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Bianco Nero

Alberto Burri (Città di Castello 1915 – Nizza 1995)

Data
1969
Collezione
Pittura
Collocazione
San Pier Scheraggio
Tecnica
Plastica, acrilico, vinavil su cellotex
Dimensioni
151 x 251 cm
Inventario
1890 n. 10066

Alberto Burri, fra le figure più rappresentative dell’arte del XX secolo, è celebre per i cicli di opere create con materiali del tutto inediti, dai Sacchi in tela di iuta, ai Catrami, alle Plastiche, sulle quali l’artista interviene con drammatica e partecipata gestualità. Con queste serie di opere, fra anni Cinquanta e Sessanta, Burri gioca un ruolo di primo piano nel definire la poetica del movimento ‘Informale’, esteso a tutta l’Europa ed anche oltre.

Alla serie dei “Bianchi-Neri”, alla quale appartiene quest’opera, Burri lavora dalla fine degli anni Sessanta, subito dopo la serie delle “Combustioni-Plastiche”. Permane, dal ciclo precedente, il confronto fra bianco e nero: ma al drammatico conflitto gestuale con la materia delle Combustioni (dove il cellophane è bruciato dalla fiamma) subentra ora una “visione riordinatrice della realtà, che sarà peraltro il tema sovrano dei successivi cellotex e in genere di tutta l’opera finale di Burri. “[…] La composizione appare scandita dal rapporto ascetico del bianco e nero che rileva distintamente, attraverso l’alternarsi di superfici opache e lucide, le tre differenti zone pittoriche” (Serafini p. 126). A ben guardare però, sia la sezione d’arco nero che il rettangolo bianco non sono così rigidamente lineari: intervengono delle irregolarità (nel bordo fra il nero e il bianco, come nella parte superiore del rettangolo, non perfettamente parallela alla base): anche in questa serie, dunque, Burri è ben lontano dal freddo astrattismo ma interviene, seppure in maniera quasi impercettibile, a animare organicamente la sua opera e a renderla specchio pulsante della realtà che la circonda, come era stato già nei cicli precedenti e come sarà ancora nei Cellotex e nei Cretti con i quali l’artista chiuderà la sua carriera.

L’opera è stata donata dall’artista alle Gallerie degli Uffizi nel 1994.

Testo di
Francesca Sborgi
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