Omaggio ‘Dantesco’ alle Gallerie degli Uffizi
Grazie alla donazione degli 'Amici americani degli Uffizi' entra in collezione ‘Il Conte Ugolino’, opera di Fra’ Arsenio Mascagni degli inizi del ‘600
Omaggio ‘Dantesco’ alle Gallerie degli Uffizi
Prestigiosa e rara acquisizione dantesca, per le collezioni delle Gallerie degli Uffizi, in occasione delle Celebrazioni per il Settecentenario della morte dell’Alighieri. Il museo ha infatti ricevuto in dono dai Friends of the Uffizi Gallery – il ramo americano degli Amici degli Uffizi - la tela raffigurante ‘Il Conte Ugolino’, realizzata dal pittore fiorentino del primo Seicento Fra’ Arsenio, al secolo Donato Mascagni.
L’opera,di grandi dimensioni e anche per questo di notevole impatto, verrà presto esposta, in via temporanea, nella sala della Niobe al secondo piano della Galleria delle Statue e delle Pitture, dove rimarrà fino alla fine dell’anno dantesco.
Il dipinto si lega a uno degli episodi più celebri della Divina Commedia, descritto nel XXXIII canto dell’Inferno. Ne è protagonista il conte Ugolino Della Gherardesca, colpevole di tradimento della patria: peccato massimamente infame nella visione di Dante, che per questo lo precipita nel nono cerchio, il più profondo e vicino a Lucifero. Nella realtà storica il nobile pisano venne rinchiuso insieme a due figli e due nipoti nella Torre Muda a Pisa, e lì condannato a morire di fame. Il Poeta narra la vicenda concludendola con il celebre verso “Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno”, ricordando come Ugolino per disperazione si fosse cibato della carne dei congiunti: una parte della storia efferata e cruenta che l’artista ha evitato, preferendo il momento non meno drammatico (ma molto meno truce) delle ultime fasi della loro lenta agonia. Nel dipinto viene rappresentata la scena che precede il tragico epilogo, quella corrispondente alla terzina “come un poco di raggio si fu messo/nel doloroso carcere, e io scorsi/per quattro visi il mio aspetto stesso”. Nella resa visiva dei versi danteschi, Fra’ Arsenio raggiunge l’apice del dramma: in primo piano una luce livida rivela due corpi già privi di vita, mentre sullo sfondo si accascia un giovane, consumato dalla fame. Sulla destra un nudo tremante in piedi, prossimo alla morte; Ugolino al centro, raffigurato da tergo, assiste impotente alla fine dei suoi cari prima di morire lui stesso. I corpi si stagliano su uno sfondo scuro, illuminati da un fascio di luce cruda che evidenzia le anatomie, rese nella loro miseria fisica con inesorabile esattezza anatomica. La spigolosità di alcuni profili rivela l’attenzione alla verità e la vocazione naturalistica di Fra’ Arsenio, che a Firenze aveva probabilmente assimilato questi caratteri stilistici da Jacopo Ligozzi e dai cicli di affreschi di Bernardino Poccetti. L’attribuzione della tela al pittore si deve a Mina Gregori, pioniera degli studi sul Seicento fiorentino: grazie all’inconfondibile soggetto, in testi dell’epoca la studiosa ha rintracciato l’ubicazione originaria del dipinto nella Spezieria del Convento Servita della Santissima Annunziata di Firenze, dove è rimasto fino alla seconda metà dell’Ottocento.
Fra’ Arsenio, al secolo Donato Mascagni, entrò nella comunità eremitica dei Servi di Maria di Montesenario nel 1605; dal 1608 al 1614 fu interno nel convento fiorentino della Santissima Annunziata, dove realizzò ‘Il Conte Ugolino’.
Il valore dell’opera è dato anche dalla rarità del soggetto per l’epoca. Dal Medioevo infatti si conosce un numero cospicuo di illustrazioni della Divina Commedia su carta (gli Uffizi possiedono la splendida serie ad essa dedicata con 88 fogli disegnati da Federico Zuccari negli anni Ottanta del Cinquecento), mentre fino all’Ottocento le rappresentazioni in pittura o scultura di episodi danteschi costituiscono una vera e propria rarità.