Ara posta da Fundania Zosime per marito e liberto
Arte romana
Il monumento funerario, commissionato da Fundania Zosime, è riccamente decorato su tre lati con festoni di foglie di alloro e bacche che dividono a metà lo spazio e un cui capo è fissato alle corna degli arieti che occupano gli angoli superiori della faccia principale dell’ara, cui corrispondono in basso due aquile su basi aggettanti, di cui si può apprezzare il naturalismo del piumaggio, naturalismo che caratterizza anche i due galli in lotta sotto il festone. Nella parte superiore, all’interno della tabella, la dedica con la destinazione originaria del monumento, cui è seguita, a breve distanza di tempo, una seconda dedica, incisa nello spazio tra la tabella e il festone (CIL VI 15082).
Il primo beneficiario dell’ara, come risulta dall’iscrizione nella tabella, è il marito di Fundania, Tiberio Claudio Fortunato Epafroditiano, liberto di un Augusto, che dato il suo gentilizio non può che essere Claudio o Nerone, più probabilmente il secondo a causa del cognomen Epaphroditianus che sembra alludere ad Epafrodito, potente liberto di Nerone, da cui il marito di Fundania potrebbe essere stato ceduto al principe prima di venir emancipato. Nulla di questa vicenda è noto tuttavia grazie alla dedica sepolcrale, che risulta essenziale, mentre più ricca di elogi è la seconda iscrizione, posta dalla donna in onore del suo liberto più caro, il “benemerente e carissimo” Publio Fundanio Polibio. La sequenza delle dediche non implica tuttavia una successione dei due personaggi nella vita di Fundania, con una possibile ulteriore attestazione della scelta da parte di una donna di un suo liberto come compagno, ma il dato più interessante che emerge dal monumento risulta essere la centralità che Fundania, anch’essa probabilmente una ex schiava dato il cognomen d’origine greca, decide di ritagliare per sé. Ella mostra infatti al lettore dell’elogio funebre, benché non a lei destinato, non soltanto di aver conquistato la libertà e una posizione di prestigio accanto ad un liberto imperiale, ma anche di esser stata capace di divenire patrona di una familia servile, di cui appare in grado di prendersi cura anche dopo la scomparsa del marito.
L’unico dato certo sulla provenienza del monumento lo colloca nel XVIII secolo nella collezione Niccolini di Firenze, dalla quale passò alla Galleria degli Uffizi nel 1824, ma la decorazione ne indica chiaramente la pertinenza con officine romane.