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Comunicati | 30/03/2020

Florentia quanta fuit

Florentia quanta fuit

L'introduzione al terzo numero del Magazine Imagines

Con l’acquisto, nel dicembre 2018, dell’inedita urna cineraria di Titus Aelius Proculus, adiutor ab admissione alla corte dell’imperatore Adriano, gli Uffizi hanno ripreso in mano un campo del collezionismo – quello dell’epigrafia antica – che si era interrotto nel primo Ottocento. Eppure fu proprio alla Galleria delle statue e delle pitture del complesso vasariano che all’inizio del Settecento l’architetto di corte, Giovanni Battista Foggini, allestì per Cosimo III de’ Medici un “ricetto”, ossia un ambiente a lato del corridoio di Ponente, decorato con un tripudio di iscrizioni. Purtroppo esso fu smantellato cento anni fa, dal 1919 al 1921, quando la maggior parte dei reperti fu portata al nuovo Museo Archeologico Nazionale: lì le iscrizioni rimasero sempre ai margini dei principali percorsi museali, finendo, in anni recenti, per essere confinate in buona parte nei depositi, in attesa che un futuro riordino delle collezioni restituisca loro il ruolo centrale che ebbero nel processo di riscoperta dell'Antico. Purtroppo bisogna constatare che dopo mezzo millennio di scavi, studi - iniziati addirittura dopo la fine del medioevo - e pubblicazioni, il Novecento può essere definito il secolo buio dell’epigrafia. Infatti, al maltrattamento degli originali si sono aggiunti il declino delle competenze linguistiche nelle scuole, e nelle università l’abbandono sempre più frequente dei metodi della filologia, a favore di voli ermeneutici che spesso perdono di vista o addirittura disprezzano l’unico strumento che potrebbe permettere tali percorsi interpretativi, ovvero la fonte storica, il testo letterario, l’oggetto materiale: in breve, è stata progressivamente negletta la sua solida ricostituzione attraverso l’autentificazione, la catalogazione e l’edizione scientifica.

Da crisi gravissime scaturisce talvolta il bene, come accadde con la rivoluzionaria trasformazione degli Uffizi da collezione principesca a primo grande museo moderno, aperto come luogo di formazione e studio al pubblico nel 1769 – esattamente 250 anni fa – ma appunto solo pochi anni dopo il terribile incendio del 12 agosto 1762. Così, la bomba della mafia del 27 maggio 1993, con i suoi gravissimi danni umani e materiali e la improvvisa consapevolezza che i tesori di questo luogo unico al mondo avrebbero potuto essere distrutti, ebbe come effetto che al crimine seguissero numerose iniziative di restauro, ricerca, rimessa in funzione, gesti di generosità, in uno sforzo comune di dedizione alla causa del bene, di cui gli Uffizi martirizzati erano diventati il simbolo. Tra queste iniziative va ricordata la donazione di sette importanti epigrafi antiche da parte del professor Detlef Heikamp, di cui il 10 novembre 2017 abbiamo celebrato il novantesimo compleanno con un convegno di studi epigrafici nella Biblioteca Magliabechiana, con la recente pubblicazione degli atti. Questo straordinario regalo proveniente da un privato, straniero solo di nascita ma fiorentino di adozione - dall’immediato dopoguerra - giustamente insignito dal fiorino d’oro per i suoi studi e i meriti nella valorizzazione e la tutela del patrimonio di Firenze in particolare, ha riportato alla memoria di tutti il ruolo importantissimo dell’epigrafia nel collezionismo mediceo e lorenese, e in particolare nel concetto museale degli Uffizi. Con la guida di Fabrizio Paolucci, funzionario archeologo, è stata portata a termine ad opera di Alessandro Muscillo una tesi di dottorato di straordinaria importanza, che oltre a identificare e ricomporre la collezione epigrafica dei Medici e dei Lorena, ha come argomento precipuo la ricostruzione del Ricetto, che ora è possibile inserire nei progetti degli allestimenti da realizzare nei prossimi anni. Ma con il regalo di Detlef Heikamp sorge per gli Uffizi un’altra responsabilità, volta alla tutela di reperti disponibili sul mercato che possono contribuire all’arricchimento del patrimonio pubblico: l’autonomia finanziaria dei grandi musei ha infatti reso possibile una ripresa dell’attività collezionistica in questo campo.

Per celebrare l’acquisto della prima iscrizione dopo quasi due secoli, la collega Novella Lapini – che in questo numero di Imagines pubblica l’urna di Titus Aelius Proculus – ha riunito nella Sala dell’Arianna addormentata, nell’ambito delle Giornate Europee dell’Archeologia, le varie testimonianze del periodo adrianeo che si trovano nelle nostre raccolte, in una mostra dal titolo “Tutti gli uomini dell’Imperatore”. E forse non è un caso che la mattina dell’inaugurazione, venerdì 14 giugno 2019, chi si presentò per primo ad ammirare il nuovo acquisto fu nientemeno che l’attore Russell Crowe, il gladiatore per eccellenza nell’immaginario moderno, alias il generale Massimo Decimo Meridio, un “uomo dell’imperatore”. All’inizio del film di Ridley Scott, l’anziano Marco Aurelio (che proprio Adriano aveva indicato ad Antonino Pio di adottarlo come suo futuro successore), nel chiedere al suo fedelissimo generale di proteggere Roma dopo la sua morte e di darle un assetto politico repubblicano, afferma: “C’è stato un sogno una volta che era Roma, lo si poteva soltanto sussurrare. Ogni cosa più forte di un sospiro l’avrebbe fatto svanire, era così fragile.” Quel sogno va tutelato e promosso con forza. Anche nei luoghi di cultura, e in primis agli Uffizi che per la loro storia e le loro raccolte rappresentano più di ogni altro museo il patrimonio dell’Italia intera. Alla fine del film, dopo aver ucciso Commodo e liberato Roma, Massimo oramai moribondo esclama con voce ferma e forte: “C’era un sogno che era Roma. Quel sogno sarà realizzato.”

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