno alla creativa comunità dei connazionali lì espatriati. A Firenze, alcuni scultori statunitensi – fra cui si annoverano Hiram Powers e Horatio Greenough – si sentono di casa, e vi rimangono per decenni; altri, invece – ed è il caso di Henry Kirke Brown – sono a diasagio, e trascorrono in città pochi mesi appena. Il soggiorno all’estero lasciò comunque un segno indelebile nell’esperienza individuale e collettiva di quegli artisti, con conseguenze di amplissima portata sulla prima fase della scultura del loro Paese. Il presente articolo studia l’impatto connesso alla condizione di espatriato a Firenze su alcune scelte artistiche degli scultori statunitensi. Risiedere all’estero permetteva loro, ad esempio, di esplorare il nudo con una libertà indagatrice inammissibile in patria. La loro stessa condizione li spingeva altresì a escogitare nuove vie volte tanto ad affermare un’identità schiettamente statunitense – sebbene focalizzata sul punto di vista dell’anglo-americano maschio – quanto a perseguire una scultura dichiaratamente concepita per compiacere una committenza connazionale. A tale scopo, molti scultori riscorsero al cliché romanticheggiante e immaginario del nativo americano – ovvero a un personaggio che, assurto a simbolo degli Stati Uniti, distorse in senso negativo lo sguardo di molti statunitensi sui popoli originari. Questo saggio privilegia in primo luogo gli effetti del disorientamento di Brown a Firenze e il loro possibile ruolo nella genesi della sua scultura al Giovane indiano – vissuta come espediente per venire a patti col senso di oppressione della vita all’estero.

Dalle case ai musei: Primitivi italiani negli Stati Uniti tra Otto e Novecento

Elisa Camporeale

Gli Stati Uniti sono, al di fuori dell’Italia, il paese che detiene il più alto numero di dipinti primitivi italiani. Questo scritto segue il percorso che ha portato i cosiddetti Primitivi dalle pareti delle residenze esclusive dell’Età dell’oro, alle pareti dei musei pubblici americani. Partendo da premesse di natura culturale, sociale ed economica, l’apprezzamento e il gusto per Primitivi italiani in America sono presentati, nelle loro varie forme, non tanto attraverso casi di singoli collezionisti, quanto analizzandone l’azione a seconda della vocazione. I collezionisti di Primitivi son studiati tra precoci e ritardatari, arredatori o accumulatori, appassionati esperti di Primitivi o meno specializzati, più o meno vocati ad una missione pubblica, benefattori o meno di piccoli e grandi musei, nel tentativo di delineare una costellazione di atti di filantropia e lo scenario che ne conseguì tra la fine dell’Ottocento e gli Anni Trenta.

Lizzie come Ilaria. La breve vita di Elisabeth Boott Duveneck e il realismo macchiaiolo

Anna Mazzanti

Elizabeth Boott Duveneck (Boston 1846 - Parigi 1888), artista americana vissuta per quasi tutta la sua breve vita nella comunità degli espatriati angloamericani di Firenze, è stata una di quelle donne che a fine secolo andarono emancipandosi attraverso il riconoscimento professionale. Per queste sue peculiarità è stata fonte di ispirazione letteraria di varie eroine di Henry James, che l’ha così consegnata alla storia. Il saggio ripercorre la già esplorata figura della pittrice attraverso documenti inediti o poco studiati, i taccuini di disegni e gli schizzi che si conservano presso gli Archives of American Art. Diari visivi personali, dal significativo valore iconografico, divengono un inedito punto di accesso alla cultura degli espatriati americani di fine Ottocento in Europa.

Imagines è pubblicata a Firenze dalle Gallerie degli Uffizi. Direttore responsabile: Eike D. Schmidt. Redazione: Dipartimento di Comunicazione Digitale. ISSN 2533-2015

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