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Approfondimenti | 07/08/2018

Presentazione della Vergine al Tempio di Niccolò di Buonaccorso

Presentazione della Vergine al Tempio di Niccolò di Buonaccorso

Niccolò di Buonaccorso ( Siena, documentato dal maggio 1372 - Siena, 17 maggio 1388 )

Presentazione della Vergine al Tempio

1380

Dipinto a tempera su tavola

cm 51 x 34 x 3,2 (con cornice)

Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture

Inv. 1890 n. 3157

 

Tecnica e misure

L’opera è costituita da una tavola in legno dipinta a tempera su fondo oro, con cornice lignea intagliata di forma rettangolare ad essa solidale, composta da semplici modanature contornanti la superficie pittorica. Nella parte superiore, la scena principale appare ulteriormente inquadrata da un arco polilobato, realizzato a pastiglia di gesso dorata, punzonata e ornata nei pennacchi con un motivo fitomorfo, che si poggia ai lati su due piccoli peducci fogliati. Sul retro è presente una decorazione geometrica dipinta e argentata, caratterizzata da un rombo inscritto in una fascia, suddiviso al suo interno in altri nove rombi; in questo elaborato schema, l’artista ha adoperato due tipi di punzoni circolari, alternati a incisioni a mano libera. Lungo i bordi esterni, trattati con la stessa finitura del verso e punzonati, sono visibili al centro a sinistra una borchia metallica, a destra un frammento metallico situato alla stessa altezza; sul margine destro sono inoltre presenti due cerniere metalliche di fattura moderna. Le dimensioni complessive della struttura, interamente originale, corrispondono a cm 51 x 34 x 3,2, mentre quelle della sola parte pittorica, senza l’incorniciatura a pastiglia, sono pari a cm 42,5 x 26,6.

 

Inventario

Nell’inventario di Galleria del 1890 la Presentazione della Vergine al Tempio è registrata al numero 3157, con l’annotazione della provenienza dallo Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze; sono inoltre indicati sia gli estremi riguardanti l’atto pubblico attraverso il quale il bene pervenne alle collezioni dei musei statali fiorentini (1 aprile 1900), sia quelli del seguente acquisto (19 luglio 1900), per cui l’opera fece il suo ingresso agli Uffizi. In tempo di guerra, fu prima nascosta nel rifugio bellico della Villa medicea di Poggio a Caiano (dal giugno 1940), quindi trasportata dai tedeschi nel Castel Giovo di San Leonardo in Passiria (BZ), per poi essere restituita a Firenze nel luglio del ‘45. Dopo una breve permanenza presso il Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, il dipinto fece definitivamente ritorno agli Uffizi il 24 giugno 1948; attualmente è esposto nella sezione del museo dedicata alle di tavole toscane di età medievale.

 

Stato di conservazione e restauri

Lo stato di conservazione dell’opera appare complessivamente buono. Alcune criticità si rilevano lungo la cornice, la cui doratura superficiale risulta estesamente usurata. La parte pittorica si presenta leggermente consunta in alcuni punti (ad esempio, negli incarnati), ma è priva di alterazioni significative, con l’eccezione di una diffusa e disomogenea abrasione del fondo dorato che lascia emergere la preparazione sottostante a bolo rosso. Anche le condizioni della decorazione dipinta sul verso appaiono in generale soddisfacenti, sebbene questa abbia sofferto di un deperimento più accentuato rispetto al lato anteriore; in particolare, la foglia d’argento è cromaticamente alterata e in parte abrasa, mentre nella stesura pittorica sono presenti lacune. Non si registrano danni né deformazioni preoccupanti al supporto.

Oggetto di una leggera pulitura nel 1941 (scheda di restauro G.R. 741), il dipinto è stato restaurato da Mario Celesia tra il febbraio e il marzo del 1997 (scheda di restauro U.R. 4535) con l’obiettivo di rimuovere la vecchia vernice e i ritocchi pittorici alterati; disinfestato nel 2010 da Roberto Buda, è stato quindi sottoposto a una revisione manutentiva, condotta da Manola Bernini, nel marzo 2015.

