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Storie di donne e potere

  • Storie di donne e potere

    Tra Oriente e Occidente nella serie gioviana

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    Donne e potere nel Cinquecento

    Degli oltre 560 ritratti che compongono il totale della serie gioviana degli Uffizi, solo 36 sono dedicati a donne, in larga parte figure dall’alto profilo politico o intellettuale, passate alla storia nei più diversi campi e per le più disparate ragioni; personaggi su cui vale la pena appuntare un’attenzione speciale, a maggior ragione in occasione della ricorrenza dell’8 marzo, che intendiamo celebrare come un’opportunità in più per suggerire spunti di riflessione utili ad arricchire il dibattito contemporaneo intorno al 'soggetto donna'. In particolare, le protagoniste che abbiamo scelto per illustrare il nostro racconto sono sei: Rosselana, Cameria, Caterina d’Aragona, Caterina de’ Medici, Elisabetta I Tudor, Vittoria Colonna. Sono donne che occupano nella collezione un posto di rilievo per importanza storica e portato simbolico-culturale: sei personaggi scelti tra Oriente e Occidente, che vissero vite molto diverse, ma che seppero tutte affermarsi con intraprendenza e acuta strategia, a volte anche a costo di grandi sacrifici personali.
    Un elemento in particolare accomuna queste personalità: irruppero tutte in una sfera storicamente declinata al maschile, quella del potere pubblico, sia esso politico-militare, culturale, intellettuale o addirittura personale, inteso in termini di chárisma; e vissero tutte nel secolo “femminile” per eccellenza, il Cinquecento, un tempo che vide la presenza sui troni d’Europa, e nei circoli culturali più influenti, di un grandissimo numero di donne. È il secolo che inaugura l’età moderna, dove la portata innovativa della ‘donna al potere’ è inserita in una società ancora fortemente patriarcale, nella visione e nella prassi, ancorata ad antiche considerazioni che cercavano la loro legittimazione nelle teorie di Aristotele, e ritenevano la donna “biologicamente” inadeguata a governare.

    La presenza di così tante donne influenti stimolò nel corso del Cinquecento la nascita di un vero e proprio dibattito, fra detrattori e apologeti, sul rapporto tra potere e figura della donna. Erasmo da Rotterdam nel 1516 scriveva ne L’educazione del principe cristiano di come le donne fossero inadatte a ricoprire ruoli di responsabilità a causa della loro naturale incostanza. Il famoso pastore presbiteriano John Knox, nel suo Primo squillo contro il mostruoso governo delle donne (1558) sosteneva che in quest'ultime la mancanza di forza fisica corrispondesse alla mancanza di forza morale, fatto che le rendeva incapaci di governare. E ancora, il noto filosofo e giurista Jean Bodin nel 1576 ribadiva nei suoi Sei libri dello Stato la tesi aristotelica secondo cui la natura sessuale interferisse necessariamente nella capacità di rivestire posizioni di comando, rendendo le donne a questo non adatte. Ciononostante le nostre sei protagoniste riuscirono a trovare il modo, non solo di affermare la propria soggettività individuale e quindi il proprio ruolo, ma anche, come vedremo, di guadagnarsi il rispetto e in qualche caso persino la venerazione di sudditi, estimatori o seguaci.

    Simone Rovida

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    La serie gioviana degli Uffizi

    La serie gioviana degli Uffizi è una collezione di oltre cinquecento ritratti, disposti in alto lungo i corridoi del secondo piano della Galleria. Il nucleo iniziale è costituito dalle copie dei ritratti della collezione di Paolo Giovio, umanista, medico, storico, originario di Como e vescovo di Nocera Inferiore, che nell’arco di circa trent’anni, dal 1521 al 1552, aveva costituito una notevole raccolta di ritratti di Uomini Illustri. Conosciuta, ammirata e descritta da numerosi letterati ed artisti, la raccolta fu fonte di ispirazione per tutte le collezioni di ritratti successive, di cui quella fiorentina fu la prima e la più completa. Le copie furono realizzate per volere di Cosimo I de’ Medici, che su suggerimento di Giovio stesso mandò a Como Cristofano dell’Altissimo, un giovane pittore allievo del Bronzino, che continuò a lavorare alla collezione anche dopo il suo ritorno a Firenze, ampliandola su indicazione del duca e dei suoi figli e successori, prima Francesco e poi Ferdinando. Già esposta nei corridoi degli Uffizi a partire dal 1587 circa, la nostra serie continuò ad accrescersi fino all’inizio del XIX secolo. Le intricate vicende dell’intera collezione fiorentina, mai studiata prima nel suo insieme, sono l’oggetto della pubblicazione La Collezione Gioviana degli Uffizi” a cura di Maria Matilde Simari e Alberica Barbolani da Montauto, presentata nel dicembre 2023.

