"Diamanti, rubini e smeraldi. Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi" a cura di Silvia Malaguzzi
In un libro il simbolismo dei monili raffigurati nelle opere conservate nella Galleria fiorentina
D’ora in poi studiosi e appassionati di arte avranno la possibilità di approfondire l’iconografia dei gioielli nelle opere delle Gallerie degli Uffizi, grazie al nuovo volume Diamanti Rubini e Smeraldi. Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi (Nomos Edizioni), di Silvia Malaguzzi.
In questo libro sontuosamente illustrato, Malaguzzi ripercorre la storia dei gioielli, indagandone tramite la loro raffigurazione in pittura non solo l’aspetto ornamentale, ma anche la simbologia sociale, giuridica, religiosa nonché le virtù magiche e terapeutiche. Il campo di indagine del volume, che si fonda anche su una profonda ricerca e su un impressionante scandaglio dei testi antichi, ha come oggetto proprio i dipinti conservati agli Uffizi databili tra il Trecento e l’Ottocento, dunque dal tardo-Medioevo fino all’epoca dei Lumi.
Tra le opere analizzate spiccano quelle dei grandi maestri della storia dell’arte, che si arricchiscono di nuove interpretazioni e offrono letture inaspettate. Così, nella Maestà di Giotto, perché gli angeli indossano dei diademi, ornamento squisitamente femminile? E a chi appartiene la corona? E come si interpreta la sontuosa parure di Battista Sforza nel ritratto di Piero della Francesca? A cosa si riferisce la coccarda indossata dalla Contessa di Chinchón di Goya?
Nei ritratti medicei del Cinquecento, i gioielli avevano una funzione politica e propagandistica, come testimoniano i ritratti medicei di Agnolo Bronzino: da quello di Eleonora di Toledo a quelli di Maria de’ Medici alla piccola Bia, che indossa una medaglia con il profilo del padre. Non mancano però negli stessi dipinti amuleti e gioielli terapeutici come il pomander d’oro (contenitore per essenze curative) appeso alla cintura della stessa Bia e il rametto di corallo di Giovanni de’ Medici.
Silvia Malaguzzi riflette anche sul passaggio dalla mentalità magica al metodo sperimentale. Se infatti fino alla fine del Cinquecento le pietre preziose assumevano una funzione apotropaica, oltre che estetica, con l’inizio del Seicento l’interesse vira verso le qualità materiali, la struttura minerale, la grandezza e il valore delle gemme, addirittura definite con un nome proprio. Lo dimostrano esempi di eccezionale qualità e grandezza come il diamante chiamato Beau Sancy, nei grandi ritratti di Stato di Maria ed Enrico IV di Francia (di Frans Pourbus il giovane), o il cosiddetto Fiorentino, l’enorme diamante indossato da Maria Maddalena d’Austria nel celebre dipinto di Justus Suttermans in cui la granduchessa è raffigurata insieme al marito e al figlio.