Ritratto di Vittorio Alfieri
François-Xavier Fabre (Montpellier 1776 – Parigi 1837)
Firmato e datato in basso a destra “F.X. Fabre. Florentiae 1793” il dipinto era stato iniziato nel luglio di quell’anno come scrisse lo stesso Vittorio Alfieri a un amico senese, al tempo in cui il poeta, lasciata Roma, si era trasferito a Firenze. Qui si immerse totalmente nello studio dei classici greci e, assieme alla compagna Luisa Stolberg, contessa d’Albany [vedi scheda], animò da protagonista la scena intellettuale cittadina. Nel ritratto Alfieri compare quasi nobilmente panneggiato all’antica, consapevole dell’impegno civile e dell’alta missione poetica a cui si era votato, valori simbolicamente echeggiati dalla corniola con il ritratto di Dante - ben visibile all’anulare della mano sinistra - intagliato da Giovanni Antonio Santarelli, celebre medaglista, scultore e incisore, anch’egli ritratto dal Fabre (Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, inv. 1890 n. 3304). Segno del profondo apprezzamento per l’opera, che insieme al ritratto en pendant della contessa (Inv.1890 n.1008) forgiò l’iconografia ufficiale dello scrittore, l’Alfieri scrisse forse di proprio pugno sul verso il seguente sonetto. “Sublime specchio di veraci detti, / Mostrami in corpo e in animo qual sono;/ Capelli. Or radi in fronte, e rossipretti; / Lunga statura, e capo a terra prono;/ Sottil persona in su due stinchi schietti;/ Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;/ Giusto naso, bel labro e denti eletti;/ Pallido in volto, più che un re sul trono:/ Or duro, acerbo, or pieghevol, mite:/ Irato sempre, e non maligno mai;/ La mente e il cor meco in perpetua lite;/ Per lo più mesto, e talor lieto assai; / Or stimandomi Achille, ed or Tersite:/ Uom, se’ tu grande, o vil? Muori e il saprai”.