Elisa Baciocchi e la sua corte
Genesi di un dipinto
Nella primavera del 1812 Canova soggiornava a Firenze, impegnato nello scoprimento e nella collocazione della Venere italica. In questa occasione egli modellò anche il busto di Elisa tra il mese di aprile e quello di maggio. A Pietro Benvenuti, celebre artista aretino, all’epoca direttore dell’Accademia fiorentina, oltre che Maestro di Pittura e primo pittore di corte, fu dato l’incarico di immortalare l’evento in una tela di grandi dimensioni che contemporaneamente celebrasse il mecenatismo della granduchessa e la grandezza dello scultore. Sebbene si fosse ispirato alla ritrattistica ufficiale imperiale, come se la tela fosse immagine di una cerimonia solenne, Benvenuti ha però modificato la tradizione francese, mettendo sullo stesso piano la famiglia granducale, i dignitari di corte, le dame di compagnia (in gran parte appartenenti all’aristocrazia fiorentina), e gli artisti da lei protetti. Nel grande dipinto, oggi a Versailles, Elisa Baciocchi domina la scena seduta sul trono e posa come una musa ispiratrice di tutti gli artisti, che la circondano nell’intento di apparire erede dei grandi protettori delle arti in Firenze. Ventisei personaggi a grandezza naturale affollano la tela. Davanti alla sovrana Canova, in piedi, mostra anche a Felice Baciocchi il busto posto sopra l’elegante piedistallo a colonna. A fianco della sovrana è invece il barone Giovanni Degli Alessandri, all’epoca presidente dell’Accademia di Belle Arti e primo ciambellano della sovrana, oltre che grande amico di Canova. Egli è in atto di illustrare ad Elisa il busto appena svelato. Molto probabilmente fu proprio lui a consigliare Benvenuti per l’iconografia del quadro, da interpretare come un omaggio allo scultore di Possagno, al quale anche il pittore aretino era molto legato. In piedi, vicino alla madre, è la figlia, la piccola Napoleona, che tiene vicino a se un levriero, forse lo stesso scolpito da Lorenzo Bartolini insieme alla giovinetta nuda intorno al 1810-1812. A sinistra, oltre alle dame di corte, si riconoscono gli artisti Giovanni Antonio Santarelli che, docente di intaglio nonché medaglista presso l’Accademia fiorentina, è raffigurato in atto di conversare con Tommaso Puccini, ciambellano della granduchessa e direttore delle Gallerie degli Uffizi, mentre mostra alla sovrana un medaglione da lui appena realizzato, rappresentato anche separatamente in uno studio preparatorio della sua figura (n. inv. 12018S). La figura di Puccini chiude la composizione. Distanziato, nel lato opposto, è Raphael Morghen, che tiene sottobraccio l’incisione incorniciata, tratta dal dipinto con Napoleone che valica le Alpi. Morghen era tornato da Parigi con l’incarico di fare questa incisione nel giugno del 1812. Egli era di natura presuntuosa e dopo il suo ritorno evidentemente aveva insistito per essere inserito nella prestigiosa tela, all’epoca già quasi completata. Nel quadro Santarelli e Morghen si ignorano e sembrano due rivali. Inserita ad opera iniziata è anche la figura accanto a Morghen, che è identificabile con Salomon Guillaume Counis, pittore svizzero, nato a Ginevra e specialista nella pittura a smalto. Trasferitosi a Parigi nel 1806, entrò nelle grazie di Elisa, che lo volle a Firenze come suo pittore personale dandogli il titolo di “Pittore di smalti della corte”. La figura di Puccini è invece già presente nel secondo disegno d’insieme. La realizzazione della grande tela fu portata avanti per fasi diverse e i molti fogli conservati nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi documentano in modo dettagliato i vari momenti. Oltre a quattro disegni d’insieme, moltissimi sono gli studi preparatori delle singole figure. Nell’ultimo disegno d’insieme [inv.n.96574r LINK], quello più prossimo al dipinto, il vero protagonista della scena è diventato Canova. In una postilla apposta ad una lettera che il Degli Alessandri scrisse a Canova, già a Roma, nell’aprile del 1813, Benvenuti, non potendo recarsi nella città pontificia, chiese allo scultore “segni di tutta la sua persona per finire di abbozzare il quadro che sto facendo per la Granduchessa”. Canova, che nella città granducale alloggiava ospite del Degli Alessandri in Borgo degli Albizi, al momento della stesura del quadro aveva già lasciato Firenze per tornare a Roma e Benvenuti quindi era impossibilitato a rappresentarlo dal vero. Per il volto fece riferimento al ritratto che di lui aveva fatto Francois Xavier Fabre, anch’egli presente nella tela, oltre a quello di sua mano conservato in casa Degli Alessandri. Nel 1813 Benvenuti scriveva a Fabre pregandolo di avere in prestito per qualche giorno il ritratto per fare la testa dello scultore. Per la figura intera e per l’abito, che doveva essere nero, chiese a Canova la possibilità di farsi ritrarre dal giovane Francesco Nenci, all’epoca “pensionante” a Roma, secondo la “mossa” desiderata ed illustrata dietro una lettera inviata all’allievo, ovvero in atto di girare il trespolo per mostrare il busto a Felice Baciocchi, tratteggiando a lapis lo schizzo di quanto richiesto. Nei fogli preparatori il busto di Elisa viene posto in sequenza, prima su uno sgabello, poi in supporto composto da blocchi e infine sulla colonna raffigurata sulla tela. Questa sequenza corrisponde al cambiamento delle pose, prima in atelier, poi in una sala prestata a Canova in Accademia e ancora in una riunione a corte, per concludere nell’appartamento della granduchessa a Palazzo Pitti. La grande preoccupazione e l’urgenza di Pietro erano dovute all’importanza che Canova doveva avere nel quadro, come mostra uno degli studi preparatori per la posa definitiva dello scultore (inv. 20964 F). Nel dipinto la figura del principe consorte è, ugualmente ai numerosi studi (inv. 20963 F), sempre relegata lontano dal trono. Nella tela si ha l’impressione che le proposte rivolte a Canova lascino indifferenti il marchese Girolamo Lucchesini, diplomatico lucchese fedelissimo ad Elisa e posto accanto al Baciocchi. Nelle figure maschili poste vicino al principe di Lucca e di Piombino si riconosce Jacques Louis Leblanc, personaggio molto stimato da Elisa. Nel dipinto un ruolo preminente è svolto anche da Fabre, artista francese giunto a Firenze nel 1793, che è posto al centro, vicino a Benvenuti, in posizione un po’ defilata, cedendogli il posto in segno di rispetto. Entrambi i pittori più importanti nella città granducale sono impegnati al cavalletto per delineare il volto della sovrana. Nel gruppo delle dame si riconoscono la contessa Teresa Mozzi del Garbo nata Guadagni, la cui posa è studiata separatamente anche in un rapido schizzo (20961 F r.), e la principessa Antonietta Corsini nata Waldstadten, nell’ultima figura. La sovrana aveva più di trentatré Dame di Accompagnamento, quattro Damigelle di Compagnia, una Lettrice e una Dama di Onore. Nell’angolo opposto, dietro il colonnato in stile dorico e dietro le cariatidi, che sono un’elaborazione da quelle dell’Eretteo, si apre la veduta di Firenze dando alla città il significato della “Nuova Atene d’Italia”. L’ambiente è dominato da una monumentale statua di Napoleone, che appare togato con una corona di alloro. In essa può essere riconosciuta una certa somiglianza con quella realizzata per Livorno nel 1810 da Lorenzo Bartolini, grande assente nel quadro.