Il restauro dell’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci. Capire il non-finito
L’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci è tornata visibile nel marzo 2017, dopo un restauro durato quattro anni e mezzo, condotto dall’Opificio delle Pietre Dure, istituto centrale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con sede a Firenze, che dedica la sua attività e la sua ricerca al restauro delle opere d’arte
Nel marzo 2017 è stata restituita alle Gallerie degli Uffizi e al generale godimento del pubblico tutto l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, dopo un restauro durato esattamente quattro anni e mezzo, condotto dall’Opificio delle Pietre Dure, istituto centrale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con sede storica nella città di Firenze, che dedica la sua attività e la sua ricerca al restauro delle opere d’arte. L’intervento è stato affrontato e sostenuto grazie al contributo degli Amici degli Uffizi.
Il restauro dell’Adorazione dei Magi era stato concordato tra l’Opificio delle Pietre Dure e l’allora Soprintendenza speciale alla città di Firenze e ai musei, a seguito di una campagna diagnostica cui si era dato inizio nel novembre 2011, quando l’opera era stata trasportata dalla Galleria degli Uffizi ai laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure, all’interno della Fortezza da Basso. Questa approfondita fase di indagini occupò diversi mesi di applicazioni, discussioni e ricerca e infine, nell’ottobre 2012, fu deciso di intraprendere il restauro.
Due erano i motivi che sollecitavano attenzione conservativa per questa celeberrima opera: la marcata alterazione dei materiali superficiali non originali e la presenza di problemi strutturali che si manifestavano in conseguenza della separazione delle assi del tavolato di supporto e il cui progredire arrivava subito al di sotto della pellicola pittorica. Le fessurazioni del supporto costituivano un pericolo costante per l’integrità degli strati pittorici, dal momento che essi si trovavano posti a ponte attraverso e al di sopra di tali aperture e nella parte alta del dipinto si erano già verificati danni, in passato, come risultava evidente dalle riparazioni che si erano rese necessarie. Inoltre, l’alterazione delle vernici superficiali, sovrapposte in più stesure sul fronte nel corso dei secoli, creava uno spesso strato scuro e opacizzato e rendeva non più percepibile la spazialità interna della figurazione ed anche la percezione di molti dettagli.
Alle origini del dipintoCome è ben noto agli studi, la tavola con l’Adorazione dei Magi fu commissionata a Leonardo nel 1481 dai canonici regolari di Sant’Agostino per l’altar maggiore della chiesa di San Donato a Scopeto, che si trovava su una piccola collina fuori Porta Romana a Firenze[1]. Il dipinto fu interrotto ex-abrupto per la partenza di Leonardo verso Milano, partenza che, o sollecitata da Leonardo stesso[2], o impostagli da Lorenzo de’ Medici[3], lasciò comunque il grande dipinto incompiuto; è estremamente probabile, quindi, che l’opera non venisse mai collocata sull’altare di San Donato. La partenza di Leonardo per Milano dovette avvenire senza preavviso per l’artista o i committenti, né senza che ci fossero previsioni che lasciassero capire che si trattasse di un abbandono definitivo. Verosimilmente proprio questo secondo fattore fu quello che garantì la sopravvivenza dell’opera in questo stato non artisticamente presentabile per la chiesa. I monaci agostiniani di San Donato in Scopeto pare siano rimasti per diversi anni in attesa di un possibile completamento, fino a quando, nei primi anni ’90, si risolsero per commissionare a Filippino Lippi un’opera, simile per dimensioni e, cosa particolarmente interessante, non solo per soggetto ma anche per elementi iconografici specifici, che venne completata nel 1496[4]. L’edificio della chiesa e del convento di San Donato a Scopeto, di origine romanica, fu distrutto, al pari di altri che si trovavano oltre le mura, nell’imminenza dell’assedio del 1529, perché non servisse di ricovero alle truppe che avrebbero attaccato Firenze[5]. Questo fatto ci lascia senza alcuna possibilità di elaborare ipotesi circa la struttura dell’opera e della sua incorniciatura per mancanza di riferimenti architettonici. Si hanno invece notizie circa le varie collocazioni che il dipinto ha avuto nei decenni e nei secoli successivi ad iniziare dal Vasari, che nella biografia di Leonardo della seconda edizione delle Vite (1568), dice - usando il verbo al passato - che l’Adorazione dei Magi «era in casa d’Amerigo Benci dirimpetto alla loggia dei Peruzzi»[6]. E’ noto attraverso altri documenti che Leonardo intratteneva rapporti di una certa familiarità con la famiglia Benci[7]. Dalle registrazioni archivistiche risulta poi che nel 1621 l’opera si trovava nel Casino di San Marco, fra i beni lasciati in eredità da Don Antonio de’ Medici e nel 1670, alla morte del figlio di lui, Giulio, nella Guardaroba Medicea. Di lì passò poi agli Uffizi dove rimase fino ai giorni nostri, tranne per un breve periodo della seconda metà del Settecento, in cui fu portata nella villa di Castello[8]. Dell’opera si hanno anche notizie circa gli interventi di restauro che si sono succeduti dall’inizio del Settecento in poi[9].
Leonardo e il non-finito
Una sorte singolare ha segnato il destino di quasi tutte le opere di Leonardo da Vinci. Di esse nessuna, pare, allo stato attuale degli studi, sia mai stata portata a termine dall’artista; tutte sono rimaste, a vari livelli, incompiute; alcune perfino interrotte allo stadio esclusivamente progettuale; altre, fra le quali, appunto, l’Adorazione dei Magi, fermate all’inizio della loro realizzazione pittorica.
Questo fatto difficilmente può essere messo in relazione soltanto con la fatalità, con gli ostacoli creatisi, con le vicende specifiche della vita dell’artista, dato il ripetersi della circostanza. Se infatti si possono chiamare in causa motivazioni oggettive per l’interrompersi del lavoro sull’Adorazione dei Magi, o per il Monumento Sforza e la Sala delle Asse, a Milano, difficile è incolpare esclusivamente cause esterne nei casi di interruzione di opere come la progettata Battaglia di Anghiari, o nei non finiti parziali della Gioconda, o della Sant’Anna e la Vergine, opere cui Leonardo lavorò per più di venti anni della sua vita, dal secondo soggiorno fiorentino fino alla morte, nel 1519, ad Amboise. Mentre non sono noti del tutto i motivi che portarono all’interruzione del San Girolamo, oggi alla Vaticana, o della cosiddetta Scapigliata, oggi a Parma, dei quali altamente ipotetica è anche la stessa committenza e il periodo di esecuzione.
Vasari afferma, e a ragione, nella Vita dedicata a Leonardo che “per l’intelligenzia de l’arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finí, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezzione de l’arte ne le cose, che egli si imaginava, con ciò sia che si formava nella idea alcune difficultà tanto maravigliose, che con le mani, ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai.”[10]. Egli offre, quindi, circa le ragioni profonde del non-finito leonardesco, la spiegazione più frequentemente citata e ripresa dai vari commentatori e critici, nei secoli successivi: che cioè la mano non riusciva a seguire la mente, tanto questa era fertile e veloce nell’elaborazione del pensiero. Leonardo progettava o immaginava una realizzazione figurativa tanto perfetta, che ogni tentativo di restituzione materiale di essa, per ovvi limiti fisici, era destinato al fallimento. Così si esprimeva anche Leonardo stesso nei suoi taccuini (in particolare nel codice Arundel), quando affermava, con modernissima e quasi commovente autocoscienza, che “somo dano è quando l'openione avanza l'opera"[11]. O come si esprime nell’aforisma: “Sì come ogni regno in sé diviso è disfatto, così come ogni ingegno diviso in diversi studi si confondere e indebolisce”[12].
La fama della difficoltà di Leonardo a concludere i propri lavori si era fatta largo già presso i contemporanei dell’artista, senza, naturalmente, che i documenti superstiti ci indichino un qualche tipo di elaborazione concettuale di quello che, ovviamente, veniva visto principalmente come una sua incapacità a mantenere obblighi contrattuali. Ad esempio Ludovico il Moro chiese esplicitamente a Lorenzo il Magnifico, con una lettera del 22 luglio 1489, di mandargli un altro artista per portare a termine il monumento equestre di Francesco Sforza, che ancora non era stato avviato dopo mesi di ritardi: “benché habbi commesso questa cosa in Lionardo da Vinci, non mi pare si consuli molto la sappi condurre”[13]. E in una lettera del 9 ottobre 1506, il gonfaloniere della repubblica fiorentina, Pier Soderini, citando il progetto interrotto della decorazione della Sala Grande di Palazzo Vecchio con la pittura murale della Battaglia di Anghiari, menzionava che “non si è portato come si doveva con questa repubblica, perché ha preso buona somma di denaro et dato un piccolo principio ad una opera grande che doveva fare”[14].
Il non-finito leonardesco inizia a diventare una costruzione intellettuale solo attraverso le molte note sparse che vanno a costituire la biografia dell’artista e la successiva rielaborazione datane dal Melzi nel Trattato della Pittura, e che si possono riassumere nella pregnante locuzione di “componimento inculto”, cioè “non completo” (dal latino “inchoatus”). Questa corrisponde ad una indefinitezza del costruire le figure a lungo protratta all’interno della genesi dell’opera, onde poter dare loro atteggiamenti e cambiarli in virtù della definizione del pensiero, in divenire che va raffinandosi quasi attraverso una azione maieutica (come suggerisce il paragone con le forme che si rivelano dal movimento delle nuvole o dall’esame delle macchie sui muri)[15].
