Salotto Celeste
Come il Salone Verde e la Sala del Trono, anche questo ambiente venne rinnovato tra il 1854 e il 1855, quando la suite di sale dell'ala destra del piano nobile del palazzo veniva denominata “Nuovo Quartiere delle Stoffe”.
Rivestito di nuovi parati, in questo caso di una gradazione di blu, venne anch’esso dotato di un tappeto prodotto dalla manifattura francese di Tournai che si distingue per il motivo decorativo di stile neobarocco, aggiornato quindi su quanto andava di moda a Parigi e Londra alla metà dell’Ottocento.
Si evince dall’inventario del 1911 - preso a riferimento per ricostruire l’arredo dell’Appartamento – che tutto ciò che compariva in questa sala è stato disperso o trasferito in sedi istituzionali romane, fatta eccezione per il tavolino tondo con piano in commesso di pietre dure su fondo di porfido e le quattro torcere. Tenendo conto che i quadri ora visibili risultavano già in quest’ala del palazzo ai tempi del Gran Principe Ferdinando, deceduto nel 1713, l’aspetto attuale vuole rendere omaggio ad alcuni membri di Casa Medici, o a personaggi che per via di matrimonio erano ad essa collegati (fatto salvo il cardinale Camillo Francesco Maria Pamphili), nella suggestione che in qualche momento della loro vita costoro poterono percorrere questi spazi. Alle pareti compaiono quindi dieci di una serie di dodici ritratti eseguiti tra il 1621 e il 1645 dal pittore di corte Giusto Sustermans, tutti di identiche misure, dotati di nuove cornici nel secondo decennio del Settecento per volere del granduca Cosimo III, e rappresentanti a figura intera Cristina di Lorena, la figlia Claudia e il marito Leopoldo del Tirolo, i figli di Cosimo II, Francesco e Mattias, ripresi a qualche anno di distanza, il Granduca Ferdinando II e il cardinale Carlo de’ Medici. Sempre al Seicento risale il grande lampadario intagliato da Vittorio Crosten, il più antico tutt’ora conservato nel palazzo, mentre all’epoca di Pietro Leopoldo di Lorena si data il soffitto a stucchi bianchi e oro, nonché il camino detto “delle aquile” di Francis Harwood, inglese trasferitosi a Firenze dove finì i suoi giorni nel 1783, attivo per i viaggiatori in Grand Tour come ritrattista e copista di antichità romane, ma impiegato dal granduca anche come restauratore delle sculture del palazzo e del giardino di Boboli.