Tra gli autoritratti degli Uffizi un accademico inaspettato
Eike Schmidt
L’autoritratto del napoletano Filippo Balbi (1872) è un vero e proprio compendio della mentalità di un pittore inventivo e sui generis, in bilico tra un certo tradizionalismo nei mezzi e un forte conservativismo nei contenuti. Se nei due cartoni appesi alla parete di fondo del suo studio, raffiguranti “Il Tempo in atto di velare la Verità” e “San Francesco Saverio in estasi” si riconosce l’intento dell’artista di conferire pari rilievo al tema allegorico e a quello sacro, il posto d’onore della sua produzione il Balbi lo riserva al suo quadro più originale, ponendolo sul cavalletto dinanzi al quale si ritrae. Si tratta della “Testa anatomica”, una testa umana scorticata e vista di profilo, un unicuum composto da un groviglio di figure nude, con il quale il pittore suscitò scalpore all’Exposition universelle di Parigi del 1855.
La Madonna di Agostino di Duccio di Pontremoli: “un capolavoro assoluto della scultura rinascimentale”. Il romanzesco tentativo di trafugamento del 1911, l’applicazione della legge 364/1909 e l’inedita perizia di Peleo Bacci (1911)
Paolo Lapi
Nel corso dei secoli la scultura della Madonna con il Bambino di Agostino di Duccio, conservata nella chiesa di San Francesco di Pontremoli, è stata oggetto di singolari vicende espresse anche dal modificarsi del suo titolo: Madonna del core, Madonna di marmo, Madonna dell’Adorazione.Questo studio, dopo aver ricapitolato le vicende storico-critiche dell’opera, si sofferma su quanto accaduto nel 1911. Una vicenda “romanzesca”, come da subito venne definita, emerge dalle carte inedite del processo iniziato nel 1911, andato a sentenza nel 1915 e oggetto di altri due gradi di giudizio nel 1916. Questa vicenda è uno dei primi casi di applicazione della legge 364/1909 e si inserisce bene nel mercato antiquario tipico dell’inizio del XX secolo.In appendice l’inedita perizia storico-artistica di Peleo Bacci evidenzia l’unicità della scultura pontremolese quale “opera singola [di Agostino], composta di un bassorilievo e di un tutto tondo”, testimone dello “spirito creativo” di Agostino.
Baldassarre Turini committente d’architettura
Costantino Ceccanti
Baldassarre Turini fu il pesciatino più importante del Cinquecento. Accanto alla sua opera di uomo di chiesa e di politico, spicca anche l’attività di committente di architettura. Se fu a Roma che Turini scelse di vivere e di operare, anche Pescia restò sempre al centro dei suoi interessi: egli fu, infatti, uno dei massimi propugnatori della nascita della Diocesi di Pescia come Prepositura nullius. A Roma, commissionò a Giulio Romano la villa sul Gianicolo, uno dei pochi esempi di vigna romana degli anni a cavallo del Sacco, mentre sono rimasti allo stato progettuale i due palazzi pensati in tempi diversi per Piazza Nicosia e per Sant’Eustachio. Più fortunate furono le committenze pesciatine: la cappella-mausoleo, edificata in un lasso di tempo tra il 1537 e il 1542, sopravvive ancora oggi e il palazzo posto sulla piazza Grande esistette fino all’inizio del Novecento. L’obiettivo di questo studio è quello di ricostruire, per la prima volta, da un punto di vista temporale, il filo conduttore delle committenze architettoniche di Turini tra Roma e Pescia.
“Così strepitosi, così guizzanti, svolazzanti, e quel ch’è più, così facili e franchi, che sembrano del suo Maestro”. Quattro nuovi disegni di Pietro Faccini dai fondi di Annibale e Agostino Carracci agli Uffizi
Raimondo Sassi
Lo studio prende le mosse dalla restituzione a Pietro Faccini di quattro disegni, tradizionalmente creduti di Annibale e Agostino Carracci negli inventari degli Uffizi e identificati nell’ambito della sistematica opera di revisione delle attribuzioni dei vari fondi della collezione fiorentina portata avanti dal progetto Euploos. La riclassificazione, come è consuetudine in Euploos, comporta la ricostruzione della rete di relazioni che i singoli fogli intrecciano con altre opere d’arte, all’interno e all’esterno della raccolta, e con le fonti scritte, a cominciare dagli inventari storici degli Uffizi, ma anche, per esempio, con le biografie degli artisti, in questo caso rappresentate da quelle di Carlo Cesare Malvasia e di Filippo Baldinucci. L’indagine, quindi, ricuce minuziosamente questo ramificato sistema di rapporti, procedendo a ritroso nel tempo, e risale, infine, a un preciso contesto storico, nel quale, con tutta probabilità, è avvenuto lo scambio attributivo tra Faccini e i due fratelli Carracci, individuabile nella fase più antica della collezione, fondata dal principe, poi cardinale, Leopoldo de’ Medici.