La lettura del non-finito dell’Adorazione dei Magi
La lettura di un’opera non finita può presentare margini di incertezza e finanche di soggettività dell’interpretazione del suo significato che dipendono, come è naturale che sia, dallo stato di avanzamento dell’opera stessa e dal tipo di tracce preparatorie che l’artista ha lasciato visibili, in forma di abbozzo. Al tempo stesso, lo studio di un’opera interrotta si presta a fornire una eccezionale possibilità di capire la genesi della creazione artistica, le fasi di lavoro dell’artista, i mezzi con cui è stato tracciato il disegno preparatorio e, ove siano sopravvissuti schizzi o modelli su carta, al paragone fra questi e la realizzazione definitiva che viene tracciata sulla superficie che era destinata ad accogliere le stesure pittoriche. In questo tipo di possibilità risiede l’indubbio fascino di molte opere non finite, anche se l’altro lato della medaglia di questa curiosità moderna, quasi voyeuristica, è quello di trovarsi di fronte ad un oggetto difficile a capirsi e ad apprezzarsi soprattutto da parte del grande pubblico. Come ogni altra opera, ma più di ogni altra opera, necessita di essere spiegata al grande pubblico (ma anche, in certa misura, anche al pubblico più avveduto) e mediata attraverso una comunicazione efficace dei suoi aspetti formali, tecnici e dei contenuti non sempre facilmente comprensibili.
Il fatto che anche in epoca antica lo stato di non-finito dell’Adorazione dei Magi avesse posto problemi è dimostrato dal trattamento avuto in Galleria. In epoca imprecisata, ma comunque antica, la superficie era stata coperta da una stesura di vernice pigmentata, verosimilmente usata al fine di abbassare le diversità di tono e luminosità più dissonanti. Forse l’effetto voluto era quello di ricondurne la lettura e quindi l’apprezzamento a quello di una categoria artistica nota, quella del monocromo, cioè di una pittura a chiaroscuro, che si serve delle differenze tonali per suggerire forme e rilievi; un genere cui il fruitore illustre era abituato per gli esempi che se ne potevano vedere sia in apparati effimeri, sia nelle riprese colte di rilievi decorativi derivati dall’antichità classica che dalla prima metà del Cinquecento in poi cominciarono ad essere usati per decorare ambienti e partizioni architettoniche e soprattutto per “rappresentazione di istorie”[16]. Anche Vasari, nella introduzione sulle Tecniche alle Vite, intitola un capitolo, il XXV, “Del dipingere nelle mura di chiaro e scuro di varie terrette, e come si contraffanno le cose di bronzo”. In particolare la descrizione che egli dà della maniera in cui realizzare queste decorazioni risulta molto simile all’aspetto dominante, marrone-giallognolo, con macchie più scure e tocchi di bianco a lumeggiare, con cui si presenta oggi l’Adorazione dei Magi; e potrebbe essere stato questo lo spunto per adeguarne i contrasti luminosi presenti all’origine e ridurre il tutto ad un monocromo, appunto: “Di questa sorte, di terretta si fanno i campi con la terra da fare i vasi, mescolando quella con carbone macinato o altro nero per far l'ombre più scure e bianco di trevertino con più scuri e più chiari,
e si lumeggiano col bianco schietto e con ultimo nero a ultimi scuri finite. Vogliono avere tali specie fierezza, disegno, forza, vivacità e bella maniera, et essere espresse con una gagliardezza che mostri arte e non stento, perché si hanno a vedere et a conoscere di lontano. E con queste ancora s'imitino le figure di bronzo, le quali col campo di terra gialla e rosso s'abbozzano e con più scuri di quello nero e rosso e giallo si sfondano, e con giallo schietto si fanno i mez[z]i, e con giallo e bianco si lumeggiano”[17]. Essendo inoltre il monocromo, sempre secondo Vasari, “una forma di pittura che tragga più al disegno che al colorito”, è evidente che l’assimilazione fra il non-finito di Leonardo e questo genere nobilitava l’Adorazione dei Magi, facendola uscire da quel limbo in cui lo avrebbero destinato considerazioni esclusivamente legate alla casualità del fato e alla alternanza della pratica della produzione artistica, contribuendo, altresì, a connotare l’Adorazione, con il suo confuso brulicare di personaggi, spesso non definiti e non definibili, come una “rappresentazione di istorie”.
Elementi di tecnica artistica finalizzati alla lettura dell’opera dopo il restauro
(di Roberto Bellucci)
Come già sottolineato più volte, l’Adorazione dei Magi è dunque un dipinto interrotto nella sua esecuzione ad un primo livello di abbozzo. Oggi misura 244 cm di larghezza e 240 cm di altezza, ma queste misure non sono quelle originarie bensì il risultato di una resecazione avvenuta nella parte inferiore che ha asportato porzione del dipinto. La modifica è visibile ed importante anche sul fronte: lungo i lati verticali e su quello orizzontale in alto, infatti, si nota una fascia non dipinta, delimitata da linee incise, mentre nella parte bassa questa porzione di dipinto non si individua, a causa quindi di una resecazione (evidente anche dal disomogeneo andamento del bordo inferiore). Questo impedisce quindi la possibilità di valutare esattamente le dimensioni e la forma originaria dell’opera, anche se si può ipotizzare che Leonardo avesse delimitato, come campo pittorico, un quadrato perfetto, alla cui definizione mancherebbe attualmente meno di un centimetro[18].
Lo stato di non-finito del dipinto permette ancora di vedere molte delle fasi di costruzione pittorica utilizzate da Leonardo in corso d’opera, tanto che potrebbe sembrare relativamente semplice comprendere la fase progettuale e la tecnica artistica del pittore.
La conoscenza della fase di impostazione del disegno sottogiacente, ad una maggiore accuratezza rispetto ad indagini precedenti, è stata possibile grazie alla recente messa a punto del sistema a scansione Multi-NIR, frutto della collaborazione tra Istituto Nazionale di Ottica-CNR e Opificio delle Pietre Dure[19], che ha permesso la visualizzazione, ad esempio, del primo segno grafico, lineare, eseguito sopra la preparazione e condotto a punta secca.
Di fondamentale importanza è stata la possibilità di ripercorrere le fasi operative di Leonardo sin dall’inizio della lavorazione, dallo strato bianco della preparazione su cui l’artista dovette cercare e disporre i punti di riferimento necessari per poi creare l’impianto geometrico intero, per passare poi alla definizione di numerosi particolari e alla loro obliterazione di alcuni di essi nella fase pittorica.
Come fase di studio finalizzati alla realizzazione di questo dipinto, la critica ha da sempre associato due disegni di progetto su carta; quello del Louvre, eseguito a mano libera, dove l’artista studia la composizione quasi come uno schizzo; l’altro, agli Uffizi, dove Leonardo studia meticolosamente l’impianto prospettico delle rovine che poi saranno ricreate sul dipinto[20]. E’ interessante notare come, nonostante fosse stato condotto uno studio preliminare di grande accuratezza e già preliminarmente a questo l’artista avesse schizzato un progetto generale della composizione, dalla riflettografia e dallo studio del dipinto si evince che, arrivato davanti alla tavola, Leonardo costruisce ex novo l’impianto prospettico direttamente sul piano definitivo della preparazione, senza timore di lasciarvi segni di una certa invasività.
Fra i molti temi che emergono dalla lettura dell’underdrawing in relazione alla costruzione della scena, principalissimo è quello della impostazione dell’assetto spaziale, condotto con somma meticolosità prospettica e costruttiva. Si notano immediatamente, come già segnalato, le linee di incisione che demarcano i due bordi verticali e quello orizzontale in alto, tracciati evidentemente con lo scopo di riquadrare l’area in cui dipingere. La misura ottenuta da questa riquadratura costituisca un campo esattamente di 234 centimetri di lato, misura che si traduce a quattro braccia fiorentine[21]. La riflettografia mostra chiaramente inoltre delle linee oblique che si diramano da un punto marcato da un foro. Si tratta del punto di fuga collocato in corrispondenza dell’albero centrale che affonda le radici nella balza di terreno su cui si staglia la Vergine. Da questo centro si diramano tutte le linee prospettiche tracciate per la costruzione dell’edificio in rovina. Questo punto si colloca sulla linea d’orizzonte della raffigurazione ed è posto in un punto che si trova in rapporto aureo rispetto alla larghezza del dipinto. Già da questi primi dati si possono fare dei riferimenti con gli scritti che Leonardo riporterà nel suo Trattato della pittura, come ad esempio: «il punto [di fuga] deve essere all’altezza dell’occhio di un uomo comune, e l’orizzonte della pianura che confina col cielo dev’esser fatto all’altezza d’esso termine della terra piana col cielo, salvo le montagne, che sono libere»[22]. Appare evidente inoltre l’intenzionalità di Leonardo di creare un focus in questa parte del dipinto, pieno di significati iconografici e naturalistici, con chiari riferimenti all’albero di Jesse da cui discende la genealogia della Vergine e del Bambino[23].