    Alberica Barbolani Montauto

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    Le donne illustri nella Gioviana

    Tommaso Arrighetti (notizie 1758-1775)
    Veduta del Primo corridoio della Galleria degli Uffizi, con il ritratto di Ferdinando I de' Medici, 8 ritratti della serie gioviana e sculture romane
    XVIII secolo, penna e matita nera su carta bianca
    Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Uffizi

    La collezione di Paolo Giovio era estremamente innovativa rispetto alle figurazioni più antiche di ‘uomini (e donne) illustri’, tradizione rinnovata e diffusa in Toscana tra Tre e Quattrocento attraverso cicli ad affresco per lo più collocati, come esempi di virtù civiche, nelle aule dei palazzi comunali e che presupponeva, a monte, un progetto iconografico-didascalico poggiante su fonti storiche e letterarie. In questi cicli, come quello affrescato da Andrea del Castagno per la Villa Carducci di Legnaia nei pressi di Firenze, e oggi conservato agli Uffizi, le donne sono eroine idealizzate tratte dalla storia come dal mito. Giovio, per incrementare la sua collezione di ritratti, scatenò piuttosto un’estenuante “caccia al tesoro”, cercando quadri, disegni e medaglie con le effigi o commissionando egli stesso le opere. Così facendo dette vita a un insieme estremamente vario e in continua evoluzione, a seconda dei suoi interessi e delle conoscenze a disposizione. Benché le ‘quote rosa’ fossero in netta minoranza rispetto alle presenze maschili, esse erano tutte donne reali, per la maggior parte a lui contemporanee: personaggi celebri per il loro ruolo intellettuale e politico, ma anche semplicemente sue stimate conoscenti.

    La serie fiorentina presenta invece la novità del formato unico, dell’affidamento iniziale a un solo artista e delle cornici tutte uguali appositamente commissionate nell’ottica di uniformare la collezione. Di conseguenza, ogni personaggio ha identica visibilità e dignità. In questa lunga teoria di volti, uniformi per taglio, dimensione e cornice, i duchi medicei scelsero esclusivamente figure femminili di spiccata rilevanza, soprattutto politica.

    Caterina de’ Medici si trova nella serie dei re francesi accanto al marito, al suocero e ai figli, Rosselana e Cameria spiccano nella serie di sultani ottomani, Elisabetta I Tudor appare in tutta la potenza della sua missione di regina – non moglie, non madre -, Vittoria Colonna conquista il suo posto tra i letterati, per propria notorietà, anziché accanto al potente e amato marito Ferdinando d’Avalos.

    Alberica Barbolani Montauto

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    Storie di donne e potere: Rosselana

    Ritratto di Rosselana, moglie di Solimano il Magnifico
    (Rohatyn? 1500 circa - Istanbul 1558)

    Cristofano di Papi dell’Altissimo
    (Firenze 1522 - 1605)
    1556, olio su tavola
    Uffizi, Corridoio di Levante
    VXOR SOLIMANI

    Normalmente la sultana viene identificata con Anastasia Lisowska, rapita da predoni tartari nella provincia di Ruthenia nell’Ucraina occidentale, allora sotto il controllo della Polonia, ed entrata nell’harem di Solimano tra il 1517 e il 1520.
    L’appellativo col quale era conosciuta in occidente, Roxolana, o Roxa, deriverebbe dal nome col quale era indicata nel XVI secolo la sua terra di origine. A Costantinopoli le fu attribuito il nome Hürrem, “colei che ride” o “gioiosa” in riferimento al suo carattere allegro che, unito alla sua viva intelligenza ed abilità politica, le permisero di conquistare il cuore di Solimano e di emergere tra tutte le concubine. L’ascesa di Hürrem da schiava a prediletta del Sultano fu rapidissima: ella diede alla luce, oltre a una femmina, ben cinque figli maschi, contravvenendo alla regola che imponeva alle concubine di lasciare l’harem alla nascita del primo figlio e di seguirne la crescita nei territori di confine. Altre eccezioni furono il matrimonio, avvenuto con una fastosa cerimonia nel 1533 o 1534, che rese Rossellana la prima haseki sultan (moglie del sultano) nella storia dell’Impero ottomano, e la sua permanenza al fianco del marito, del quale fu valida collaboratrice e informatrice. Emerge da questi fatti una figura di donna eccezionale, capace di fare breccia nel cuore del Sultano, che le scrisse lettere appassionate, e anche di affiancarlo autorevolmente nella sua attività politica: grazie alle sue doti diplomatiche funse da mediatrice con altri sovrani, in particolare con Sigismondo di Polonia e con il figlio, che ebbero grande familiarità con la coppia imperiale ottomana forse a causa delle origini della sultana. Ad est, intanto, i suoi buoni rapporti con le donne dei sultani safavidi favorirono la pace di Amasya che sancì la fine delle guerre tra ottomani e l’antica Persia. Ella gettò così le basi che avrebbero permesso a sua figlia Mihrimah e ad altre donne di reggere le sorti dell’Impero ottomano nel periodo conosciuto come “sultanato delle donne” (XVI–XVII secolo).

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    Storie di donne e potere: Rosselana

    Uxor Solimani. Al posto del nome, due sole parole, di enorme portata storica, caratterizzano il ruolo di Rossellana nel ritratto della serie gioviana fiorentina: colei che da schiava era diventata moglie del più potente nemico dell’intero mondo occidentale aveva infatti infranto tradizioni radicate nel mondo ottomano e compiuto, da sola, una grande rivoluzione.