 

Provenienza e vicende collezionistiche

Il primo documento a menzionare la tavola di Niccolò di Buonaccorso finora reso noto è rappresentato dal Catalogo dei quadri ed altri oggetti d’arte esistenti nella Raccolta del Reale Arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze e loro approssimativa valutazione del 1874, un manoscritto conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, che è stato trascritto integralmente da Esther Diana (2005, pp. 337-347, in part. p. 339); al numero 14 dell’elenco si cita la Presentazione della Vergine, riferita al Buonaccorsi ma corredata da una precedente attribuzione (“cancellato ed apposto: Scuole delle Marche”), con la stima di “lire 500,00”. Gli autori di questo registro furono G. Emilio Burci, Ispettore della R. Galleria di Firenze, e il pittore Alessandro Mazzanti, che in quel decennio aveva curato l’apertura della Pinacoteca dello Spedale, ospitante un considerevole nucleo di manufatti artistici provenienti da chiese, oratori e altri edifici del Santa Maria Nuova o di altri ospedali e monasteri ad esso aggregati in conseguenza delle soppressioni (Ridolfi (1896-97) 1899, p. 162). Si ignora a quale luogo appartenesse originariamente la tavoletta senese, essendo mancante ogni notizia in merito sia nel predetto inventario, sia nel seguente Mazzanti-Bianchi 1884.

La documentazione archivistica permette tuttavia di ripercorrere le trattative intercorse tra l’Amministrazione ospedaliera e il Governo per l’acquisto da parte dello Stato italiano di una parte della raccolta; a tale proposito, si rileva che il dipinto di Niccolò risulta compreso sin dalla prima ora, benché con valutazioni altalenanti (a un certo punto, la stima è decurtata fino a 350 lire), nella lista delle opere oggetto dei negoziati, conclusi definitivamente nel 1897 con una Convenzione approvata dal Parlamento il 1° aprile 1900 (Legge n. 125), grazie alla quale i beni dell’ente giunsero nei musei Uffizi e Palatina (Diana 2005, pp. 314-335, in part. p. 329).

 

Vicenda critica e analisi

Il dipinto in esame faceva in origine parte di un insieme più articolato, che comprendeva almeno altri due pannelli con scene della vita della Vergine. Si tratta dello Sposalizio della Vergine, firmato dall’artista e conservato alla National Gallery di Londra (NG 1190), e dell’Incoronazione della Vergine, presso la Robert Lehman Collection del Metropolitan Museum di New York (n. 1975.1.21). A confermare pienamente l’appartenenza delle tavole al medesimo complesso sono la concordanza delle misure ed altre analogie riscontrabili nella fattura; in particolare, esse possiedono identica carpenteria, con cornice sagomata e ornata sul verso dallo stesso motivo a losanghe.

Non sappiamo quando di preciso le opere vennero divise, ma abbiamo notizia degli ultimi passaggi collezionistici. Per quanto riguarda lo Sposalizio, esso fu acquistato nel 1881 per la galleria londinese da Charles Fairfax Murray, che potrebbe averlo trovato a Siena (Perkins 1914, p. 99, n. 1) oppure, più probabilmente, visto in vendita a Firenze nel 1877 (Gordon 2011, pp. 380-393, in part. p. 390); in seguito, i primi ad associarlo al pannello del Santa Maria Nuova furono Crowe e Cavalcaselle (1885, p. 255), ma di tale legame era a conoscenza anche il Ridolfi, direttore delle Gallerie fiorentine, il quale ricordava come la Presentazione “già fece parte di un dittico da chiudersi a libro; ma separate le due parti, l’una di esse, sulla quale leggevasi il nome dell’autore, andò dispersa, e venuta in mano a commercianti di antichità, passò all’estero vari anni addietro” (Ridolfi (1896-97) 1899, pp. 169-170); l’autore pertanto ignorava dove fosse lo scomparto firmato, ma era informato del suo gravitare sul mercato dell’arte.

