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Tra umano e divino: Cimabue e la Maestà di Santa Trinita

  • Tra umano e divino: Cimabue e la Maestà di Santa Trinita

    Tra umano e divino: Cimabue e la Maestà di Santa Trinita
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    La Maestà di Santa Trinita, 1290-1300

    Questa grande tavola (3,85m x 223m) venne realizzata da Cimabue verso il 1300 per l'ordine dei Vallombrosani della Chiesa di Santa Trinita, dove a detta del Vasari fu posta sull'altare maggiore.

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    La tavola nella collezione degli Uffizi

    Nel 1810 passò nella Galleria dell'Accademia fiorentina e, nel 1919, agli Uffizi. L'originaria cornice monumentale andò perduta nell'Ottocento, e fu sostituita da un listello dipinto e dorato.

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    Le Maestà nell'arte medievale

    Le cosiddette “Maestà”, tavole verticali per lo più cuspidate di grandi dimensioni si diffusero in Italia centrale tra Umbria e Toscana nella seconda metà del Duecento con l'avvio delle grandiose trasformazioni architettoniche che coinvolsero chiese degli ordini mendicanti e le cattedrali.

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    Il modello delle icone bizantine

    Maria presenta il Bambino ai fedeli: tale formula deriva dall'icona bizantina detta Odighitria, ovvero "colei che mostra la via". La posa del Bambino è tipica, si volge verso la Madre piegando una gamba in modo da mostrare la pianta del piedino destro.

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    Il fondo oro

    Il fondo oro allude alla luce divina del volto di Dio ed ha la funzione di collocare il Sacro in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio terreni. La decorazione del fondo e delle aureole veniva effettuata grazie all'uso di punzoni.

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    L' agemina

    La doratura sull'abito della Vergine e del Bambino, di tradizione bizantina, prende il nome di agemina, dal latino "ad gemina metalla" (a doppi metalli) e designa la doratura a doppio filamento

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    Le novità introdotte nel linguaggio di Cimabue

    Cimabue propone alcune novità del linguaggio di Giotto rinunciando alle rigidezze dell'arte bizantina. Le espressioni si fanno carezzevoli e i volti, modellati da un chiaroscuro delicatamente sfumato, accennano brevi sorrisi.

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    Il significato del trono

    La struttura solenne del trono richiama le architetture delle chiese toscane rivestite di marmi e impreziosite da decorazioni a mosaico. La prospettiva centrale suggerisce uno spazio abitabile che accoglie Maria Mater Ecclesiae e i Profeti nelle campate delle arcate.

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    La simbologia dei Profeti del Vecchio Testamento

    I Profeti dell'Antico Testamento sono posti simbolicamente in basso, a fondamento del Nuovo: Geremia, Abramo, David ed Isaia alludono, nei loro cartigli, ai misteri dell'Incarnazione e della Verginità di Maria

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    Il giudizio di Giorgio Vasari

    “Mostrò in quell'opera, usandovi gran diligenza per rispondere alla fama che già era conceputa di lui, migliore invenzione, e bel modo nell'attitudini d'una Nostra Donna, che fece col Figliuolo in braccio e con molti Angeli intorno che l'adoravano in campo d'oro.” (Giorgio Vasari, "Vita di Cimabue")

Tra umano e divino: Cimabue e la Maestà di Santa Trinita

Gli Uffizi espongono in un'unica ampia sala tre grandi Maestà dipinte tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento dai tre  nomi di spicco dell'epoca, Duccio, Cimabue e Giotto. Per chi entra in quella sala la visione d'insieme di queste opere grandiose è  sorprendente ed emozionante. Le dimensioni impressionanti e l'iconicità delle figure non possono non evocare, nemmeno nel visitatore più distratto e frettoloso, quel senso di rispetto del sacro e dell'ultraterreno, che era parte dominante della cultura medievale. L'icona, nella tradizione bizantina, è immagine sacra dove forma e simbolo coincidono, veicolo per il Divino, vero e proprio trait d'union tra l'uomo e Dio. La loro realizzazione richiedeva tempi lenti di esecuzione, e gli artisti si preparavano al compimento dell'icona con digiuni e preghiere.  Le eccezionali dimensioni delle Maestà fanno pensare che queste tavole, come le croci, fossero poste molto in alto, rivolte verso i laici, in modo da poter essere viste anche da lontano e costituire un focus visivo all'interno di chiese e cattedrali.

Grazie alle moderne tecnologie oggi possiamo scrutare queste opere da un punto di vista privilegiato, soffermandoci su numerosi dettagli, punzonature, trasparenze e finiture, che gli artisti avevano realizzato dedicandoli a Dio e che i fedeli, da lontano, non potevano percepire. Proponiamo in questa sede una lettura ravvicinata della Maestà di Santa Trinita, opera tarda del più importante pittore della seconda metà del Duecento dell'Italia centrale, Cenni di Pepo detto Cimabue, che in quest'opera fa i conti con le novità introdotte in pittura dal suo illustre allievo Giotto, conciliandole con l'impronta filobizantina della tradizione precedente, fondamenta della sua formazione.

Avviciniamoci dunque all'antico con l'occhio moderno offerto dalla tecnologia digitale, per riscoprire simboli e significati della pittura sacra, così consueti un tempo all'uomo del Medioevo.

Testi di Patrizia Naldini

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