    Nella biografia di Tiziano, Vasari ricorda un ritratto di Rosselana sedicenne e uno di sua figlia Cameria, «con abiti et acconciature bellissime». Varie copie questa sua effige circolavano in Europa nel XVI secolo, ma il ritratto di Rossellana di Cristofano, nella serie fiorentina, sembra piuttosto discendere dal modello di incisioni su legno, dipinte, attribuite a Erhard Schön e riprese anche dal Rouillé nel Promptuarium Iconum del 1553. Come nelle incisioni, la sultana appare di profilo, con tratti marcati e volitivi e un copricapo molto elaborato dal quale scendono gioielli e sottili trecce rosse che si incrociano sul petto, oltre ad alcune ciocche di capelli sciolti.

    Cristofano dell’Altissimo spedì il ritratto a Firenze nell’ottobre del 1556: è il primo citato nell’elenco dei dipinti presenti in Palazzo Vecchio “nella prima camera dillo scrittoio” nel 1564, dove la serie Gioviana trovò collocazione prima di venire trasferita agli Uffizi. La sultana è caratterizzata dal profilo deciso e dallo sguardo volitivo, con lunghi capelli rossi sotto un prezioso copricapo.

    Alberica Barbolani Montauto

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    Storie di donne e potere: Mihrimah Sultan detta Cameria

    Ritratto di Mihrimah Sultan detta Cameria
    (Istanbul 1522 – 1578)

    Cristofano di Papi dell’Altissimo
    (Firenze 1522 – 1605)
    1555 - 1564, olio su tavola
    Uffizi, Corridoio di Levante
    CAMERIA· SOLIMANI· IMP· FILIA / ROSTANIS· BASSAE· UXOR·1541

    Unica femmina tra i sei figli di Solimano il Magnifico e Rosselana, Mihrimah o Cameria è una straordinaria figura di principessa ottomana. Amatissima dal padre, ne divenne la consigliera e maggior sostenitrice dopo la morte della madre e partecipò attivamente alla vita politica dell’Impero, aiutando Solimano e sostituendolo negli impegni di governo quando egli era assente. Nel 1539 la principessa aveva sposato Rustem Pascià: questi, di origine serba o croata, era riuscito, da schiavo addetto ai cavalli del Sultano, a risalire la scala sociale fino ai vertici, tanto che il matrimonio con la principessa coincise con la nomina a secondo visir dell’Impero. Personaggio potente e molto ricco, fedelissimo a Rosselana, la aiutò a disfarsi del figliastro Mustafa - primogenito e successore designato di Solimano - facilitando l’ascesa al trono dei suoi figli: in seguito Rustem divenne Gran Visir, arrivando al culmine del potere e della ricchezza.

    Dotata di notevole patrimonio personale tanto da fornire sostegno economico anche alle imprese belliche del padre, come la tentata conquista di Malta, Mihrimah fu personaggio di spicco nel periodo del cosiddetto Sultanato delle donne, seconda dopo la nonna Ayşe Hafsa Sultan ad assumere il titolo di Validé Sultan (Regina Madre), durante il regno di suo fratello Selim II, totalmente inadatto a occuparsi degli affari di stato e dedito piuttosto ai piaceri della vita. Ella si si distinse per cultura e abilità politica, nonché per la commissione di opere di interesse pubblico e di carità, come le due moschee a Costantinopoli che ancora oggi portano il suo nome e che comprendevano anche una mensa per i poveri, un ospedale, una biblioteca e una scuola, opera del famoso architetto Sinan.

    Dopo la morte di Selim nel 1574, ella condivise il titolo con la cognata Nur Banu Sultan, madre del nuovo imperatore Murad III.

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    Storie di donne e potere: Mihrimah Sultan detta Cameria

    La fama di Cameria dovette essere grande anche in Occidente: nel primo elenco conosciuto dei ritratti che Cosimo I chiese a Cristofano di copiare a Como, si trova espressamente anche quello di Cameria che è poi ricordato nella terza sala di Palazzo Vecchio. Un ritratto della “sultana figliola del Gran Turco”, probabile copia di quello di Tiziano ricordato dal Vasari e prototipo del nostro, compare in una nota di dipinti che Giovio inviò a Como da Roma intorno al 1547. Nel quadro di Cristofano la resa delicata dell’incarnato, il colore sfumato, i lineamenti fini sembrano derivare direttamente dalla pittura veneta, a differenza della stesura più pesante e dei tratti più scolpiti del ritratto di Rossellana.

    Alberica Barbolani Montauto

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    Storie di donne e potere: Caterina d’Aragona

    Ritratto di Caterina d’Aragona
    (Alcalá de Henares 1485 - Kimbolton, Huntingdon 1536)

    Carlo Ventura Sacconi e bottega
    (Firenze 1676-1762)
    1725, olio su tela
    Uffizi, Corridoio di Mezzogiorno
    CATARINA ARAGONIA / ANG: REGINA


    Monsignore, / sto per mettermi a piangere; ma riflettendo / che siamo una regina, o almeno ci siamo a lungo illuse di esserlo – / e in ogni caso la figlia d’un Re – le mie stille di pianto / convertirò in faville di fuoco” (W. Shakespeare & J. Fletcher, Enrico VIII)

    Basterebbero le parole di Shakespeare per restituire con fedeltà storica il carattere volitivo e intrepido, intransigente e consapevole, moralmente integro e devoto di un personaggio come quello di Caterina d’Aragona.