Tutte le linee di costruzione prospettica delle rovine sono “guidate”, ovvero tirate con l’ausilio di una riga, e tracciate con un mezzo secco a punta sottile. Saranno ripassate in seguito solo quelle rimaste a vista e non coperte da altri particolari figurati. Come detto in precedenza, colpisce che Leonardo, dopo aver eseguito il disegno su carta avverta la necessità di costruire ex novo anche sulla tavola, su una superficie ben più grande del foglio degli Uffizi, tutte le linee di costruzione che sono visibili pure all’osservazione diretta della superficie dipinta, accanto a incisioni, che poi si precisano e contestualizzano meglio se osservati in IR. Allo stesso tempo viene da chiedersi come abbia potuto determinare queste linee di profondità giacché prospetticamente, almeno secondo un suo disegno[24], e secondo il modo optimo dell’Alberti, queste dovrebbero trovare origine da un punto di fuga collocato al di fuori del dipinto, circa 6 metri, una distanza che rende difficile l’esecuzione pratica del disegno. Ciononostante, a conferma dell’importanza in fase di studio fornita dal disegno sul foglio, sul dipinto, nel grande spazio antistante alle rovine, vi sono alcuni particolari disegnati che richiamano gli stessi particolari presenti sul foglio, come le linee che costruiscono i pilastri del tetto a capanna o il tronco di colonna, poi abbandonate.
Una volta completata la scena in alto, Leonardo ha iniziato a disegnare a mano libera con un mezzo grafico a secco ed ha tracciato, ripassandone più volte i contorni alla ricerca dell’esatta definizione dei cosiddetti “moti dell’anima”, le innumerevoli figure umane e gli animali che affollano l’Adorazione dei Magi. Leonardo fece seguire, a questa, una fase in cui raffermò il segno grafico con tratti a pennello intrisi in una acquerellatura nera, che già apporta le prime modifiche rispetto al progetto originario. Seguirono poi delle ombreggiature cromatiche, una sorta di undermodelling del disegno[25], eseguito col pennello intriso in una acquerellatura blu e, in alcune zone, rossa, talvolta mescolate con effetto violaceo. Egli usa verosimilmente un colorante di origine vegetale (nel caso del blu si dovrebbe trattare di indaco) e non un pigmento, dato che non vengono rilevati analiticamente elementi chimici nella sua composizione. La scelta del blu anticipa quanto Leonardo stesso scriverà nel suo Trattato: “Perché sul far della sera l’ombre de' corpi generate in bianca parete sono azzurre”[26]. La stessa forma di undermodelling colorato in blu si ritrova anche nel San Girolamo della Vaticana[27].
Fondamentale, durante questa fase di studio dell’underdrawing, è stata anche la possibilità di usufruire dei confronti con le osservazioni e la diagnostica portata nel frattempo avanti sia in occasione di restauri ad altre opere di Leonardo avvenute nei recenti anni, sia di una campagna di osservazioni generalizzate, preliminari ad una migliore comprensione dell’artista[28]. Da queste importantissimi valutazioni risulta una coerenza impressionante da parte di Leonardo nell’utilizzo di uno stesso modo di elaborare la creazione materiale dei suoi dipinti, mantenutasi attraverso gli anni. L’unica differenza che si riscontra è proprio nell’Adorazione dei Magi, per la quale Leonardo non utilizza un cartone, ma imposta il suo disegno sostanzialmente a mano libera, come si trovasse davanti ad un grande foglio. Constatazione ancora più sorprendente se si considera la complessità della scena, il numero di personaggi che la affollano, la diversità delle varie storie che si compongono fra loro; a fronte di cartone da spolvero utilizzato per esempio anche in ritratti di piccole dimensioni come quello della Ginevra de’ Benci. E’ probabile che una parte del prolungarsi della fase di lavoro sull’Adorazione dei Magi da parte di Leonardo, ferma alla parte compositiva dopo un anno o più dalla commissione, derivi proprio dalla mancanza di uno studio preliminare dettagliato e trasferibile direttamente sulla tavola. Una mancanza voluta o una ingenuità da parte di un pittore ancora giovane, per la prima volta alle prese con un’opera di grandi dimensioni, che si illudeva di poter padroneggiare, sottovalutando la stessa sua forma mentis che lo portava a continui ripensamenti e mutamenti di idea.
A questa fase disegnativa e di prima indicazione delle luci e delle ombre, segue la applicazione di una sottile e semitrasparente imprimitura, non omogeneamente stesa su tutto il supporto, fatta di bianco di piombo disciolto in un legante, che ha lo scopo di fissare, per così dire, il disegno sottostante[29]. Successivamente vengono stese pennellate, intense e marcate, di colore monocromo, che costituiscono la base delle successive velature pittoriche, irregolarmente presenti in maniera quasi impercettibile. Dalle indagini effettuate emerge una grande complessità, maggiore di quanto sarebbe possibile immaginare, almeno da un punto di vista della costruzione dell’immagine. Leonardo prosegue infatti sulla superficie stessa della tavola la fase creativa, quasi come se non ci fosse stato in precedenza un progetto. È piuttosto frequente riscontrare come direttamente sul bianco della preparazione della tavola egli ricerchi la posizione delle figure disegnando le stesse in più atteggiamenti, diversi fra loro rispetto alla fase di underdrawing; oppure come abbia decisi cambiamenti d’idea quando, sopra l’imprimitura, passa a dare le prime stesure di colore realizzando cose diverse da quelle fino a quel momento previste.
E anche per quanto riguarda più estesamente le parti figurate, questi cambiamenti spesso riguardano dei dettagli ma altre volte si ha l’impressione che modifichino sostanzialmente anche l’iconografia stessa dell’opera. Da tutte queste trasformazioni emerge con certezza come in Leonardo, nella fase di costruzione grafica del dipinto, fosse presente un’inesauribile forma mentis di mutamento, un dialogo veloce tra la mano e la mente, e come questo incedere caratterizzi l’aspetto stesso, affollato e disuguale, del dipinto. Un’esecuzione che per quanto dia prova di essere eseguita sulla base di uno studio precedente e sulla base di questo pianificata nella realizzazione sulla tavola, presenta anche aspetti di innovazioni, pensate e realizzate all’impronta, nel momento stesso cioè in cui Leonardo lavora.
Sempre grazie alla nuova riflettografia è possibile leggere ancora più in dettaglio gli innumerevoli particolari che affollano la scena, potendo distinguere, anche in quelle parti di campitura scura, le prime stesure pittoriche, adesso invisibili, che meglio descrivono lo spazio in cui si manifesta l’epifania. Si tratta in particolare del giro di rocce, alle spalle della Vergine, che accoglie “tutti costoro [che] si sono radunati”[30], generando uno spazio ricavato tra una roccia e l’altra, al cui interno le figure sono inserite. Anche lo spazio antistante alla Vergine risulta in infrarosso più articolato di quanto apparisse nel visibile. La Vergine seduta poggia i piedi su una roccia che si affaccia su una sorta di pozzo o burrone, del quale non è difficile vedere l’accenno di presenza di acqua e, se Leonardo avesse completato l’opera, forse anche di fossili, come nel caso della Vergine e la Sant’Anna del Louvre. E poi ancora la quantità di volti in profilo sulla parte destra del dipinto che si affollano e si sovrappongono l’uno all’altro, o la quantità di dettaglio delle figure arrampicate sul grande tempio, in parte diruto e in parte in costruzione, rimaste al livello dell’impostazione grafica.
La parte di disegno e di impostazione di ombre e luci fin qui descritta è quella che Leonardo ha realizzato direttamente sul gesso della preparazione; tuttavia la fase progettuale di costruzione dell’immagine non termina a questo punto. Sulla imprimitura Leonardo iniziò la fase pittorica vera e propria, modellata e modulata con aggiunta di tonalità più calde, a seconda della funzionalità, a definire rilievi, aree e figure. In alcuni punti di massimo chiaro Leonardo iniziò anche a dare alcune pennellate di bianco, per poi interrompersi definitivamente per le vicende che lo portarono a Milano.
Siamo davanti ad un abbozzo che non sarebbe stato visibile se l’opera fosse stata ultimata. L’Adorazione è un’opera complessa da tutti i punti di vista, un non finito, sulla cui superficie pittorica si riscontrano diversi stadi di lavorazione: in basso una tinta monocroma bruna è stata utilizzata per impostare la composizione, definire gli spazi dei personaggi e delimitare lo sfondo; intorno ad alcuni particolari del disegno il colore è stato steso in modo rapido ed approssimativo, come per seguire un’idea, un pensiero, più che un contorno; alcuni personaggi sono appena delineati con acquerello azzurro che completa ed arricchisce la fase del disegno sottostante al colore, sul fondo bianco della preparazione; altri personaggi sono invece più rifiniti ed elaborati; qua e là alcune pennellate bianche, anche sui personaggi appena accennati, segnano i punti in luce, come è più consueto vedere nei disegni su carta di vari artisti dell’epoca; sulla parte alta, il cielo è costituito da una stesura a base di bianco di piombo, leggermente caricata con blu lapislazzuli, su cui si stagliano gli alberi scuri che, come abbiamo visto, sono rimasti a vari livelli di finitura.
Lo stato di conservazione del dipinto e l’intervento di pulitura
(di Patrizia Riitano)
Al di là dei veri e propri problemi di degrado, l’aspetto più evidente dello stato di conservazione era la scarsa leggibilità della composizione, dovuta alla presenza di patinature, vernici ossidate (aggiunte in precedenti interventi di restauro e manutenzione), depositi atmosferici e vecchi ritocchi alterati.
In alcuni casi, ad esempio, si percepiscono in superficie striature di materiale non originale; si tratta di vernici stese a pennello che, essendosi opacizzate, risultano visibili. D’altra parte il dipinto, nei secoli, ha subito numerosi interventi di manutenzione e restauro di cui alcuni documentati: nel 1724 il “mesticatore granducale” Bruno Mangiacani, “rinfresca il dipinto”; nel 1794 Carlo Magni, al rientro del dipinto agli Uffizi dalla villa di Castello, esegue un altro intervento di cui non si conosce l’entità. Un altro restauro del passato, di cui si ha notizia, è quello ad opera di Fabrizio Lucarini. Luisa Becherucci riporta che le vernici presenti sul dipinto «ossidate fino a renderne impossibile ogni chiara visione, subirono una rigenerazione di cui si fecero grandi lodi nel 1914 al restauratore» e che «non sappiamo come questa operazione, che consisteva nel liquefare la vecchia vernice, sì da renderla più uniformemente trasparente, sia stata tecnicamente condotta»[31].
