A cavallo del tempo. Tra uomo e cavallo, un passo a due
L’intero concetto di questa mostra sembra contenuto in una delle opere che vi sono esposte, una splendida coppia di frontali in bronzo e avorio, del IV secolo a.C., destinati a proteggere il muso del cavallo: il perimetro della lamina sagomata e decorata a sbalzo ne segue pertanto l’anatomia allungata, ma al suo interno, invece di una fisionomia equina, racchiude le sembianze di un volto umano con un elmo sul capo. Cavallo e cavaliere diventano una cosa sola. Dal Paleolitico a tutto il Cinquecento, la rassegna di fatto indaga questo rapporto, di un’attualità spesso insospettata, e che attraversa tutta la nostra storia: nel saggio di Alessandro Muscillo, dal Περὶ ἱππικῆς (Sull’arte equestre) di Senofonte, del 350 a.C., passando per il De equo animante di Leon Battista Alberti (1443) e per il trattato secentesco di Antoine de Pluvinel – quasi un Baldassar Castiglione applicato all’ippica –, si arriva nientemeno che a Topolino, dove a Paperopoli insieme a Nonna Papera compare un cavallo che risponde al nome, appunto, di Senofonte. In catalogo si considera anche l’aspetto pedagogico-sociale della relazione tra l’uomo e il cavallo, con risvolti che potrebbero applicarsi oggigiorno alla passione di molti giovani per moto e auto veloci, comunque attuale già ai tempi di Aristofane: come scrive Massimiliano Papini, nelle Nuvole (423 a.C.) si parla di Fidippide, il figlio scavezzacollo del contadino Strepsiade, che faceva disperare il padre sperperandone i soldi in gare equestri, e che la madre (di più alto lignaggio) invece viziava ed esortava a coltivare la propria “malattia del cavallo”. E vi è, ad esempio, il celebre caso di Fetonte, che nel brioso resoconto di Cristiana Barandoni appare come la classica impuntatura di un ragazzo intenzionato a guidare a tutti i costi il potente mezzo del padre (in questo caso addirittura il carro del Sole) e facendo lo sbruffone perisce in quello che è forse il più celebre incidente stradale della mitologia. A proposito di cavalli e carri, la mostra è anche la prima nel suo genere a dare rilievo a oggetti che solitamente non sono esposti o, nel caso che lo siano, non attirano l’attenzione dei visitatori, come morsi, speroni, falere, raffigurazioni di selle o cavalli a lavoro. I reperti sono inseriti in una narrazione complessa, incentrata sul rapporto uomo-cavallo e sullo sviluppo della ‘tecnologia’ del cavalcare, e rivelano anche al visitatore meno specializzato il loro peso storico: si pensi, ad esempio, ai morsi di bronzo ritrovati nelle tombe di cavalli a Himera (due crani sono esposti in mostra), che ribadiscono – insieme al raro onore della sepoltura tributato all’animale – il ruolo fondamentale delle cavallerie nella battaglia del 480 a.C., durante la seconda guerra greco-punica, confermando il resoconto fatto nel I secolo a.C. da Diodoro Siculo. La conoscenza di questi oggetti è fondamentale anche per affinare gli strumenti della filologia archeologica: ci si rende conto che, proprio grazie al riconoscimento della funzione delle parti metalliche rinvenute, è stato possibile ricostruire, a oltre mezzo secolo dalla sua scoperta, il calesse etrusco degli inizi del V secolo a.C., uno dei fuochi visivi della mostra, trovato nella cosiddetta ‘Fossa della Biga’ nella necropoli di San Cerbone a Populonia. Sarà anche possibile ammirare degli splendidi cavallini su ruote: giocattoli antichi, sì, ma veramente uguali in tutto e per tutto a quelli che da bambini ci tiravamo dietro per casa, attaccati a una cordicella. E poi capolavori magniloquenti come la Protome di cavallo “Medici Riccardi”, l’Urna con il mito di Ippodamia e Pelope, fino allo splendido ‘Cavallo impennato’ alto quasi due metri, di epoca tardo classica, che da Villa Medici a Roma giunse a Firenze insieme alle statue dei Niobidi.
