Ara in onore di Flavia Ampliata
Arte romana
L’ara è caratterizzata da una decorazione estremamente semplice, con i soli urceus e patera – la brocca e la scodella utilizzati per i rituali funebri – che occupano i lati corti, mentre all’iscrizione è destinato quasi tutto lo spazio a disposizione nella faccia principale (CIL VI 18276), se si eccettua la cimasa con volute che corona il monumento.
La dedica è posta da Nico, definito dal solo cognomen d’origine greca, alla moglie, Flavia Ampliata, la quale con ogni probabilità esprime il comune gentilizio, permettendo di individuare nella coppia due liberti della gens Flavia. Particolarmente interessante è però il modo in cui nell’iscrizione viene inquadrata la donna scomparsa, i cui unici elementi degni di nota nella vita appaiono quelli che la definiscono come moglie: la qualifica di sposa benemerente, che implicitamente allude alle qualità matronali della pudicizia e della fedeltà, e gli anni di durata del suo matrimonio, l’unico orizzonte temporale su cui è posta l’attenzione, a discapito addirittura dell’età della defunta, che non viene resa nota. Data l’umile origine, evidente anche nel monumento che ne eterna la memoria e nella modesta area sepolcrale, appena sufficiente a contenere l’ara e il cinerario, la defunta può essere quindi ricordata soltanto per il suo ruolo di sposa, l’unica circostanza nella quale ella si era avvicinata all’ideale matronale, considerato l’orizzonte di riferimento per ogni donna.
Non è noto il preciso luogo di ritrovamento dell’ara, che però fu certamente rinvenuta a Roma, dato che la sua prima attestazione è nella collezione di papa Giulio III, ospitata nella sua villa sulla via Flaminia, dalla quale nella seconda metà del XVI secolo passò nella collezione medicea sul Pincio.