Dalla descrizione dell’intervento, potrebbe trattarsi anche dell’uso della tecnica Pettenkofer, che consisteva nel sottoporre i dipinti a vapori di solventi per rigenerare le vernici[32]. Gli effetti di tale trattamento, in questo caso, sono particolarmente difficili da valutare per l’esiguità della materia pittorica che caratterizza l’opera. Alcune “colature” di vernice, presenti sulla veste del personaggio di sinistra, potrebbero essere, ad esempio, uno degli effetti di questo intervento divenuti visibili nel tempo.
La pulitura del dipinto, già auspicata da tempo[33], si era resa necessaria e non più procrastinabile non solo per i livelli di forte opacizzazione dei materiali non originali applicati sulla superficie nel corso dei secoli e che ne rendevano assai limitata la leggibilità, ma, come già detto, anche per gli effetti di contrazione di questi materiali, che già da tempo esercitavano una azione di strappo sugli strati preparatori e pittorici, mettendone a rischio la conservazione. Com’è stato possibile ricostruire dall’intreccio dei dati storici[34], comparati con l’evidenza delle analisi scientifiche, sulla superficie del dipinto sono state trovate, sovrapposte e stratificate una sull’altra, alcune stesure di materiali di diversa natura che corrispondono a procedure di restauro e manutenzione in uso nel passato e che mai, nel corso degli interventi successivi, erano state completamente rimosse. Strati di colla animale, di latte, di patinature pigmentate, deiezioni di mosche, di resine naturali alterate e in buona parte ossidate, si sono plasmate in un unico strato marrone che copriva tutta la superficie alterando la possibilità di lettura e in certe zone negandola completamente. Come detto in precedenza, una delle motivazioni che hanno indotto gli organi della tutela della Galleria degli Uffizi ad avviare la procedura del restauro di quest’opera consisteva nel fatto di ricercare, attraverso la pulitura della superficie pittorica, la possibilità di recuperare dei valori espressivi più consoni al dipinto che risultava invece trasfigurato da quegli interventi che se in passato di volta in volta lo avevano “rinfrescato” con l’andare del tempo lo hanno invece reso illeggibile sottraendolo non solo alla consultazione pubblica ma anche al mondo degli studi. E non è un caso se più volte in letteratura, verosimilmente a causa della impossibilità di leggere i reali presupposti tecnici del dipinto, sono state avanzate ipotesi circa l’abbandono dell’Adorazione da parte di Leonardo non per motivi esterni, ma per una sua impossibilità a dare una forma compiuta all’accumularsi di motivi compositivi[35]. Ecco che la pulitura, agendo solo e soltanto su una parte degli strati superficiali di “sporco”, operandone una rimozione parziale e selettiva, ha contribuito invece a chiarire in tutta la sua evidenza che si tratta molto più semplicemente di un dipinto interrotto ex-abrupto in una fase in cui l’autore si apprestava alla applicazione delle prime stesure cromatiche.
Certo durante il lavoro non sono mancate le difficoltà interpretative e operative dovute in parte alla mancanza di riferimenti tecnici, in termini di rapporti cromatici, di spazialità, che generalmente un’opera completata fornisce durante la pulitura; e in parte anche alla complessità di un testo lasciato da Leonardo nel suo divenire e che, man mano che il lavoro avanzava, metteva in luce in tutta la sua complessa articolazione. Un lavoro, quello della pulitura, guidato ininterrottamente dalla prudenza e che si è ritenuto di non spingere avanti, rispetto al solo alleggerimento dei materiali di deposito, non intervenendo su alcune zone di difficile interpretazione, tra underdrawing e realizzazione ad ombreggiatura, come ad esempio nel caso dell’asino, davanti alla capanna, o della figura dell’uomo voltato di schiena, sulla scala.
E’ comunque importante che si abbia la consapevolezza del fatto che il risultato finale del restauro ci offre adesso la possibilità di apprezzare un’opera, ma che questa è molto diversa da come appariva al momento in cui Leonardo la lasciò interrotta. Questo è il risultato delle alterazioni inevitabili che i materiali hanno sofferto nel tempo. Occorre inoltre ricordare che non siamo davanti altro che ad un livello funzionale solo al risultato che si sarebbe avuto alla fine del processo pittorico e non funzionale ad un raggiungimento che già si potesse definire in termini estetici o di equilibri, sia formali che compositivi. Ricordare, ancora, che tutto ciò che adesso vediamo sarebbe stato ricoperto da altri strati di colore e che comunque, anche in questa fase in cui il lavoro dell’artista si è interrotto, chi avesse visitato la sua bottega avrebbe avuto una impressione sensibilmente diversa anche in relazione alla intonazione generale. Infatti quello che vediamo oggi, soprattutto nelle zone di ombreggiatura e intonato a toni caldi, tipo rosso-marrone, doveva essere in realtà improntato a valori freddi , essendo realizzato con verdi e terra d’ombra; su questi materiali, sensibili ad alterarsi come lo sono i pigmenti a base di rame, ha agito il tempo innescando tutte le reazioni chimico-fisiche cui acconsentono i materiali e, non ultimo, altre alterazioni sono state prodotte dalle azioni dell’uomo in tutti questi secoli.
La caratteristica di non-finito dell’opera ha comportato numerosi problemi e indotto alcune scelte nella conduzione dell’intervento, non ultimo, soprattutto nella fase iniziale, la sensazione di rendere squilibrata cromaticamente la composizione che era stata resa omogenea dalle patinature. In realtà, a lavoro ultimato, sembra di poter dire che, pur avendo lasciato sul colore parte di vernici e patinature, si sia ritrovato un equilibrio che ristabilisce la profondità della costruzione prospettica e rimette in luce l’estrema complessità della composizione.
Lettura finale
A restauro ultimato è possibile riconoscere molti dei temi che saranno presenti nelle opere successive di Leonardo: la battaglia dei cavalli anticipa già gli schizzi preparatori per la mai realizzata Battaglia di Anghiari; il radicamento nella roccia delle radici dell’albero previene il cosiddetto “monocromo” della Sala delle Asse; il pozzo o baratro ai piedi della Madonna accompagnerà poi Leonardo nella Vergine delle Rocce e nella Vergine con la Sant’Anna del Louvre; la mano con l’indice alzato che troviamo in due episodi sull’Adorazione sarà il gesto enigmatico del San Giovanni Battista del Louvre.
Oggi comunque è possibile apprezzare anche a occhio nudo, la dettagliata particolarità della scena, delle singole figure, seguire la peculiare cura nel descrivere quello che già in quest’anni (1481) occupava mentalmente la ricerca di Leonardo, ovvero i cosiddetti “moti dell’anima”; è possibile avanzare delle ipotesi su quelle che sembrano incongruenze tecniche, ma che con ogni probabilità sono dovute ad un ritorno di Leonardo a lavorare sulla Adorazione anni dopo anche se non con intenti di completamento dell’opera. Si tratta di particolari solo abbozzati attraverso linee, ma che nella loro essenzialità parlano di esperienze elaborate da Leonardo negli anni di fine secolo, come ad esempio il ponte sullo sfondo che con la sua arcata sottintende un fiume o un largo bacino d’acqua, lo stesso, probabilmente, che accresce l’acqua ai piedi della Vergine; ponte che verosimilmente discende o è coevo al progetto per il ponte di Galata[36]. Ancora alcune torsioni di figure, anche esasperate, come quella che vediamo di spalle sulla destra, in primo piano; o tutto il gruppo intorno, eseguito con colpi di biacca su fondo scuro, compresa la bella figura di giovane, in piedi, a chiudere la composizione sulla destra, con un interessante abbozzo di anatomia delle gambe.
L’opera, nell’essere stata lasciata interrotta nel suo divenire e nell’offrirci quindi alcune figure solo disegnate e graficamente ombreggiate, e altre in una fase pittorica più avanzata, ci dà anche la possibilità di riconoscere alcune modalità pittoriche che sono qui verosimilmente prodromiche e che, sviluppate successivamente, diventeranno quella specie di mito tecnico che viene conosciuto col termine di “sfumato”. Infatti, una volta completata l’impostazione grafica e sigillatala per mezzo dell’imprimitura, Leonardo inizia la fase pittorica applicando, in modo irregolare e a larghe masse, delle pennellate di colore chiaro, un bianco di piombo con l’aggiunta di poca terra d’ombra, nelle zone di maggior rilievo e che saranno quindi più esposte alla luce; poi con colore scuro, anch’esso a generiche macchie, crea le relative ombre; e quindi attraverso successive velature arriva ad ottenere un graduale passaggio di luce come è possibili vedere già in questa prima fase sulla groppa di uno dei cavalli impegnati nello scontro.
