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Abito da sposa

Manifattura italiana

Data
1836
Tecnica
Raso di seta operato per trame liserées, pizzo “blonde”, merletto in filo di cotone, fodera in garza
Inventario
Tessuti antichi 1578

L’abito venne confezionato per Angela Polese, nata a Livorno nel 1808, che lo indossò in occasione delle nozze con Giuseppe Ascione, celebrate nel 1836.

Per quanto all’epoca l’uso del bianco quale allusione al candore verginale della donna fosse già diffuso negli abiti da sposa, l’impiego di colori come l'oro antico e il rosa pallido rimarrà in uso fino almeno alla metà dell’Ottocento. Nel frattempo, l’abito da sposa andava sempre più affermandosi come un fondamentale marcatore del prestigio sociale di una futura moglie che, proprio tramite il matrimonio, era in grado di guadagnare una più solida posizione in società.

Confezionato in tessuto di seta operato su fondo color oro antico, l’abito è decorato da un motivo floreale a peonie e piccole margherite. Il corpino, di forma trapezoidale, si stringe in corrispondenza della vita seguendo un andamento a freccia; ne ingentiliscono la linea fluenti pieghe che attraversano orizzontalmente l’ampio scollo e si arrestano verso il centro.

Le maniche, ‘à gigot’, si gonfiano in corrispondenza degli omeri, raccogliendosi sul gomito tramite un doppio ordine di laccetti agganciati con piccoli bottoni e restringendosi vistosamente intorno agli avambracci. La gonna, internamente bordata di garza, si increspa alla vita gonfiandosi poi a cupola e ricadendo in morbide pieghe fino alle caviglie.

La foggia dell’abito rispecchia i canoni sartoriali tipici del periodo compreso tra gli anni Venti e Trenta del XIX secolo. Durante questi decenni, i tessuti leggeri e fluenti dello stile Impero cedono il testimone ad abiti che tendono più volentieri ad occultare le forme femminili sotto grevi e sempre più costrittivi indumenti, senza per questo risparmiare sulla generosità degli scolli.

La spiccata forma trapezoidale dei corpini, assieme alle gonne ad andamento svasato, conferiscono alla silhouette femminile una caratteristica forma a clessidra, lasciandone ancora scoperti i piedi e donandole un aspetto fluttuante e leggero.

Parte dell’abito è anche un canezou-pélerine tipico del periodo romantico, una corta mantellina confezionata nello stesso tessuto del vestito, impreziosita da merletto in seta e poggiante sulle spalle a risaltarne l’andamento ricalato.

Non meno sensibile delle arti figurative alle coeve tendenze eclettiche, la moda riflette il gusto di quegli anni per il recupero di motivi stilistici attinti dal passato: a questo tipo di inclinazione rispondono le ampie maniche ‘à gigot’ dell’abito, tagliate secondo la foggia tipica del Rinascimento inoltrato e rilanciate nell’alta società francese dalla duchessa de Berry durante gli anni Venti dell’Ottocento.

Bibliografia

La Galleria del Costume/1 , Centro di, Firenze, 1983, pp. 64-65; M. Carmignani, Il mito intramontabile dell’abito da sposa , in C’era una volta il corredo da sposa , Consorzio Merletti di Burano, Burano, 1987, p. 193; S. Ricci, Le ore della moda: il codice borghese delle buone maniere , in La Galleria del Costume/5 , Centro di, Firenze, 1990, p. 13; C. Chiarelli, Abiti nella storia. Lo stile del vivere da Napoleone ai Demidoff , Sillabe, Livorno, 1998, pp. 7-19.

Testo di
Diletta Urbano; Vanessa Gavioli
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