La tavoletta newyorkese fu invece riconosciuta come ulteriore elemento della serie da Frederick Mason Perkins (1914, p. 99, n. 2), che la scoprì nella raccolta di Vicomte Bernard d’Hendecourt a Parigi; lo studioso suppose inoltre di poterla identificare nell’Assunzione già in collezione Sciarra (Roma), citata dal Douglas come possibile scomparto di un trittichetto smembrato includente anche i pannelli degli Uffizi e di Londra (Douglas in Crowe - Cavalcaselle 1908, p. 133, n. 1). È lo stesso d’Hendecourt, in una lettera del giugno 1914, a confermarne l’acquisto dal principe Sciarra, il quale l’aveva a sua volta comprata quindici anni prima come opera di Fra Angelico; ceduto a un gallerista statunitense, il dipinto ha attraversato vari passaggi di proprietà prima di essere acquisito da Robert Lehman nel 1946 (Pope-Hennessy - Kanter 1987, pp. 33-35; Newbery 2007, pp. 14-16).

A seguito di queste prime ricognizioni, le tavole risultano menzionate nei repertori dedicati alla pittura toscana del Trecento (Van Marle 1924, pp. 515-518; Berenson 1932, pp. 391-392 e Id. 1968, p. 294), con una proposta di datazione, tuttora condivisa, fissata a cavallo tra l’ottavo e il nono decennio del secolo, in virtù dei rari riscontri documentari riguardanti l’artista (notizie dal 1372 al 1388, circoscritte alla città di Siena; cfr. Schimdt 2013, con bibliografia) e dei confronti con il magro corpus delle opere, di cui un punto fermo è costituito dai pannelli superstiti di un polittico custodito nell’Ottocento nella chiesa di Santa Margherita a Costa al Pino presso Siena, sul quale si leggevano la firma del pittore e la data 1387 (in merito, Boskovits 1980).

Studi successivi hanno definito con maggiore precisione il profilo artistico di Niccolò di Buonaccorso e i caratteri della sua produzione, contraddistinta da eleganze da miniaturista e raffinatezze esecutive (Maginnis 1982; Freuler 1991; Palladino 1997; Schmidt 2014); in particolare, la storiografia ha rimarcato le affinità tra l’artefice e gli altri pittori attivi a Siena in quell’epoca (Paolo di Giovanni Fei, Bartolo di Fredi), la dipendenza dai maestri più anziani, quali Jacopo di Mino del Pellicciaio e Bartolomeo Bulgarini, e il filo continuo con la cultura di Simone Martini e dei Lorenzetti, interpreti della più alta stagione del gotico senese (una sintesi del dibattito critico in Schmidt 2013).

Nel solco di questa tradizione si inserisce la Presentazione al Tempio degli Uffizi, di cui si apprezzano l’equilibrio compositivo, l’accordo e gli effetti cangianti dei colori, la morbidezza del modellato, l’uso sapiente e calibrato dello sgraffito sulle vesti; tali accorgimenti consentono di cogliere appieno l’alta qualità del minuto dipinto, che dispiace sapere tra i pochi certi del catalogo di un artista dotato e colto come Niccolò di Buonaccorso.

Iconograficamente la tavola raffigura Maria giovinetta nel Tempio al cospetto dell’anziano sacerdote, che la riceve al sommo di una scalinata, mentre i genitori Anna e Gioacchino assistono alla scena insieme ad altri personaggi; il soggetto, tratto dai Vangeli apocrifi, era in età medievale molto diffuso nella città di Siena, devota al culto mariano sin dai tempi della battaglia di Montaperti.