Un’altra parte del dipinto in cui Leonardo utilizza un diverso accorgimento tecnico per realizzare gli effetti di “sfumato” riguarda la fascia di confine tra terra e cielo, una parte che costituisce un trapasso cromatico e uno anche un passaggio di tipo spaziale. Il cielo è una delle poche parti dove l’artista aveva già iniziato la stesura di colore, ancora prima di eseguire gli alberi, con un azzurro chiaro costituito da lapislazzuli e bianco di piombo, steso in spessore sottile, non totalmente coprente e che nelle zone di confine con la parte bassa della raffigurazione è ulteriormente assottigliato, com’è possibile vedere in prossimità degli uomini che sono in attività lavorativa sulla parte alta delle rovine, oppure in prossimità dello scontro tra cavalieri. Con questo accorgimento le linee di contorno delle figure vengono così ad attenuare l’acutezza dei loro profili, diminuendo il risalto plastico e ottenendo un maggior effetto di compenetrazione tra figure e atmosfera. Ricordiamo che queste sono soltanto le prime stesure e che sarebbero state necessarie successive stesure di colore prima di completare l’effetto.
Inoltre c’è un ulteriore aspetto che conferma ancor di più, in quest’opera e a questa data, del 1481, la ricerca da parte di Leonardo degli effetti pittorici che si basano sullo sfumato. In tutta la parte di confine tra terra e cielo si trovano numerosissime impronte digitali dovute al fatto che Leonardo ha intenzionalmente usato le mani per manipolare il colore appena steso, ancora fresco, per renderlo ancora più sottile, ad ottenere un effetto di velatura, quasi di trasparenza, grazie al poterne asportare una parte del colore con la pressione del tessuti epiteliale[37].
Una breve elencazione, questa di alcuni dei recuperi di immagini e dettagli e di conoscenza tecnica che adesso, a restauro completato, sono stati restituiti alla lettura e daranno certo la possibilità di compiere ulteriori passi in avanti nella comprensione del testo complessissimo dell’Adorazione.
Il restauro come progetto e collaborazione
Lo stato di conservazione dell’Adorazione dei Magi, precario e che necessitava di essere affrontato, era ben a conoscenza degli organi della tutela fiorentina che infatti già nel 2002 avevano deciso di avviare l’iter del restauro. Tuttavia l’insorgere di polemiche all’annuncio di tale possibilità aveva condotto a sospendere ogni iniziativa. Tra le varie ragioni che i firmatari dell’appello contrario al restauro adducevano a loro sostegno, si trovava la categorica affermazione secondo la quale la sola ragione di riconquistare un accettabile livello di leggibilità della pittura non giustificava una operazione di pulitura, che veniva considerato un atto invasivo e inutile. Si tratta di una vecchia polemica nell’ambito della storia del restauro, che poggia su una tesi profondamente errata e che, pur volendosi ammantare di un ideale certo positivo, quello del rispetto del dipinto e della sua storia, in realtà nega all’oggetto il valore artistico stesso. Infatti, ogni opera d’arte è costituita da due serie di elementi: da un lato vi sono i materiali costitutivi, assemblati secondo una determinata tecnica artistica; e dall’altro stanno i significati, i contenuti iconografici ed iconologici e i valori espressivi che ci sono trasmessi attraverso la materia, dato che ad essa sono legati in maniera inscindibile e dato che costituiscono i veri motivi per cui ci affanniamo a conservare il dipinto. In un tale contesto i compiti che il restauro può ragionevolmente porsi devono quindi riguardare sia i valori materiali sia quelli immateriali: il restauro deve dunque occuparsi di trasmettere al futuro la materia costitutiva, possibilmente con meno alterazioni possibili; ma anche consentire la più corretta fruizione dei significati, contenuti e valori presenti, individuabili grazie alla ricerca storico-artistica. Negare dunque che un restauro possa essere motivato anche dal recupero di una accettabile leggibilità significa non tenere presente la funzione preminente di ogni opera d’arte che è appunto quella di trasmettere, attraverso la sua materia, tali valori immateriali.
Nel caso dell’Adorazione dei Magi, come già accennato, esistevano addirittura seri problemi ad entrambi i livelli: sia in merito alla conservazione dei materiali che in merito all’alterata leggibilità dei suoi valori espressivi. Oltre alle già ricordate fratture nel supporto ligneo, occorre ricordare che i numerosi materiali accumulatisi nei secoli sulla superficie pittorica, come risultato della continua manutenzione operata all’interno della Galleria granducale, avevano prodotto anche un inizio di strappo superficiale della pellicola pittorica, evidentemente per la presenza di fenomeni di ritiro dovuti alla presenza di colla animale, come le analisi hanno dimostrato. Già all’osservazione con una semplice luce radente emergevano chiaramente delle irregolarità di andamento della superficie che mostravano distacchi di materiale pittorico ad uno stato incipiente e che, con il tempo, avrebbero potuto mutarsi in vere e proprie perdite di colore.
Il progetto di conservazione messo a punto dal gruppo di lavoro formatosi intorno a quest’opera è stato concepito, secondo la metodologia propria dell’Opificio, attraverso vari passi successivi: intervento di restauro volto a eliminare, quanto possibile, i sopra citati elementi di degrado; provvedimenti di conservazione preventiva rivolti alla ricollocazione definitiva, quali la realizzazione di una scatola di stabilizzazione microclimatica del supporto; e l’elaborazione di proposte per una manutenzione programmata, resa oggi più agevole grazie al recente accordo tra le Gallerie degli Uffizi e l’Opificio per una piena collaborazione per la migliore conservazione di tali straordinarie raccolte d’arte.
La approfondita campagna di documentazione e di indagini diagnostiche è stata coordinata da Roberto Bellucci e si è indirizzata a cercare di acquisire una piena comprensione della tecnica artistica impiegata da Leonardo, della genesi creativa di quest’opera rimasta incompiuta e dei problemi di degrado esistenti, al fine di individuarne le cause. Da tutto ciò, insieme con i risultati di una riflessione sui significati storico-artistici del capolavoro e con le indicazioni sulla sua storia conservativa - questa parte studiata negli archivi da Gabriella Incerpi - sono derivate le linee guida per la pulitura del dipinto, operazione delicatissima, condotta da Roberto Bellucci e Patrizia Riitano; e per il risanamento del supporto ligneo, compiuto da Ciro Castelli ed Andrea Santacesaria, con la collaborazione di Alberto Dimuccio. Gli storici dell’arte che hanno seguito il lavoro sono stati il soprintendente dell’Opificio, Marco Ciatti, e chi scrive queste note.
Non è stata quella condotta dall’OPD la prima ricerca tecnico-scientifica effettuata sul dipinto, trattandosi di un’opera fra le più importanti del nostro patrimonio artistico. Per cominciare, e perché troppo spesso misconosciute, è doveroso segnalare le acute e basilari osservazioni compiute da Pietro Sanpaolesi nel 1954[38] e, nel 1977, da Luisa Becherucci[39]. Si deve a loro il primo attento e profondo esame del dipinto, anche senza l’utilizzo di una strumentazione scientifica, la valutazione di alcuni dei suoi principali problemi conservativi e delle sue caratteristiche fisiche, oltre all’evidenziazione di particolari curiosi, quale, ad esempio, la presenza di un elefante nello sfondo montuoso a destra, che, quindi, era già stata vista ad occhio nudo e pubblicata nel 1956, da Piero Sanpaolesi[40].
In epoca più recente furono condotte due campagne diagnostiche, una nel 1992, promossa da Umberto Baldini[41], ed una nel 2001-2002. Quest’ultima, all’epoca, avrebbe dovuto essere preliminare al restauro dell’opera, che però, come ricordato precedentemente, non fu mai effettuato[42].
La ragione del ripetersi delle campagne diagnostiche, oltre che nell’attenzione da sempre dovuta alla comprensione e alla cura conservativa di un’opera così complessa, può essere scaturita anche dal grande sviluppo delle tecniche diagnostiche per i Beni Culturali avvenuto negli ultimi decenni, per cui quello che una volta poteva essere solo ipotizzato oggi può essere avvicinato con una maggiore possibilità di comprensione e di discrimine tra elementi.
La campagna diagnostica condotta dall’Opificio in occasione di questo restauro ha una simile ragion d’essere, ma deriva anche dalla necessità di fare chiarezza su molte interpretazioni, generalmente non condivise dalla comunità degli studiosi di Leonardo, che si erano diffuse a seguito delle precedenti analisi. Attraverso ripetute comunicazioni a mezzo grande stampa[43], comunicazioni orali in sedi pubbliche (conferenze e convegni) e attraverso una sola pubblicazione di tipo specialistico[44], erano state infatti diffuse rivelazioni circa il fatto che si dovesse espungere dal corpus di Leonardo da Vinci la facies visibile dell’opera, in quanto completamente ridipinta in epoca tarda. Secondo questa azzardata interpretazione, quindi, l’originale leonardesco, sarebbe limitato al solo disegno preparatorio[45]. Anche in un successivo contributo relativo allo studio sul disegno preparatorio dell’assetto architettonico dell’Adorazione, conservato al GDSU, si ribadiva l’asserzione[46].
La campagna di indagini e ricerche che ha condotto all’attuale restauro ha fin dall’inizio avuto una scelta di metodo di base: quella di usare estensivamente tecniche non invasive di indagine, in omaggio al massimo rispetto dell’opera e limitare all’essenziale le analisi che necessitano di materiale pittorico prelevato dall’opera. Abbiamo sentito anche particolarmente il dovere di preservare l’opera, dato che nel 2001-2002 vennero eseguiti molti prelievi stratigrafici, i risultati dei quali sfortunatamente non sono stati resi noti in sede scientifica, se non in minima parte.
L’intera compagine di esperti scientifici che ha effettuato, preliminarmente e nel corso del restauro, le vare indagini, costituisce un gruppo di altissimo livello e offre un quadro corrispondente ad alcune delle molte collaborazioni istituzionali che rendono l’Opificio delle Pietre Dure competitivo non solo in sé, ma soprattutto come rete di competenze e specialismi che sa attivare[47].