    Il destino di Caterina, figlia dei reali di Spagna Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia, fu quello di muoversi sempre tra mondi culturali in conflitto. Trascorse i primi anni dopo la nascita, e gran parte della sua infanzia, spostandosi continuamente di città in città, sui campi di battaglia, al seguito dei genitori impegnati nella grande Reconquista spagnola contro gli arabi di Andalusia, una guerra che ben presto assunse i connotati di una lotta di religione fra cristiani e musulmani. Da adulta, dovette mantenersi in equilibrio in un mondo che vide in tutta Europa la nascita delle confessioni riformate in aperto contrasto con la dottrina cattolica della Chiesa romana a cui rimase sempre fortemente fedele, anche in virtù di un'educazione di stampo religioso ricevuta dalla madre Isabella, la quale desiderò che Caterina venisse nondimeno avviata – cosa assai innovativa per una fanciulla del tempo – non solo a una formazione culturale classica ma anche a una gestione pratica, moderna e disincantata, degli affari di Stato e persino delle strategie militari.

    Nel 1501 fu data in sposa all’erede al trono d’Inghilterra, il giovane Arturo Tudor, che morì dopo un solo anno di matrimonio. Rimasta vedova, Caterina dette prova di intraprendenza e straordinario acume politico facendosi nominare dal padre ambasciatrice di Spagna sul suolo inglese - prima donna nella storia europea a rivestire questa alta funzione diplomatica - un incarico che le evitò di finire marginalizzata dalla corte e le permise di affinare le sue doti politiche. Nel 1509 Caterina divenne regina d’Inghilterra, sposando re Enrico VIII Tudor, fratello del defunto primo marito. Politicamente, seppe amministrare con grande abilità il suo ruolo di reggente quando il consorte si trovò impegnato con l’esercito sul suolo francese e a lei spettò il compito di organizzare in prima persona la più grande operazione militare – in termini numerici – contro gli invasori scozzesi, sconfitti nell’epica Battaglia di Flodden del 1513.

    Il matrimonio con Enrico VIII fu il primo, e il più duraturo, dei sei che questi ebbe nel corso della vita. Nei ventidue anni di unione coniugale, Caterina rimase più volte incinta, ma in alcuni casi le gravidanze non andarono a fine, mentre in altri i figli nati morirono prematuramente. Sopravvisse solo Maria, nata nel 1516, la quale, educata dalla madre ad un convinto cattolicesimo, passerà notoriamente alla storia come la Sanguinaria a causa delle persecuzioni che da regina perpetrò ai danni dei protestanti.

    Del resto, la delicata questione religiosa fu causa di grande afflizione già per Caterina: la lotta tra cattolici e protestanti, che incendia tutta l’Europa del Cinquecento, è lo sfondo su cui si proietta il dramma intimo e privato di una donna che, non solo vide morire uno dopo l’altro i figli messi al mondo - subendo per di più l’onta di non riuscire ad assicurare l’agognato figlio maschio al re - ma che si rifiutò, da credente, sia di concedere al marito il divorzio che di riconoscere la sua autorità come capo della nuova Chiesa anglicana da lui fondata motu proprio nel 1534.

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    Storie di donne e potere: Caterina d’Aragona

    Ripudiata dal marito, Caterina si rifiutò di agevolare i piani del consorte. Avrebbe potuto prendere i voti e ritirarsi in convento, come suggeritole dai notabili inglesi e dagli stessi emissari del Papa, ma invece si ostinò a rivendicare il suo ruolo di moglie e regina voluta da Dio fino alla fine dei suoi giorni. Privandola degli agi e dei sostentamenti, minacciandola di ritorsioni contro la figlia Maria da cui fu allontanata, Enrico pensava di costringere l’ostinata Caterina a farsi finalmente da parte senza creare scandali. Eppure Caterina non si piegò mai alla volontà dell’iroso Enrico, anzi, continuò sempre a scrivergli lettere piene di devozione e rispetto fin sul letto di morte.

    Quando Shakespeare e Fletcher fecero di lei la grande protagonista del loro dramma, a quasi 80 anni dalla morte, avvenuta nel 1536, il ricordo della sua figura era tutt’altro che sbiadito, benché regina cattolica in un mondo diventato ormai in prevalenza protestante. Ne è una riprova la targa che si legge sulla sua tomba nella Cattedrale di Peterborough: “una regina amata dagli inglesi per la sua lealtà, pietà, coraggio e compassione”.

    Il ritratto è opera di Carlo Ventura Sacconi e aiuti e fa parte del nucleo più tardo della collezione gioviana, realizzato nel 1725, su probabile commissione di Anna Maria Luisa de' Medici che desiderava vedere completata la serie delle personalità illustri del XVI secolo. Si tratta probabilmente di una copia di uno dei ritratti che Hans Holbein il Giovane fece di Caterina d'Aragona nel Cinquecento, e che godevano di una fortunatissima circolazione in Europa anche attraverso le riproduzioni a stampa, come quella di Robert White del 1681 da cui Sacconi deve aver tratto il modello.