Questa visione a tutto tondo corrisponde in catalogo a una sorprendente varietà di saggi, che spaziano dalla musica prodotta dai finimenti (Susanna Sarti) ad un argomento nuovo e complesso come l’introduzione delle staffe nelle cavalcature (Vasco La Salvia); dal testo dedicato all’etologia e alle razze del cavallo dall’antichità al Medioevo, con riferimenti a pitture rupestri e ad opere d’arte (Marco Masseti), alla decifrazione del cosiddetto ‘remolino’ (grazie a Mario Iozzo), in realtà un vortice dei peli del manto in corrispondenza dell’attacco tra ventre e coscia, che scopriamo essere non solo un dettaglio nelle raffigurazioni equine ma una vera e propria scienza collegata anch’essa all’etologia – e senza dilungarmi o anticipare troppo, lascio al lettore la scoperta dell’immensa messe di contenuti raccolta in queste pagine.
La relazione tra cavallo e cavalieri – così cara allo scultore Marino Marini – è altresì un tema centrale nell’opera di Fritz Koenig, le cui grandi opere in bronzo in questi mesi estivi sono installate nel Giardino di Boboli, proprio vicino alle testimonianze antiche sull’argomento riunite nella Limonaia di Zanobi del Rosso. Con A cavallo del tempo si torna a destinare questo spazio solenne e luminoso alle esposizioni archeologiche, seguendo una linea già avviata in passato con iniziative quali Il giardino antico da Babilonia a Roma. Scienza, arte e natura (2007) e Da Petra a Shawbak. Archeologia di una frontiera (2009), e che continuerà l’anno prossimo con una mostra dedicata alla Colonna Traiana. Questi appuntamenti, di grande peso scientifico, sono concepiti per portare alla coscienza del pubblico il ruolo dell’archeologia anche nella storia collezionistica delle Gallerie degli Uffizi. È con questo intento che è stato promosso l’accordo Uffizi – Museo Archeologico Nazionale (ogni biglietto e abbonamento degli Uffizi comprende l’ingresso gratuito all’Archeologico); e per lo stesso motivo sarà avviata entro l’anno la ricostruzione del celebre Ricetto disegnato dal Foggini in cima allo scalone Buontalenti, inserendo nuovamente alle pareti le iscrizioni e le epigrafi delle collezioni dei Medici, mentre nel Corridoio Vasariano saranno visibili quelle acquisite dal periodo lorenese ai giorni nostri.
Si è voluto progettare in modo diverso la diffusione ad ogni livello del profondo messaggio di questa mostra, che investe lo sviluppo dell’umanità, l’arte e la storia, nonché i vari rami della disciplina archeologica, ma nello stesso tempo tocca anche il rapporto tra uomo e animale. Per questo valore universale del tema, in collaborazione con i curatori Fabrizio Paolucci e Lorenza Camin – a riprova che si può essere archeologi e studiosi di prim’ordine, mantenendo la presa con il pubblico –, il Dipartimento Scuola e Giovani delle Gallerie degli Uffizi ha concepito un programma anche per i bambini, che permetta loro di trascorrere un’intera giornata a Boboli ascoltando fiabe, visitando la mostra con accompagnatrici formate per l’occasione, partecipando ad uno scavo archeologico simulato in un apposito spazio/recinto messo a loro disposizione. Ma non solo: sarà loro possibile avvicinare il protagonista principale, entrare in contatto con l’argomento stesso dell’esposizione, dando da mangiare e imparando a conoscere un cavallino pony da ippoterapia. Archeologia come esperienza per tutti, dunque, sotto il segno del cavallo.