Ma è soprattutto importante sottolineare la valenza pluridisciplinare che si è voluto dare al lavoro, scelta che ci ha guidato durante tutto il lavoro, con una vera integrazione fra competenze diverse. Si tratta di un assunto metodologico che può sembrare quasi banale, ma che non si ribadirà mai abbastanza come sia il metodo di lavoro portante nel campo del restauro, non solo durante le fasi di intervento, ma anche in fase di progettazione, realizzazione ed interpretazione della diagnostica. Lo storico dell’arte e il restauratore hanno una funzione primaria, anche in questo, che discende dalle loro competenze relative alla contestualizzazione storica e alla conoscenza delle tecniche artistiche, dei materiali e delle loro interazioni che solo in concomitanza reciproca possono allargare il campo dalla mera acquisizione dei dati. Nella conduzione di questa campagna diagnostica, non a caso, infatti, fin dall’inizio si sono potute opporre interpretazioni ragionate alle enunciazioni scaturite da quella del 2001-2002, cui non parteciparono attivamente queste figure professionali. Il fatto che l’opera divenga area di convergenza dei percorsi conoscitivi attuati da storico dell’arte, restauratore ed esperto scientifico non significa affatto che le competenze debbano coesistere in un medesimo soggetto professionale. E dove ciò avviene (e in questo caso si stigmatizza sia avvenuto in passato, ad opera dell’esperto di diagnostica del tempo) ne esce un depauperamento del contenuto e una visione nettamente positivista del dato scientifico, carente dal punto di vista della comprensione del contesto e delle interazioni dei materiali tra loro e nel tempo.
In omaggio alla trasparenza delle operazioni e alla necessità di coinvolgimento del pubblico, sia specialistico che generico, nei confronti di un restauro tanto atteso e di un’opera considerata fra i massimi vertici artistici di tutti i tempi, ma, al tempo stesso, tanto complessa per la comprensione e l’inusitato stato di incompiuto, alcune pubblicazioni dei risultati della diagnostica e dei primi passi del restauro sono stati già comunicati, sia a stampa che in convegni specialistici. L’Opificio ha sempre avuto, infatti, nel corso della sua attività, questo atteggiamento di apertura, condivisione e diffusione dei contenuti[48]. Il restauro ha trovato poi una prima sede di pubblicazione nel catalogo della mostra con cui si è celebra il rientro dell’Adorazione dei Magi agli Uffizi: Il cosmo magico di Leonardo da Vinci: l'Adorazione dei Magi restaurata, a cura di E. D. Schmidt, M. Ciatti e D. Parenti. I contenuti tecnici e scientifici, ma anche gli arricchimenti e gli approfondimenti storici, storico-artistici e di contenuto che gli anni di lavoro e di studio sull’opera hanno stimolato e prodotto, troveranno una più ampia sede di diffusione in un volume dedicato, Il restauro dell’Adorazione dei Magi di Leonardo. La riscoperta di un capolavoro, a cura di M. Ciatti e C. Frosinini, che uscirà a breve nella collana che l’Opificio delle Pietre Dure dedica ai capolavori oggetto dei suoi restauri. Inoltre, nel gennaio 2019, si terrà agli Uffizi un convegno di studi dedicato al restauro dell’Adorazione dei Magi e alle riflessioni storico-artistiche da esso stimolate, organizzato dalle Gallerie degli Uffizi e dall’Opificio delle Pietre Dure, che vedrà la partecipazione di un’ampia selezione di specialisti del settore.
note
[1] Il contratto di allogazione (Firenze, Archivio di Stato, Conventi soppressi, S. Donato a Scopeto, Carte di S. Jacopo Sopr’Arno. Giornale e ricordi, 1479-1482, foglio 81v), è stato pubblicato per la prima volta da Gaetano Milanesi, nel 1872, (Documenti inediti riguardanti Leonardo da Vinci, in “Archivio Storico Italiano”, n. 3, 16. 1872, pp. 219-230), con poi aggiunte di Jacques Mesnil, nel 1906 (in “Rivista d’Arte”, maggio-giugno 1906, pp. 100-102) e di Giovanni Poggi nel 1910 (Note su Filippino Lippi. La tavola per San Donato a Scopeto e l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, in “Rivista d’Arte”, 1910, pp. 93-101). Per una moderna trascrizione, rivista e commentata, si veda E. Villata, V. Arrighi in Leonardo da Vinci, la vera immagine, Documenti e testimonianze sula vita e sulle opere, Firenze-Milano, 2005, pp. 72-82; 83-89.
[2] Vedi lettera di presentazione scritta da Leonardo stesso a Ludovico il Moro e la cui minuta è conservata nel Codice Atlantico. Per una analisi di questo testo si veda anche M. Della Putta Johnston, Leonardo da Vinci: scriversi come uomo di scienza, in “Mnemosyne”, 7, 2014, pp. 33-46
[3] Secondo la versione data dall'Anonimo Gaddiano (C. Vecce, Leonardo, presentazione di C. Pedretti, Roma 1998, p. 360), Leonardo fu inviato da Lorenzo a Ludovico il Moro, con Atalante Migliorotti, come esperto suonatore di "lira all'improvviso".
[4] A. Cecchi, Una predella e altri contributi per l'Adorazione dei Magi di Filippino, in I pittori della Brancacci agli Uffizi, in “Gli Uffizi. Studi e ricerche”, 5, 1988, pp. 59-72.
[5] L’edificio purtroppo non è censito nel "Libro delle stime degli edifici private (...) demoliti per costruire le fortificazioni (... ) da Michelangelo" (scritto dal 1 novembre 1529-20 al marzo 1530), oggi conservato al Getty Research Institute di Los Angeles (inv. 860787). Dell’intero codice sono purtroppo sopravvissuti solo due fascicoli e mancano, tra gli altri, quelli relativi agli edifici demoliti fuori Porta Romana. Cfr. G. Rebecchini, Beyond Florence's Walls: A List of Evaluations of Buildings to Be Demolished during 1529 to 1530, in “Getty Research Journal”, n. 3, 2011, pp. 163-168.
[6] Giorgio Vasari, Le Vite, II ed. 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze 1976, vol. IV, p. 24.
[7] Sui rapporti di Leonardo con la famiglia Benci si veda A. Cecchi, New Light on Leonardo’s Florentine Patrons, in Leonardo da Vinci Master Draftsman, catalogo della mostra, (New York, Metropolitan Museum, 2003), a cura di ,C. Bambach, New York, 2003,, ,pp. 121-137.
[8] L. Becherucci, L’Adorazione dei Magi, citato in nota 3.
[9] Si veda, per il momento, G. Incerpi, Semplici e continue diligenze. Conservazione e restauro dei dipinti nelle Gallerie di Firenze nel Settecento e nell’Ottocento, Firenze, 2011, p. 24, 79.
[10] G. Vasari, Le Vite, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, ed. Torrentina, Firenze, 1966-1987, vol. IV, p. 19.
[11] Il Codice Arundel 263 nella British Library, edizione a cura di C. Vecce, Firenze 1998, p. 580.
[12] Op. cit., c. 180 v (cfr. Aforismi, novelle e profezie di Leonardo da Vinci, con introduzione di M. Baldini, 1993, p. 3)
[13] L. Fusco - G. Corti, Lorenzo de' Medici on the Sforza Monument, in Achademia Leonardi Vinci, V (1992), pp. 11-32.
[14] Leonardo da Vinci: i documenti e le testimonianze contemporanee, a cura di E. Villata, Milano 1999, p. 203, n. 236.
[15] Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura (rielaborazione di Francesco Melzi), Codex Urbina Latinus 1270, cc 61v-62 (oggi in Leonardo da Vinci, Libro di Pittura, I-II, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, Firenze 1999, vol. I, pp. 221-222). “Adunque, pittore, componi grossamente le membra delle tue figure, e attendi prima ai movimenti appropriati agli accidenti mentali degli animali componitori dell’istoria che alla bellezza e bontà delle loro membra. Perché tu hai a intendere che, se tal componimento inculto ti riuscirà appropriato alla sua invenzione, tanto maggiormente satisfarà, essendo poi ornato della perfezione appropriata a tutte le sue parti. Io ho già veduto ne’ nuvoli e muri macchie che m’hanno desto a belle invenzioni di varie cose, le quali macchie, ancoraché integralmente fossero in sé private di perfezione di qualunque membro, non mancavano di perfezione ne’ loro movimenti o altre azioni”
Sul componimento inculto di Leonardo e i suoi scritti in proposito si veda E. H. Gombrich, I precetti di Leonardo, per comporre delle storie, in Norma e forma. Studi sull’arte del Rinascimento, Torino 1973, pp. 84-92. Per il processo disegnativo di Leonardo si veda C. Bambach, “Porre le figure disgrossatamente”: Gli schizzi di Leonardo e l’immaginazione creativa, in Leonardo da Vinci, 1452-1519,: il disegno del mondo, catalogo della mostra, a cura di P. C. Marani e M. T. Fiorio, Palazzo Reale, Milano, 2015, pp. 51-61. Per una lettura del termine “componimento inculto” come “composizione non istruita” e per i rapporti della tipologia di lavoro con l’idea medievale di “fantasia”, si veda M. Pardo, Memory, imagination, figuration: Leonardo da Vinci and the Painter’s mind, in Images of Memory. On remembering and Representation, ed. S.L. Küchler and W. Melion, Washington-London, 1991, p. 212-224 (riedito in C. Farago( a cura di)., Leonardo’s Writings and Theory of Art, New York and London, 1999, pp. 113-150). E, più recentemente, B. Fanini, Dall’invenzione al cartone. Appunti sul lessico artistico d Leonardo, in “Studi di Memofonte”, XI, 2013, pp. 227-256, che legge “inculto” come approssimativo (nota 162, p. 247).