    Simone Rovida

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    Storie di donne e potere: Vittoria Colonna

    Ritratto di Vittoria Colonna
    (Marino 1490 – Roma 1547)


    Cristofano di Papi dell’Altissimo
    (Firenze 1522 – 1605)
    1552 - 1568, olio su tavola
    Uffizi, Corridoio di Levante
    VITORIA COLVMNA

    Celebre poetessa e amica di personalità di spicco della sua epoca come Baldassar Castiglione, Pietro Bembo, Michelangelo e lo stesso Paolo Giovio, Vittoria è stata una delle figure più rappresentative di quel nodo di cultura, potere e religione che strinse le fila della vita di quasi tutti gli intellettuali rinascimentali. Figlia di Fabrizio Colonna, capofamiglia della potente e antica casata romana, e di Agnese di Montefeltro, a sua volta figlia del duca d’Urbino Federico, a soli 7 anni Vittoria era già promessa in sposa a Ferdinando Francesco (Ferrante) d’Avalos, marchese di Pescara, nell’ottica strategica di avvicinare i Colonna agli aragonesi. Così, fin da giovanissima, cominciò a frequentare il Castello di Ischia, possedimento dei D’Avalos, dove entrò nella cerchia della raffinatissima Costanza, zia del suo promesso sposo. Il matrimonio tra Vittoria e Ferrante, celebrato nel 1509, fu però caratterizzato dalle numerose assenze di lui, valoroso guerriero impegnato in frequenti scontri contro i francesi. Al marito, caduto prigioniero a Ravenna, Vittoria dedicò il primo componimento poetico a noi noto, una Epistola in versi, divulgata e ammirata pubblicamente. Il compianto per l’amato lontano e il senso di solitudine e abbandono, furono i temi dominanti della produzione poetica di Vittoria che, dopo la tragica morte di Ferrante nel 1525, andò aumentando, virando su toni intensi e sofferti. Tanto più la Colonna celebrava in versi la sua dipendenza dall’eroico marito (presto assunto, dopo la morte, a puro ideale), tanto più conquistava una propria autonomia ed autorevolezza, raggiungendo una popolarità eccezionale, riservata a ben poche donne del suo tempo. Vittoria pubblicò le Rime nel 1538, prima rappresentante di quel petrarchismo al femminile che fiorì nel terzo decennio del Cinquecento, a cui fecero riferimento altre poetesse, tra cui Tullia d’Aragona, Gaspara Stampa, Veronica Gambara, Laura Battiferri e Veronica Franco. Ammirata come poetessa, venerata come esempio di virtù ed educazione morale, Vittoria strinse rapporti di stima e amicizia con i personaggi più potenti dell’epoca (dall’Imperatore Carlo V ai pontefici), ed il suo nome comparve nei testi di moltissimi scrittori a lei contemporanei, che le inviavano manifestazioni di amicizia e stima e le chiedevano consigli e pareri sulla scrittura. Vittoria e nessun'altra, sarà cantata dalla poesia dell'Ariosto, nel canto XXXVII dell’Orlando Furioso: “Sceglieronne una; e sceglierolla tale,/che superato avrá l’invidia in modo,/che nessun’altra potrá avere a male,/se l’altre taccio, e se lei sola lodo”. Intenso fu il rapporto di amicizia che la strinse a Michelangelo, conosciuto a Roma negli anni '30: alla morte di lei, nel 1547, l'artista le dedicherà numerosi sonetti, in cui piangerà la perdita di una vera guida spirituale. Eppure la Colonna per un periodo era stata addirittura sospettata di eresia. La sua costante ricerca spirituale e religiosa l'aveva condotta ad accostarsi alle idee riformiste di Juan de Valdés, letterato e teologo spagnolo che fece di Napoli il centro promulgatore di una nuova spiritualità, alimentata dall'Umanesimo cristiano di Erasmo da Rotterdam e dalla mistica francescana.

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    Storie di donne e potere: Vittoria Colonna

    Venni ad Ischia presso Vittoria Colonna, donna di eccelsa e pudica bellezza. E ad un contempo, come e più di un uomo, degna di ogni sorte di lode.” Paolo Giovio, "Dialogo", 1528

    Paolo Giovio, in fuga dal Sacco di Roma del 1527 e dalla prigionia in Castel Sant’Angelo, trovò riparo ad Ischia, ospite di Vittoria Colonna. Qui trascorse qualche mese, affascinato dalla poetessa e dal cenacolo letterario che intorno a lei si era formato. Da quegli incontri e riflessioni nacque il Dialogo de viris et foeminis aetate nostra florentibus (1528), nel quale si confrontano i personaggi più importanti dell’epoca e dove il Giovio si dilunga nel cantare le lodi della sua ospite. Interessanti le considerazioni che lo storico fa su un eventuale ritratto di Vittoria: “ma quali eccellenti mezzi… ci consentiranno di riprodurre la vera effigie di Vittoria Colonna, la sua figura, la sua disposizione esteriore, e con quali adatti e calzanti colori dell’eloquenza potremo riprodurre in modo somigliante il suo animo, sì da rispecchiare i tratti peculiari di tutte le virtù, come se si trattasse di nei naturali?".

    Non si hanno tracce documentarie di un suo ritratto nella collezione di Giovio, ma un'effigie di “Vittoria Marchesa di Pescara” doveva essere presente nel Museo gioviano dato che ne venne espressamente richiesta la copia a Cristofano mentre si trovava a Como. Un ritratto su tela, attribuito ad anonimo pittore romano del XVI secolo, è documentato da una foto in Fondazione Zeri: esso, pur privo della corona d'alloro in testa, è identico a quello presente nella serie fiorentina, e potrebbe esserne il prototipo.