Le soluzioni spaziali adottate dall’artefice (si vedano, ad esempio, l’ambiente scandito da esili colonnine, il coronamento con statuette reggenti una lunga ghirlanda, i sapienti effetti di reale profondità creati sia dall’architettura scorciata che dal pavimento a motivi geometrici) citano palesemente la celebre Purificazione della Vergine di Ambrogio Lorenzetti, già nel duomo senese e oggi anch’essa agli Uffizi (da Marcucci 1965, p. 169). Si fa inoltre presente che l’illustre modello iconografico dal quale la tavoletta discende è costituito dal ciclo con Storie della Vergine affrescato da Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti sulla facciata dello Spedale di Santa Maria della Scala a Siena, perduto da secoli ma straordinariamente attestato dalla letteratura erudita, i cui episodi (Natività; Presentazione al Tempio, di Ambrogio; Sposalizio; Ritorno di Maria alla casa paterna), forse affiancati da una Assunzione, godettero di speciale fortuna e furono riprodotti in diversi contesti dagli artisti più giovani (analisi in Caffio 2017, in part. pp. 370-371).

Un nodo critico di difficile risoluzione riguarda invece l’assemblaggio primitivo dei pannelli e le relative modalità di presentazione. Nel catalogo dei dipinti toscani degli Uffizi, Luisa Marcucci (1965, p. 169) suppose ragionevolmente che le tavole avessero la funzione di sportelli, tenuto conto della elaborata decorazione sul lato posteriore, e che probabilmente esistessero altre scene mariane, oltre le tre note, legate ad esse. Mentre Bellosi (1979) riteneva arduo immaginare come fosse strutturato il manufatto, secondo Pope-Hennessy e Kanter (1987, p. 33) la complessità del verso implica che questo dovesse essere non solo visibile, ma anche volutamente esposto, avanzando l’ipotesi che si trattasse di un altarolo portatile tipologicamente affine al polittico Orsini di Simone Martini, oppure da utilizzare come ‘custodia’ per una statuetta della Madonna con Bambino. In merito, Palladino (1997, pp. 47, 51-52) propose in aggiunta altri modelli (gli scomparti di Simone per la Cappella dei Nove in Palazzo Pubblico a Siena), seguita da Schmidt, che per questa serie di polittici smontabili e trasportabili evocava una derivazione da altre classi di oggetti simili, in avorio o metalli preziosi (Schmidt 2002, in part. pp. 403-406 e p. 414). Le analisi sembrano confermare che in un certo momento gli scomparti degli Uffizi e di Londra erano agganciati tra loro a mo’ di dittico richiudibile; tale dato, tuttavia, non dimostra che fossero stati così concepiti (al riguardo, si noti che nel pannello Lehman mancano i segni di una simile giuntura). Gordon (2011, p. 389) suggeriva come la dipendenza dal prototipo affrescato non implicasse automaticamente la riproduzione in piccolo dell’intero ciclo: a suo avviso, le tavole, disposte seguendo l’ordine cronologico della sequenza narrativa (con il pannello firmato al centro), potrebbero da sole connotarsi come un trittico completo, senza bisogno di ulteriori elementi.

Per quanto concerne la committenza, il fatto che il dipinto in esame provenga dal Santa Maria Nuova si considera dubitativamente una prova della sua origine fiorentina, dal momento che l’ospedale era utilizzato nel XIX secolo come deposito per le opere rimosse da vari centri toscani (come si nota in Pope-Hennessy - Kanter 1987, p. 33). Allo stesso modo, l’indicazione della patria del pittore nella firma dipinta sulla tavola londinese (Nicholaus Bonachursi de Senis me pinxit) non basta per affermare che l’opera fosse destinata a una sede lontana da Siena (cfr. Gordon 2011, p. 390, che propende a favore di un patrono fiorentino legato allo Spedale di Santa Maria della Scala a Firenze); tale sottoscrizione ricalca infatti una formula molto comune tra gli artefici attivi a Siena nel Trecento, che per attestare la propria responsabilità esecutiva tendevano a specificare le origini de Senis anche quando operavano in città (Donato 2011-12, in part. p. 11).

 

Bibliografia

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