Figure e simboli nell'arte di Tesfaye Urgessa in mostra all'Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti
L’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti conferma la vocazione di spazio per il contemporaneo delle Gallerie degli Uffizi ospitando dal 18 dicembre 2018 al 3 febbraio 2019 la mostra monografica Tesfaye Urgessa. Oltre.
Nato ad Addis Abeba nel 1983 Tesfaye Urgessa, seguendo la vocazione artistica della famiglia, completa nel 2006 gli studi presso la University School of Fine Arts and Design dove nei tre anni successivi ricopre il ruolo di insegnante. Nel 2009, grazie a una borsa di studio del Deutschen Akademischen Austauschdiestes (DAAD), si trasferisce a Stoccarda iscrivendosi alla Staatliche Akademie der Bildenden Künste.
L’arrivo in Europa apre nuove vie: i viaggi, le visite ai musei, le esperienze maturate nell’ambiente accademico, influenzano fortemente il suo modo di dipingere. Urgessa trasforma infatti l’incontro dal vivo con l’arte del XX secolo (dall’espressionismo tedesco alla School of London) in un’occasione di confronto in chiave di superamento, elaborando una potente cifra identitaria che gli garantisce l’apprezzamento della critica e del mercato dell’arte.
Le trentacinque opere esposte nelle sale dell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti registrano la vulcanica creatività di questi raggiungimenti con una selezione che privilegia la produzione degli ultimi due anni tranne per qualche significativa eccezione. Così se Trapped in the Flesh – quadro dipinto in occasione della mostra fiorentina – è stato scelto come focus di apertura, il percorso vero e proprio si snoda cronologicamente a partire da Waiting del 2010, opera emblematica del periodo in cui Urgessa, appena giunto in Germania, coglie con uno sguardo disincantato la solitudine del mondo occidentale, i suoi riti, le sue fobie.
A motivare l’artista non sono tuttavia intenti narrativi o di denuncia sociale, bensì la volontà di attivare con lo spettatore un dialogo basato su un terreno condiviso di vissuto. Si veda ad esempio la serie di dipinti Die Beobachteten – che ha avvio nel 2014 e di cui si espone il diciottesimo e più recente titolo – nella quale Urgessa, utilizzando una prospettiva dall’alto tipica delle telecamere di sicurezza, sollecita uno scambio di ruoli tra chi guarda e le figure del dipinto, le quali, scrutando verso l’esterno si trasformano da “osservati” in “osservatori”.
Tale reciprocità implica tuttavia anche il coinvolgimento di Urgessa che è solito immedesimarsi a tal punto nelle sue figure da ricalcarne inavvertitamente le pose mentre le dipinge sulla tela: «Se qualcuno si riconosce nelle mie figure così come io mi riconosco in loro, allora necessariamente si riconoscerà in me», dichiara infatti a riguardo.
Ad attivare questa triangolazione esperienziale sono grovigli di corpi, talvolta deformi e mutili, sempre rigorosamente nudi, accostati a oggetti prelevati dalla quotidianità secondo logiche private, che riempiono le tele con soluzioni estreme ma bilanciate, suscitando domande ed evocando memorie. Neppure Urgessa conosce la provenienza di quelle forme che affiorano senza sosta nella sua mente, trasformando la costruzione del dipinto in un sofferto scontro in cui i “pentimenti”, spesso radicali, rappresentano una tappa pressoché obbligata. Non c’è infatti premeditazione nelle sue composizioni, ma un’adesione alle logiche dell’inconscio e del caso in un’accezione talvolta ironica, talvolta irriverente. Così se in Die Waschlappen i guanti da bagno trasformati in pantofole forniscono un contraltare domestico alla solennità della Sacra famiglia, in Ich halte dich fest halten 2 sono gli interventi pittorici della figlia a fornire gli elementi chiave del dipinto e anche del titolo che ricalca una curiosa espressione linguistica inventata dalla bimba.
La mostra espone anche un disegno e quattro monotipi a esemplificare la dimestichezza di Urgessa con le tecniche e i materiali. Pur avendo oggi a disposizione un grande studio a Nürtingen, nei pressi di Stoccarda, l’artista continua a disegnare spargendo le carte sul pavimento proprio come al suo arrivo a Mannheim nel 2009 quando, non avendo altre possibilità, stendeva i fogli per terra, lasciando che l’impronta di una suola o una goccia di caffè caratterizzassero l’opera.
Nel percorso è anche presente uno dei tre autoritratti dipinti da Urgessa in omaggio alla collezione delle Gallerie degli Uffizi, esposto in simbolico pendant con un ipnotico Ritratto d’uomo: non un autoritratto fatto allo specchio o tratto da una fotografia, ma un autoritratto “a memoria”, passato anch’esso al vaglio della potente immaginazione dell’artista.