    Patrizia Naldini

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    Storie di donne e potere: Caterina de’ Medici

    Ritratto di Caterina de’ Medici Regina di Francia
    (Firenze 1519 – Blois 1589)

    Cristofano di Papi dell’Altissimo
    (Firenze 1522 – 1605)
    1562 - 1563, olio su tavola
    Uffizi, Corridoio di Levante
    CATHARINA MED· LAVR· IVNIORIS F FRANCORVM REGINA

    Caterina de' Medici fu una delle sovrane più influenti del suo tempo. La sua ascesa al trono di Francia è legata a doppio filo al momento di massima influenza politica nello scacchiere europeo della famiglia Medici, che dopo di lei, nel giro di una decina d'anni, riuscirà ad assicurare al trono francese un'altra regina, Maria, figlia del Granduca di Toscana Francesco I.

    Caterina era figlia di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino e unico nipote legittimo di Lorenzo il Magnifico, e di Madeleine de La Tour d’Auvergne. Rimase ben presto orfana di entrambi i genitori, venendo allevata tra Firenze e Roma sotto la supervisione degli influenti zii, papa Leone X prima e Clemente VII poi, che fin da subito videro in lei un utile tramite per intrecciare future e fruttuose alleanze politiche. E infatti il matrimonio della quattordicenne Caterina e del coetaneo Enrico di Valois, secondogenito del re di Francia, fu un capolavoro di diplomazia: nel 1533 la giovane fu trionfalmente accompagnata in Francia dallo stesso Clemente VII a suggellare la prestigiosa unione fra la casata Medici, il Papato e la stirpe reale dei Valois. L’accoglienza a corte di una straniera, per giunta non di sangue blu, non fu tuttavia ben vista dai francesi. Mal tollerata e trascurata dal marito, assorbito dalla relazione con Diane di Poitiers, Caterina ebbe invece un ottimo rapporto col suocero, re Francesco I, amante della cultura e dell’arte italiane. In seguito all’improvvisa morte del cognato Francesco, Delfino di Francia, Caterina e il consorte Enrico, fratello del defunto principe, divennero inaspettatamente eredi al trono. Regina dal 1547, regina madre dal 1559 (dei suoi dieci figli ben tre furono sovrani), Caterina mostrò forte tempra, doti diplomatiche e grande acume politico, cercando di conciliare le opposte fazioni dei cattolici e degli ugonotti fino ai fatti che portarono alla tragica notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572), della quale fu considerata (ingiustamente?) la mandante.
    La storiografia ci ha consegnato il ritratto di un personaggio controverso, sulla cui ambivalenza ha pesato in larga misura il giudizio sul ruolo giocato nello scontro tra cattolici e protestanti. Nella ‘vulgata’ cattolica, soprattutto italiana, Caterina è la devota sposa di Enrico che, in seguito alla sua improvvisa morte, avvenuta nel corso di una giostra cavalleresca, si trovò ad esercitare il potere in maniera diretta, svolgendo questo compito per il bene della Francia e non per ambizione personale. Una regina forte che tentò fino alla fine la mediazione nelle turbolente faide religiose che incendiavano il paese, e che dovette sopportare anche lo straziante dolore di vedere morire tragicamente prima di lei quasi tutti i figli (salvo Enrico e Margherita). È grazie a questa letteratura cronachistica che Caterina viene tutt’oggi celebrata anche come l’erede, in Francia, della tradizione culturale del Rinascimento italiano, una donna colta e raffinata che dette impulso allo sviluppo delle arti d’Oltralpe, in particolare nell’architettura e nel teatro, importando dall’Italia anche costumi e mode all’avanguardia oltre ad usanze innovative come il galateo e la cucina toscana: sembra che sia stata lei ad introdurre in Francia il gelato, le crespelle, l’anatra all’arancia - questi ultimi due piatti considerati oggi tipicamente francesi - oltre a determinate essenze profumate, all’uso della forchetta e della sella da amazzone.

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    Storie di donne e potere: Caterina de’ Medici

    Il fronte protestante e quello cattolico-oltranzista francese diffusero un ritratto completamente rovesciato della sovrana, promuovendo la leggenda della “Regina nera”, detta “Madame la Serpente”, allieva del diabolico Machiavelli e quindi votata al complotto, all'assassinio, al tradimento. Una donna dedita alle pratiche di magia nera e all’occultismo, circondata da figure oscure come quella del fido mago di corte, il celebre Nostradamus. In quest’ottica magico-esoterica furono riletti anche gli "strani" incidenti accaduti intorno a lei, come l’improvvisa morte del cognato, per cui si diffuse il sospetto che fosse stata Caterina ad averlo avvelenato, o la morte del marito in duello, su cui pesava l’ombra della magia nera praticata per sete di potere. Anche la strage degli ugonotti francesi si ritenne ordita direttamente dalla sua spietata mano: un evento che suggellò, soprattutto nell’Europa nord-occidentale di fede protestante, l’immagine di Caterina come strega diabolica, e forse suggerì a Shakespeare alcuni tratti del personaggio di Lady Macbeth, la regina assetata di potere, disposta persino a vendere l’anima al diavolo pur di ottenere e mantenere salda la corona.

