Compianto su Cristo morto
Giotto di maestro Stefano, detto Giottino (documentato a Firenze nel 1368 e a Roma nel 1369)
Il corpo esangue di Gesù Cristo deposto dalla croce è amorevolmente abbracciato dalla madre Maria, mentre due pie donne baciano le mani del Salvatore. Partecipano all’evento l’apostolo Giovanni, stante al centro della composizione, e Maria Maddalena, che piange sconsolata seduta in basso a destra, riconoscibile per i lunghi capelli biondi e il colore rosso delle vesti. I due personaggi a destra sono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, che, secondo i Vangeli, aiutarono nella deposizione e nella sepoltura di Cristo. Il primo regge una pisside con il balsamo per ungere il corpo di Cristo e i chiodi con i quali Gesù era stato crocifisso, retti, in segno di deferenza, con la mano velata dal manto. Sullo sfondo della composizione svetta la croce, sormontata dal cartiglio con le lettere YNRI, abbreviazione di “Jesus Nazarenus Rex Iudeorum”.
A sinistra, inginocchiati, contemplano la scena due personaggi femminili in preghiera, che l’assenza dell’aureola di santità e le dimensioni inferiori rispetto alle altre figure denotano come probabili committenti del dipinto Le due donne, una ammantata di nero (forse una vedova) ed una elegante fanciulla bionda, sono presentate e protette da un santo monaco vestito di bianco e da un vescovo, forse il francese Remigio, patrono della chiesa da cui proviene l’opera. L’assenza di iscrizioni e attributi specifici rende difficoltosa l’identificazione dei due santi, come pure della santa inginocchiata a sinistra, il cui volto è contratto dal dolore per la morte del Salvatore.
La tavola, acquistata per la Galleria degli Uffizi nel 1842, apparteneva alla chiesa parrocchiale di San Remigio, edificio medievale sorto, secondo la tradizione, per dare assistenza ai pellegrini che dalla Francia si recavano a Roma. Documenti del XVI secolo ricordano il dipinto collocato nel tramezzo, la struttura architettonica che divideva il coro, destinato al clero, dalla parte della chiesa che accoglieva i laici.
L’opera è uno dei rarissimi capolavori sopravvissuti del pittore Giottino, una delle massime personalità della pittura toscana del terzo quarto del XIV secolo e sapiente interprete di quel “dipingere dolcissimo e unito” tanto apprezzato da Giorgio Vasari nelle sue Vite. Senza rinunciare alla solennità e alla salda volumetria del linguaggio di Giotto, rinnovatore della pittura italiana, Giottino pone attenzione alla resa tattile della materia prediligendo delicati passaggi chiaroscurali e colori di intonazione calda e luminosa, con effetti di notevole naturalismo. Il fondo dorato del dipinto annulla ogni riferimento al paesaggio o all’ambientazione, ma il senso di profondità è suggerito dalla disposizione su più piani delle figure, che si esprimono attraverso una gestualità misurata e le espressioni contrite dei volti.
L. Marcucci, Gallerie Nazionali di Firenze. I dipinti toscani del XIV secolo, Roma 1965, pp. 88-90 scheda n. 50; L. Bellosi, Giottino e la pittura di filiazione giottesca intorno alla metà del Trecento, in “Prospettiva”, CI, 2001, pp. 19-40; F. Baldini, scheda n. 38 in L’eredità di Giotto. Arte a Firenze 1330-1375, a cura di A. Tartuferi, Firenze 2008, p.172; M. Bandini, Vestigia dell’antico tramezzo di San Remigio, “Mitteilungen des Kunsthistorisches Institutes in Florenz”, 54, n.2, 2010-2012, pp. 211-230