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Acquisizioni | 18/02/2021

Un capolavoro del Cinquecento ritenuto perduto entra nelle collezioni degli Uffizi

Un capolavoro del Cinquecento ritenuto perduto entra nelle collezioni degli Uffizi

L'Enigma di Omero di Bartolomeo Passerotti sarà esposto nelle nuove sale del Cinquecento

Le Gallerie degli Uffizi hanno ritrovato e acquistato un dipinto del Cinquecento, da secoli ritenuto perduto.  Si tratta dell’Enigma di Omero, del maestro bolognese Bartolomeo Passerotti (1529-1592). Presto l’opera verrà esposta nelle nuove sale dedicate alla pittura del XVI secolo, di prossima apertura. L’enigma di Omero, scomparso dai radar degli studiosi e degli storici dell’arte, era noto esclusivamente attraverso le descrizioni di alcune fonti storiche e alcuni disegni preparatori e d’après.

Il primo biografo del Passerotti è Raffaello Borghini, che nella sua opera Il Riposo (1584) riporta una scrupolosa descrizione del dipinto: “un quadro grande in tela di colorito gagliardo a olio, dove sono in una barca i marinari che propongono l’enigma a Omero, che è sul lito; e da altra parte è una zingana e nel viso d’Omero ha il Passerotto ritratto se stesso e vi si veggono naturalissime l’acque del mare et alcune conche marine et un cane che par vivo”. Secondo la testimonianza dello stesso Borghini, il quadro si trovava nel palazzo del letterato fiorentino Giovanni Battista Deti (1539-1607), collezionista e dilettante d’arte, nonché membro fondatore dell’Accademia della Crusca col soprannome di Sollo e autore, fra gli altri, del primo Vocabolario della Crusca. Nel 1677 Giovanni Cinelli ricorda il dipinto nel palazzo di famiglia del senatore fiorentino Carlo Torrigiani (1616-1684) in via Porta Rossa in casa, senza tuttavia riconoscervi la descrizione del Borghini e addirittura confondendo il soggetto rappresentato: un quadro “entrovi un Orfeo, che con la lira in mano trae alla riva dal mare una nave con cinque figure dentro, rapite dalla dolcezza ed armonia di quel suono, opera molto vaga”. Quindi dell’opera si smarriscono le tracce: negli studi moderni sul Passerotti, L’enigma di Omero era segnalato come perduto. Almeno fino ad oggi, quando il quadro è stato rintracciato proprio presso la famiglia dei discendenti di Carlo Torrigiani.

IL SOGGETTO DELL’ENIGMA

La scelta del tema rientra nella fortuna del mito omerico nella seconda metà del Cinquecento, testimoniata da grandi cicli di affreschi come quello di Giorgio Vasari e Giovanni Stradano in Palazzo Vecchio a Firenze, o ancora dalla decorazione di Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. L’episodio dell’enigma di Omero, più raro rispetto alle scene tratte dall’Iliade e dall’Odissea, è riportato nelle edizioni in greco della Vita Homeri dello Pseudo-Plutarco, più volte stampate nel corso del Cinquecento.

Vi si narra che Omero, mentre si trovava sull’isola di Ios, sedendo su una roccia in riva al mare vide arrivare una nave di pescatori, cui chiese se avessero fatto buona pesca. Gli uomini, che non avevano pescato nulla ed erano intenti a spidocchiarsi, risposero con questo enigma: “Quel che abbiamo preso, lo abbiamo lasciato, quel che non abbiamo preso, lo abbiamo tenuto” (ὅσσ’ ἕλομεν λιπόμεσθ’, / ὅσσ’ ούχ ἔλομεν φερόμεσθα). La risposta all’indovinello era: i pidocchi, alludendo da una parte a quelli che erano riusciti ad eliminare e gettare in mare, dall’altra a quelli che non erano riusciti a togliere e portavano ancora addosso. Secondo il racconto dello Pseudo-Plutarco, Omero si arrovellò a tal punto sull’indovinello, senza venirne a capo, che ne morì.

L’opera è oggi stata presentata nell’Auditorium Vasari del museo – insieme a un libro monografico ad essa dedicato e pubblicato dagli Uffizi – da Eike Schmidt, direttore delle Gallerie, Daniele Benati, professore ordinario di Storia dell’arte moderna e Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Storici Artistici dell’ateneo bolognese, e dagli autori; all’iniziativa hanno preso parte anche il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e l’assessore regionale alla Cultura dell’Emilia Romagna Mauro Felicori.

L’ARTISTA

Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529-1592) si formò tra Bologna e Roma, dapprima al seguito di Iacopo Barozzi detto il Vignola, poi con il coetaneo Taddeo Zuccari. Nell’Urbe approfondì il disegno dall’antico e si perfezionò nelle incisioni ad acquaforte. Rientrato stabilmente a Bologna prima del 1560, si dedicò all’esecuzione di grandi pale d’altare in cui elementi della pittura nordica si univano a caratteri di stile tipici del Manierismo romano e, soprattutto, delle opere modenesi del Correggio. Particolarmente celebre fu la sua attività di ritrattista, che gli valse numerose commissioni da parte dei personaggi celebri e influenti. Gli interessi naturalistici del Passerotti e lo studio assiduo dal vero, stimolato dall’amicizia col celebre botanico e entomologo Ulisse Aldrovandi, fecero dell’artista una figura fondamentale per la formazione dei Carracci e per la nascita della grande pittura bolognese della fine del Cinquecento e dell’inizio del Seicento.

LA PUBBLICAZIONE MONOGRAFICA

“Il pittore, il poeta e i pidocchi. Bartolomeo Passerotti e l’Omero di Giovan Battista Deti” è il titolo del volume monografico, curato da Marzia Faietti, che contiene studi approfonditi di un gruppo di specialisti dell’arte bolognese provenienti dall’Università degli Studi di Bologna: Vera Fortunati, già professore ordinario di Storia dell’arte moderna; Angela Ghirardi, già docente di Storia comparata dell’arte europea in età moderna, autrice di studi su Passerotti che si sono succeduti con continuità dagli anni Ottanta a oggi; Federico Condello, professore ordinario di Filologia classica. A questi studiosi si sono aggiunti Donatella Fratini, funzionaria della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, nonché curatrice dei disegni presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, e Roberto Bellucci, a lungo attivo presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e attualmente membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto. A coordinare l’impresa è Marzia Faietti, il cui percorso professionale l’ha resa una figura di raccordo tra le istituzioni museali bolognesi e fiorentine: direttrice del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna e poi del medesimo istituto presso gli Uffizi, prima di diventare coordinatrice della Divisione Educazione e Ricerca delle Gallerie degli Uffizi, e oggi collaboratrice postquiescenziale del museo, incarico che prosegue in parallelo alla sua pluriennale attività di docente a contratto di Storia del disegno e della grafica presso la Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici dell’Ateneo bolognese.

Il pittore, il poeta e i pidocchi. Bartolomeo Passerotti e l’”Omero” di Giovan Battista Deti, a cura di Marzia Faietti, con scritti di Roberto Bellucci, Federico Condello, Marzia Faietti, Vera Fortunati, Donatella Fratini, Angela Ghirardi. Livorno, Sillabe, 2020, 248 pp. con numerose illustrazioni.

Il dipinto è inserito nel percorso virtuale dedicato al Black History Month "On being present II"

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