    Caterina dopo le nozze non tornò mai in Toscana, ma tenne una fitta corrispondenza con Cosimo I, suo coetaneo e amico d’infanzia, che tuttavia fu da lei accusato a lungo di essere un usurpatore poiché, provenendo dal ramo cadetto della famiglia Medici, non avrebbe dovuto ottenere il Ducato di Firenze, che invece sarebbe dovuto spettare a lei in qualità di legittima discendente del ramo principale del casato. L’attrito fra i due culminò nella guerra di Siena, vinta da Cosimo, che conquistò la città per conto di Carlo V d’Asburgo nel 1554, contro le truppe senesi sostenute dai reali francesi: ciononostante non mancò in seguito un riavvicinamento fra la Regina e il Duca, testimoniato dall’invio in Francia nel 1567 di 22 ritratti dei Medici, di mano di Cristofano di Papi, copie di quelli della serie gioviana.

    Giovio non possedeva il ritratto di Caterina, benché l’avesse conosciuta da bambina e le fosse legato da affetto sincero: il nostro fu realizzato a Firenze tra il 1562 e il 1563, insieme a tutti quelli dei Medici ed è citato da Vasari nel 1568 nella Sala del Mappamondo: riprende il medaglione ad affresco dipinto da Vasari tra il 1555 e il 1562 in Palazzo Vecchio, a sua volta replica di un dipinto di Corneille de Lyon del 1536.

    Alberica Barbolani Montauto; Simone Rovida

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    Storie di donne e potere: Elisabetta I Tudor

    Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra e d’Irlanda
    (Greenwich 1533 – Richmond upon Thames 1603)

    Cristofano di Papi dell'Altissimo?
    (Firenze 1522 - Firenze 1605)
    Ultimi decenni del XVI secolo, olio su tavola
    Uffizi, Corridoio di Levante
    ELISABETH DEI. G. ANGL. FRANC. / .ET. HIB. REGINA

    Devo ascrivere qualche mancanza a me o alla debolezza del mio sesso? In tal caso, non sarei degna di vivere; e, soprattutto, sarei la più indegna della benevolenza ricevuta da Dio, che mi ha dato un cuore che non ha mai temuto nemico alcuno, né straniero né in patria” Elisabetta I, dal “Golden Speech” alle Camere, 1601.

    Figlia di Enrico VIII Tudor e della seconda moglie Anna Bolena, Elisabetta non ebbe vita facile fin dall'infanzia a causa della caduta in disgrazia della madre, e del ripudio da parte del padre che l’aveva esclusa dalla successione. L’ascesa al trono della sorellastra Maria rese ancora più critica la sua posizione: temuta come possibile usurpatrice della corona, Elisabetta fu infatti rinchiusa nella famigerata Torre di Londra. Il destino tuttavia volle che, dopo soli cinque anni di regno, Maria si ammalasse gravemente, lasciando vacante il trono che, in assenza di eredi maschi, toccò in sorte nel 1558 proprio ad Elisabetta. Le difficoltà e le ristrettezze vissute in gioventù contribuirono certamente alla formazione del carattere forte e intraprendente con cui la nuova regina governò l’Inghilterra per ben quarantacinque anni, fino alla sua morte che segnò la fine della dinastia Tudor.

    Annoverata tra i più grandi sovrani dell’Europa moderna, Elisabetta I riuscì a traghettare l’Inghilterra dal Medioevo al Rinascimento, ereditando la corona di un paese martoriato da secolari lotte intestine - a cui nell’ultimo quarto di secolo si erano aggiunte anche le sanguinose faide religiose fra cattolici e protestanti – che riuscì a trasformare in una nazione florida e pacificata. Condizione conquistata anche a costo di drastici provvedimenti come, su pressione del Parlamento, l’esecuzione della cugina Maria Stuart, considerata la mandante di numerosi complotti orditi ai suoi danni nel tentativo di scalzarla dal trono; oppure la riaffermazione dell’indipendenza della Chiesa anglicana da quella di Roma con la conseguente e definitiva marginalizzazione delle élites di potere cattoliche. D’altro canto, sul fronte esterno, Elisabetta rese l’Inghilterra una delle più grandi potenze militari europee, ricorrendo anche all’impiego dei corsari, tra cui il famoso Francis Drake, e sancendo conseguentemente il primato dell’economia mercantile inglese sui mari, motore dell’espansione oltreoceano del primo nucleo del futuro Impero britannico. Memorabile fu la sconfitta inferta nel 1588 all’Invincible Armada spagnola di Filippo II, fino ad allora dominatrice incontrastata delle rotte europee. In questo clima di stabilità e solidità politica fiorì la cosiddetta Golden Age: il mecenatismo e la lungimirante politica culturale della regina promossero le arti, la letteratura (Sir Philip Sidney fu poeta di corte), il teatro (basti ricordare la figura di William Shakespeare), la filosofia (Francis Bacon fu Cancelliere della Regina) e le scienze (William Gilbert intratteneva una regolare corrispondenza con Galileo).

