Ara in onore di Giunia Procula. Fronte
Arte romana
I due lati corti e la faccia principale del monumento sono ricoperti da una ricchissima decorazione, il cui elemento centrale è il volto della giovanissima defunta, Giunia Procula, che guarda dall’alto lo spettatore, raffigurata nella tabella normalmente destinata all’iscrizione, che infatti è quasi completamente relegata nello zoccolo del pannello centrale (CIL VI 20905). Quest’ultimo è diviso a metà da un festone di fiori e frutta, agganciato ai due lati alle corna ricurve di Giove Ammone che sovrasta, da entrambi i lati, un’aquila ad ali spiegate, poggiata su basi aggettanti. Sotto il festone una scena di caccia, con un grifone che azzanna un toro, mentre sopra c’è una scena di genere, con un cane che fa cadere la cesta ricolma di frutta retta da un erote.
L’iscrizione racconta la breve vita di Giunia Procula, scomparsa poco prima di compiere i nove anni, lasciando nella disperazione i genitori: il padre, M. Giunio Eufrosino, probabilmente un liberto, dato il cognomen grecanico, e la madre, il cui nome appare illeggibile perché cancellato dal testo secondo le modalità della damnatio memoriae, la pratica che decretava l’eliminazione del ricordo di personaggi pubblici giudicati colpevoli di crimini contro lo Stato. In questo caso è il retro dell’ara a spiegare le cause di questa pratica, assolutamente anomala in ambito privato, con una maledizione lanciata da Eufrosino contro la moglie fedifraga, Giunia Atte, che prima di sposarlo era stata sua schiava. Tuttavia, prima che avvenisse la rottura tra gli sposi, la loro scelta comune era stata quella di celebrare la piccola Procula in modo grandioso, come dimostrano sia la decorazione del monumento, sia il busto-ritratto della fanciulla, che, con i molti riccioli che le incorniciano il volto, richiama le raffigurazioni delle esponenti della dinastia al potere – in questo caso la domus flavia – che forniscono ormai il modello matronale di riferimento nella rappresentazione femminile, standard cui ci si attiene anche nel caso di una giovane fanciulla figlia di due liberti di successo.
L’ara, che per raffinatezza è collocabile nella produzione romana, è attestata, come molte altre are esposte in mostra, a metà del XVI secolo nella vigna del cardinal dei Medici fuori dalla porta Flaminia, una proprietà che nel 1560 era nella disponibilità del cardinal Giovanni e alla sua morte, nel 1562, passò al fratello, il cardinal Ferdinando.