[16] G. Martines, La colonna traiana e i chiaroscuri della Sala di Costantino in Vaticano: note sul monocromo, in “Bollettino d’Arte”, 1986 pp. 31-36.
[17] Vasari, ed. Bettarini-Barocchi, vol. 1, pp. 139-140.
[18] L’argomento del quadrato, così come quello del cerchio, entrambi simboli di perfezione geometrica, era particolarmente interessante per Leonardo, che nel suo trattato scrive: “E se il geometra riduce ogni superficie circondata da linee alla figura del quadrato”; cfr. Leonardo da Vinci, Libro di Pittura, Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, trascrizione di C. Vecce, a cura di C. Pedretti, 1995, cap. 13.
[19] La creazione del primo sistema a scansione per l’acquisizione d’immagini in IR, da parte dell’Istituto di Ottica di Firenze, è stato pubblicato in: D. Bertani, M. Cetica, P. Poggi, G. P. Puccioni, E. Buzzegoli, D. Kunzelman, S. Cecchi, A scanning device for infrared reflectography, in «Studies in conservation», XXXV (1990), 3, pp. 113-116. La successiva implentazione fu quella di ottenere, contemporaneamente all’immagine in IR anche l’immagine a colori: R. Fontana, M. Materazzi, L. Pezzati, P. Poggi, Uno scanner per riflettografia infrarossa e immagine a colori, in Lorenzo Lotto. Il compianto sul Cristo morto: studi, indagini, problemi conservativi, Atti della Giornata di Studio (Bergamo, 14 dicembre 2001), Milano, 2002, pp. 113-115. Attualmente lo scanner IR è stato reso in grado di acquisire 14 diverse bande elettromagnetiche nell’IR: R. Bellucci, C. Frosinini, L. Pezzati, Caravaggio’s underdrawing: A ‘Quest for the Grail’?, in Studying Old Master Paintings. Technology and Practice. The National Gallery Technical Bulletin 30th Anniversary Conference Postprints, a cura di M. Spring, London, 2011, pp. 118-124; R. Fontana, D. Bencini, P. L. Carcagnì, M. Greco, M. Mastroianni, M. Materazzi, E. Pampaloni, L. Pezzati, Multi-spectral IR reflectography, Proc. SPIE, 2007, vol. 6618
[20] Studio preparatorio per l’Adorazione dei Magi, 1481, punta secca, penna e inchiostro bruno su carta, 28,4 x 21,3 cm, Museè du Louvre, Dèpartement des Arts Graphiques, n. R.F. 1978 28,4 x 21,3 cm; Studio per l’Adorazione dei Magi, 1481, penna e inchiostro ferro gallico, con punta d’argento e biacca su carta, 16,3 x 29 cm, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze, n. 436 E. Per quanto riguarda lo studio della prospettiva disegnata da Leonardo sul disegno degli Uffizi, si veda F. Camerota, La costruzione prospettica, in La mente di Leonardo nel laboratorio del Genio Universale, a cura di P. Galluzzi, Firenze, 2006, pp. 91-93; F. Camerota, Lo studio prospettico, in Leonardo da Vinci Studio per l’Adorazione dei Magi, Roma, 2006, pp. 108-179.
[21] Per l’equivalenza del braccio da panno fiorentino, si veda U. Procacci, Studi sul catasto fiorentino, Firenze, 1992, p. 90.
[22] Leonardo da Vinci, Libro di Pittura, p. 175, par. 410.
[23] Il testo biblico di riferimento è il Libro del profeta Isaia, cap XI, 1: «Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.». Per una lettura iconografica in tal senso si veda A. Natali, Il Tempio e la radice, in Leonardo il giardino delle delizie, a cura di A. Natali, Milano, 2002, pp. 87-101; e il suo saggio in questo stesso volume.
[24] Leonardo da Vinci, Ms A, 1492 codice cartaceo, Institut de France, Parigi, f. 41r.
[25] Per il termine tecnico di undermodelling si veda M. C. Galassi, Underdrawing vs. undermodelling: form construction in Tuscan painting during the first half of the 15th century, in La peinture et le laboratoire: procédes, méthodologie, applications; le dessin sous-jacent et la technologie dans la peinture, Colloque XIII pour l'Étude du Dessin Sous-Jacent et de la Technologie de la Peinture (Bruges, 15 - 17 septembre 1999), a cura di R. van Schoute, Louvain 2001, pp. 131-141.
[26] Leonardo da Vinci, Libro di Pittura, , cap. 328
[27] G. Colalucci, Leonardo’s St. Jerome Notes on Technique, State of Conservation and its Restoration in High Renaissance in the Vatican: The Age of Julius II and Leo X, Tokyo, 2003, p. 109.
[28] La bibliografia tecnica di riferimento per queste nuove indagini è la seguente:
1) per la Vergine delle Rocce della National Gallery di Londra: L. Syson, R. Billinge, Leonardo da Vinci’s use of underdrawing in the Virgin of the Rocks in the National Gallery and in St Jerome in the Vatican, in “The Burlington Magazine”, CXLVII, 1228, July 2005, pp. 450-63; L. Keith, A. Roy, R. Morrison, Leonardo da Vinci’s Virgin of the Rocks: technique and the context of restoration, in Studying Old Master Paintings. Technology and Practice, The National Gallery Technical Bulletin 30th Anniversary Conference Postprints, ed. by M. Spring, London 2011, pp. 72-79; L. Keith et alii, Leonardo da Vinci’s Virgin of the Rocks: Treatment, Technique and Display, In “National Gallery Technical Bulletin”, 32, 2011, pp. 32-56; L. Keith, In pursuit of perfection. Leonardo’s Painting Technique, in Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan, ex. catalogue, ed. by L. Syson and L. Keith, London 2011, pp. 55-77;
2) per la Sant’Anna e la Vergine del Louvre: La Sainte Anne, l’ultime chef-d’œuvre de Léonard de Vinci, a cura di V. Delieuvin, Paris 2012; in particolare M. Lavandier, L’esamen scientifique et la restauration de la Sainte Anne, p. 365; M. Eveno et alii, La mise en oeuvre de la Sante Anne, pp. 366-380; P. Curie, C. Pasquali, Restaurer la Sainte Anne, pp. 381-392.
3) per la Belle Ferronière del Louvre: E. Ravaud, M. Eveno, La Belle Ferronière: a non invasive technical examination, in Leonardo da Vinci's technical practice. Paintings, drawings and influence, ed. by M. Menu, Paris 2014, pp. 126-138.
4) per la Ginevra de’ Benci: E. Walmsley, Leonardo’s portrait of Ginevra de’ Benci: a reading of the X-radiographs and infrared reflectographs, ivi, pp. 56-71.
5) per la Vergine delle Rocce del Louvre: V. Delieuvin, B. Mottin, E. Ravaud, The Paris Virgin of the Rocks: a new approach based on scientific analysis, ivi, pp. 72-99.
[29] Per il disegno sotto imprimitura si veda P. Riitano, C. Seccaroni, Attorno all’imprimitura, in Raffaello, la rivelazione del colore. Il restauro della Madonna del Cardellino, a cura di M. Ciatti, C. Frosinini, A. Natali e P. Riitano, Firenze 2008, pp. 95-103. In altre opera di Leonardo è stato rilevato lo stesso espediente tecnico: si veda la Vergine delle Rocce di Londra, la Sant’Anna del Louvre, la Ginevra de’ Benci (per la bibliografia di riferimento si veda più avanti alla nota 45.
[30] Libro del profeta Isaia, 10, 4.
[31] L. Becherucci, L’Adorazione dei Magi, citato in nota 3.
[32] Nel trattamento venivano utilizzati diversi materiali e solventi: vapori di alcol, benzina, petrolio, acqua ragia, etere solforico, cloroformio, solfuro di carbonio, balsamo copaive.
[33] P. Sanpaolesi, I dipinti di Leonardo agli Uffizi, citato in nota 2; L. Becherucci, L’Adorazione dei Magi, citato in nota 3; U. Baldini, Un Leonardo inedito, citato in nota 5; A. Natali, Sul restauro d’opere d’arte, citato in nota 6.
[34] Le ricerche, curate da G. Incerpi, saranno pubblicate nel volume a cura dell’Opificio delle Pietre Dure, "Il restauro dell’Adorazione dei Magi di Leonardo. La riscoperta di un capolavoro".
[35] Noto è l’assunto di K. Clark, (Leonardo da Vinci. An account of his development, as an artist, Cambridge 1939, p. 35) per cui lasciare l’Adorazione allo stadio di non finito era l’unica possibilità per Leonardo di non distruggerne l’unità e non compromettere le intricate relazioni ritmiche fra i personaggi (“Could they have survived the Florentine ideal of finish?”). Paul Hills, Leonardo’s Adoration of the Magi and Its Antecedents, MA diss., Courtauld Institute of Art, 1971; e Luke Syson, Leonardo da Vinci painter at the Court of Milan, catalogo della mostra (London, National Gallery, 2011), pp. 58–59, considerano l’Adorazione dei Magi come un’opera che non poteva essere completata. Della difficoltà di padroneggiare la composizione da parte di Leonardo da Vinci parla anche F. Fiorani, Why Did Leonardo Not Finish the Adoration of the Magi?, in Illuminating Leonardo. A Festschrift for Carlo Pedretti Celebrating His 70 Years of Scholarship (1944–2014), a cura di C. Moffatt e S. Taglialagamba, Leiden e Boston 2016, pp. 137-150.