    Indipendente e volitiva, Elisabetta non cedette mai alle pressioni che le provenivano da più parti affinché si sposasse e desse alla luce un erede al trono. Questo le valse il soprannome di “Regina vergine” (sebbene già al tempo si vociferasse del suo favore verso alcuni uomini di corte, in particolare Sir Robert Dudley). Ma l’immagine che la sovrana voleva dare di sé era quella di una virgo virago “sposa della nazione” e “madre dei sudditi”, che al tempo stesso non esitava a parlare di sé al maschile: “So di avere il corpo debole e fiacco di una donna – disse alle truppe in partenza contro l’Armada spagnola – ma ho il cuore e il fegato di un Re, e di un Re d’Inghilterra per giunta”.

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    Storie di donne e potere: Elisabetta I Tudor

    «Un pallido naso aquilino, una massa di capelli onusta [“carica” ndr] di diademi e cosparsa di diamanti, un vasto collare a gale increspate, un ancor più vasto guardinfante e uno staio di perle: ecco i tratti di base grazie ai quali ognuno riconosce immediatamente i ritratti di Elisabetta.»
    Horace Walpole su Elisabetta I, in "Aneddoti sulla pittura in Inghilterra", 1765.

    Dai discorsi ufficiali e dall’iconografia dei ritratti di Elisabetta è evidente che la regina seguisse un’accorta e sapiente strategia comunicativa dal valore squisitamente politico: raffigurarsi come una creatura androgina, tanto nell’eloquio quanto nei tratti somatici, sempre più astratti e rarefatti, in modo da connotarsi sempre più come simbolo o icona, più che come donna reale. La sua politica non fu dunque quella di scardinare le secolari strutture patriarcali del potere che si trovò a gestire, anzi, le assecondò e le sfruttò a suo vantaggio autorappresentandosi spesso come un re consacrato, con tutte le qualità che un sovrano scelto da Dio deve avere. Rappresentarsi come “Regina Vergine” consentiva a Elisabetta, già capo della Chiesa anglicana, di elevarsi a figura quasi venerabile, riempiendo quel vuoto che la soppressione del culto cattolico della “Vergine Maria” aveva lasciato nelle liturgie popolari, tanto da farsi portare in processione, come accadeva all’immagine della Madonna nelle feste cattoliche. Presentandosi come un sacro oggetto di venerazione che doveva incutere timore e rispetto, Elisabetta introduceva un ideale nuovo di femminilità nella cornice dei tradizionali assetti sociali patriarcali: la donna di potere, non più solo angelo del focolare o vergine nel chiostro.

    Seppur in versione più austera, con l’abito nero, i capelli quasi del tutto nascosti sotto la cuffia, la gorgiera non troppo voluminosa, anche nella collezione gioviana degli Uffizi possiamo ammirare un’effigie di questa carismatica sovrana, una delle personalità femminili più celebri della storia europea. Lo spirito risoluto di Elisabetta emerge anche dal ritratto fiorentino di cui non abbiamo notizie documentarie fino al 1704, quando risulta appeso nel Corridoio di Mezzogiorno. Per le affinità stilistiche con altri quadri documentati può essere inserito, pur con qualche dubbio, nel corpus dei ritratti eseguiti da Cristofano dell'Altissimo nella seconda metà del XVI secolo.

    Katiuscia Quinci; Simone Rovida

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    Bibliografia

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    M. D'Amico, La rivincita di Caterina d'Aragona, in "La Stampa", Torino, 23 agosto 2011.

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    L’Empire du sultan. Le monde Ottoman dans l’art de la Renaissance, catalogo della mostra (Bruxelles, Palais des Beaux-Arts, 27 febbraio - 31 maggio 2015), édité par R. Born, M. Dziewulski, G. Messling, Tielt 2015.

    M. Melotti, Elisabetta I, Milano 2019.

    S. Mumcu, Parentele, amicizie e carriere: La distribuzione del potere al centro dell'Impero ottomano (1550-1566), Università degli Studi di Padova, Corso di Dottorato in Studi Storici, Georgrafici e Antropologici, relatori M. C. La Rocca, W. Panciera, a.a. 2017-2018.

    S. Rovida, “Un cuore di tigre in una pelle di donna”. Il paradigma dell’androginia femminile nelle tragedie e nei drammi storici di Shakespeare, Arezzo 2022.

    D. Salomoni, Francis Drake: il corsaro che sfidò un impero, Bari 2023.

    M. M. Simari e A. Barbolani da Montauto, La Collezione Gioviana degli Uffizi, Firenze 2023.

    Ritratto di Paolo Giovio
    (Como 1486 - Firenze 1552)

    Cristofano di Papi dell’Altissimo
    (Firenze 1522-1605)
    1552-1568, olio su tavola
    Uffizi, Corridoio di Levante
    PAVLVS· IOVIVS· EPS· NVCER·/SV(I)· TEMPORIS· HISTORIAS· PERSCRIBENS·

Storie di donne e potere

Tra Oriente e Occidente nella serie gioviana

Crediti

Progetto: Dipartimento Strategie Digitali - Divisione Comunicazione Culturale delle Gallerie degli Uffizi
Divisione Comunicazione Culturale: Elena Marconi (coordinatrice)
Dipartimento Strategie Digitali: Francesca Sborgi (coordinatrice)

Testi: Alberica Barbolani Montauto, Patrizia Naldini, Katiuscia Quinci, Simone Rovida
Foto: Roberto Palermo, Antonio Quattrone
Editing web: Andrea Biotti
Revisione testi: Patrizia Naldini
Traduzioni: Way2Global srl

Data di pubblicazione: 7 marzo 2024

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