Girolamo Fantini a Palazzo Pitti
Igino Conforzi
Il contesto storico, e non da meno la somiglianza, ci inducono a identificare in un affresco dipinto in una delle sale del Tesoro dei Granduchi, all’interno del complesso museale di Palazzo Pitti, un ritratto di Girolamo Fantini, famoso trombettista, nato a Spoleto nel 1600. Le pitture, realizzate dagli artisti bolognesi Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, e iniziate nel 1637, furono completate nel 1641 con la terza e ultima sala degli appartamenti dove si trova la raffigurazione del “trombettiere”.Ripercorrendo le principali tappe della carriera di Fantini, nel 1626 lo ritroviamo nei libri contabili del cardinale Scipione Borghese a Roma, dove il musicista rimase in servizio fino all'ottobre 1630, per poi trasferirsi definitivamente a Firenze. L’evento che tuttavia ne consacrerà la fama è il famoso concerto tenuto con Girolamo Frescobaldi presso il cardinale Borghese a Roma, presumibilmente nel 1634. A conferma della raggiunta notorietà, nel 1637 le cronache del matrimonio del granduca Ferdinando II descrivono la “maestria della tromba di Girolamo, famoso trombetta di S. A.”. Seguirà la pubblicazione del Modo per imparare a sonare di tromba, dato alle stampe da Fantini nel 1638.
Il bozzetto di Onorio Marinari per il San Mauro che risana gli storpi della Badia fiorentina
Silvia Benassai
Il contributo presenta l’inedito bozzetto preparatorio eseguito da Onorio Marinari (1627-1716) per la pala d’altare con San Mauro che risana gli storpi destinata alla cappella di patronato Covoni alla Badia fiorentina. Sin dal 1631 i Covoni avevano ottenuto dai monaci della Badia lo spazio adiacente alla facciata, riservato all’erezione di una nuova cappella, costruita, tuttavia, solo al principio degli anni sessanta del secolo, quando l’abate pesciatino Placido Puccinelli (1609-1685) promosse l’introduzione presso la Badia del culto di san Mauro. Il ritrovamento, a seguito di un recente intervento di restauro, della firma del pittore e della data d’esecuzione, il 1664, apposti sulla pala d’altare, permettono di datare il relativo bozzetto all’anno precedente, anche in considerazione del fatto che, come suggeriscono le Memorie fiorentine stese da Francesco Settimanni nel Settecento, la pala finita doveva essere già posta in loco all’inizio del gennaio di quell’anno.
Luigi Molinelli “pittore fiorentino d’architettura”
Fabio Sottili
Il testo si propone quale primo resoconto sull’attività del fiorentino Luigi Molinelli (1753-1798), un pittore oggi pressoché sconosciuto, ma che a fine Settecento è stato uno dei disegnatori, decoratori e affreschisti più apprezzati dalla corte lorenese, testimone del momento di trapasso fra il gusto tardo barocco e la nascita del neoclassicismo a Firenze. Divenne professore dell’Accademia del Disegno nel 1787, e si impegnò come decoratore e “pittore d’architettura” in importanti cantieri cittadini dell’epoca. Le sue qualità artistiche sono tali che molte delle vedute della capitale granducale, appartenenti al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, e finora ritenute opera del rinomato Giuseppe Zocchi, devono invece essere a lui ricondotte.
La Galerie de Florence di Alexandre Dumas, ovvero il romanzo sull’arte agli Uffizi
Cristina Farnetti
Nel gennaio del 1841 l’uscita del primo fascicolo della Galerie de Florence, ambizioso progetto curato da Lorenzo Bartolini, Giuseppe Bezzuoli e Samuele Jesi, non costituì una novità nel suo genere. Fu resa tuttavia unica dalla penna di un redattore d’eccezione, da poco giunto a Firenze: Alexandre Dumas, che in fuga dai debiti parigini, infuse la propria personalità e talento a un programma editoriale già definito, trasformandolo in un atipico “romanzo sull’arte” in cui la storia dei Medici e dei Lorena si intreccia ‘pittorescamente’ con la storia della pittura, le biografie degli artisti e decine di commenti alle opere riprodotte nelle pregevoli tavole incise.Il racconto della genesi e del farsi di quest’opera dalle complesse vicende editoriali vuole richiamare l’attenzione su un testo poco noto in cui il romanziere-poeta, l’autore dei Tre Moschettieri, si reinventa per l’occasione storico dell’arte.
Da Giovanni Boldini a Pietro Annigoni: la collezione Eliseo-Praitano
Annadea Salvatore
La collezione Eliseo-Praitano, ospitata da Palazzo Pistilli di Campobasso e dal Castello di Capua di Gambatesa, riunisce oggetti e opere d’arte per lo più riconducibili agli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Un lungo lavoro di raccolta, iniziato negli anni Trenta grazie a Giuseppe Ottavio Eliseo, pittore e collezionista, e concluso nei primi anni Duemila dal medico Michele Praitano. La collezione annovera soprattutto pezzi d’arte italiana, ma comprende anche rilevanti opere di artisti stranieri: fra gli altri, il paesaggista scozzese George Lowthian Hall e lo statunitense Gilbert Munger. I suoi punti di maggiore forza convergono sul consistente corpus di opere di Pietro Annigoni, che Praitano aveva conosciuto personalmente, e sulla scuola napoletana dell’Ottocento. Ai dipinti si affiancano opere di scultura, arti applicate e mobilia di diversa epoca e provenienza. Questo contributo ricostruisce le dinamiche, più o meno casuali, secondo le quali la collezione, nata e cresciuta con Giuseppe Ottavio Eliseo, ha preso corpo con il fondamentale passaggio di testimone raccolto da Michele Praitano