[36] Per notizie sul ponte di Galata, citato da Leonardo nel Ms L, foglio 66 recto, dell'Institut de France, si veda M. Versiero, Leonardo da Vinci, nel mare dei saperi del Rinascimento: tra civiltà delle immagini e cultura delle scienze, in “Studi Filosofici, Bibliopolis”, XXXIII, 2010, pp. 33-47 (p. 40), con bibliografia precedente.
[37] Si ringrazia il RIS di Roma dell’Arma dei Carabinieri, Fingerprint Unit, e in particolare il Tenente Colonnello Gianpaolo Iuliano, capo divisione, per aver effettuato questo tipo di indagine che troverà adeguata sede di comunicazione nel volume di prossima uscita dedicato all’opera che pubblicherà l’Opificio.
[38] P. Sanpaolesi, I dipinti di Leonardo agli Uffizi, in Leonardo: Saggi e ricerche, a cura del Comitato per le onoranze a Leonardo da Vinci, Roma 1954, pp. 27-46
[39] L. Becherucci, L'Adorazione dei magi, in Leonardo: la pittura, Firenze 1977, pp. 69-80.
[40] P. Sanpaolesi, citato in nota 2; si segnala come il particolare dell’elefante abbia poi trovato eco mediatica, nel 2002, come se fosse emerso solo allora. L’argomento adesso è stato approfondito e studiato da Roberta Bartoli, nel saggio che apparirà nel volume di studi dedicato al restauro e curato dall’Opificio delle Pietre Dure.
[41] Umberto Baldini, Un Leonardo inedito, Firenze 1992.
[42] Come è noto dalle cronache, il restauro non ebbe seguito a causa di numerose polemiche e discussioni che oggi possono essere seguite principalmente attraverso la serie di articoli pubblicati nella rivista “Kermes”: J. Beck, Leggibilità e restauro, in “Kermes. La rivista del restauro”, XIV, luglio-settembre 2001, pp. 11-12; A. Natali, Sul restauro d’opere d’arte (e sul concetto della leggibilità), ivi, XV, luglio-settembre 2002, pp. 21-23; G. Bonsanti, Pulitura e restauro pittorico, ivi, pp. 24-25; A. Paolucci, La leggibilità dell’opera d’arte antica, ivi, XIV, aprile-giugno 2002, pp. 15-16; AA. VV., Leonardo: accuse e disinformazione, ivi, pp. 17-18. Nel suo articolo A. Paolucci, all’epoca responsabile della Soprintendenza e, di conseguenza, della Galleria degli Uffizi, che da questa dipendeva, riassunse così la sua decisione di non intraprendere il restauro: “Perché non volevo offrire argomenti alle polemiche di Beck e al pessimismo degli illustri colleghi che paventavano esiti devastanti. Perché - l'ho detto al "Giornale dell'Arte" - non volevo trasformare il restauro di Leonardo nella Casa del Grande Fratello. Perché infine, l'Adorazione così com'è non corre alcun pericolo. Può aspettare, per la sua pulitura, tempi migliori, un clima più disteso, confronti più ragionevoli e più pacati. Si è trattato di una decisione che non esito a definire “politica”. Essendo diritto (e dovere) di un Soprintendente valutare gli interventi secondo criteri di necessità (che nel caso specifico non c'era) e di opportunità (che invece c'era, eccome). Sed de hoc satis.”.
[43] A solo caso esemplificativo si cita l’articolo più ampio in merito (ma un’ampia selezione è ancora rintracciabile via internet): M. Hannenberg, The Leonardo Cover-up, in “The New York Time Magazine”, April 21, 2002, pp. 42-48.
[44] M. Seracini, Indagini diagnostiche sulla Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, in La mente di Leonardo. Il laboratorio del Genio universale, catalogo della mostra, a cura di P. Galluzzi, Firenze 2006, pp. 94-101. Un'altra pubblicazione, relativa allo stato di conservazione del supporto venne proposta in G. Guidi, C. Atzeni, M. Seracini, S. Lazzeri, Painting Survey by 3D Optical Scanning - The Case of the Adoration of the Magi by Leonardo Da Vinci, in “Studies in Conservation”, 49, 1, 2004, pp. 1-12.
[45] Nell’intervista giornalistica sopra citata, Seracini affermava esplicitamente: “None of the paint we see on the Adoration today was put there by Leonardo. God knows who did but it was not Leonardo”.
[46] M. Seracini, Oltre il visibile. Indagini scientifiche sul disegno, in Leonardo da Vinci. Studio per l’Adorazione dei Magi, a cura di F. Camerota, Roma, 2006, pp. 33-107.
[47] Questo l’elenco degli istituti di ricerca e delle persone coinvolti nella campagna diagnostica: Documentazione fotografica ad alta risoluzione speciale: Roberto Bellucci (OPD); Roberto Bellucci e Fabrizio Cinotti (documentazione fotografica in UV riflesso), con la consulenza di Ezio Buzzegoli (OPD); Centrica srl (documentazione fotografica RGB ad alta risoluzione); Haltadefinizione (documentazione fotografica UV Riflesso ad alta risoluzione); Climatologia e conservazione preventiva: Roberto Boddi (fino al 2015), Monica Galeotti e Sandra Cassi (OPD); Ufficio Tecnico e movimentazione: Giancarlo Penza, Filippo Lagna, Marco Vicarelli. Indagini diagnostiche: Indagini chimiche e spettrofotometria: Laboratorio Scientifico dell’OPD: Carlo Galliano Lalli, Giancarlo Lanterna e Andrea Cagnini; riconoscimento delle fibre: Isetta Tosini; Radiografia X: Alfredo Aldrovandi, direttore del Laboratorio Fotografico, con Ottavio Ciappi, Roberto Bellucci (OPD) e Mattia Patti (ricercatore dell’Università di Pisa); Riflettografia Multi-NIR: Roberto Bellucci (OPD), Mattia Patti (ricercatore dell’Università di Pisa), con apparecchiatura prototipale di INO-CNR (Istituto Nazionale di Ottica): Luca Pezzati, Raffaella Fontana, Marco Barucci, Enrico Pampaloni; Fluorescenza X: Claudio Seccaroni, con la consulenza di Pietro Moioli (Ente per le Energie rinnovabili e l’Ambiente (ENEA) - La Casaccia, Roma); Ft-IR a fibre ottiche: Bruno G. Brunetti, Alessia Daveri, (Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Chimica); Gascromatografia di massa: Maria Perla Colombini, Alessia Andreotti, Ilaria Bonaduce, Anna Lluveras Tenorio (Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di chimica); Rilievo 3D per la misurazione delle micro deformazioni: Massimiliano Pieraccini con la collaborazione di Alessandro Spinetti (Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Ingegneria); 3D Scanning: Paolo Pingi, Eliana Siotto, Gianpaolo Palma, Roberto Scopigno (IVisualComputing Lab, ISTI-CNR); OCT (Optical Coherence Tomography): Piotr Targowski, Marcin Sylwestrzak, Magdalena Iwanicka (Università Nicolaus Copernicus di Torun, Polonia); XRF scanning:, Lisa Castelli, Anna Mazzinghi, Chiara Ruberto, Francesco Taccetti Pier Andrea Mandò (Labec, INFN, Firenze).
[48] M. Ciatti, Leonardo e l’Opificio, in “Kermes”, 85, 2012, pp.21-23; R. Bellucci, M. Ciatti, C. Frosinini, P. Riitano, Un nuovo avvicinamento sistematico al restauro dell’“Adorazione dei Magi” di Leonardo da Vinci, in “OPD Restauro”, XXIV, 2012(2013), pp. 45-56; C. Frosinini, L’ “Adorazione dei Magi” di Leonardo da Vinci e le prime indagini diagnostiche presso l’Opificio delle Pietre Dure: oltre il visibile, in Leonardo da Vinci and optics, a cura di F. Fiorani e A. Nova, Venezia 2013, pp. 333-351; R. Bellucci, M. Ciatti, C. Frosinini, P. Riitano, Leonardo’s ‘Adoration of the Magi’ at the Uffizi: preliminary technical studies at the OPD, in Leonardo da Vinci’s technical practice, a cura di M. Menu, Paris 2014, pp. 32-39; M. Ciatti e C. Frosinini, Avanzamenti circa il restauro dell’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, in “Kermes”, XXVII, 94-95, 2015, pp. 143-145; C. Frosinini, L’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci. Il recupero dell’immagine, in Leonardo da Vinci. Metodi e tecniche per la costruzione della conoscenza, a cura di P. C. Marani e R. Maffeis, Casorate Sempione (VA) 2016, pp. 83-91. Gli avanzamenti del restauro sono stati inoltre presentati in alcune conferenze internazionali, tra cui: C. Frosinini, The Adoration of the Magi - The Fertile Mind of Leonardo da Vinci, New York University, 3 dicembre 2013 (2013-2014 NYU Kress Lecturer in Paintings Conservation); C. Frosinini, The Adoration of the Magi like you’ve never seen it before, The Metropolitan Museum of Art, 9 dicembre 2014; R. Bellucci, The importance of digital documentation in the conservation of historical heritage, Anno della Cultura Italiana in America Latina, Science and Innovation for the Study and Conservation of the Works of Art, Buenos Aires, 2 dicembre 2015.