Cristo portacroce
Francesco de Rossi, detto Salviati ( Firenze 1509ca. – Roma 1563 )
Le piccole dimensioni del dipinto indicano che la sua destinazione doveva essere una camera o una cappella privata. Questo soggetto trova particolare fortuna alla metà del Cinquecento, per via delle accese discussioni sul tema della salvezza e della condotta del buon cristiano portate avanti dai circoli degli spirituali raccolti intorno alla predicazione di Juan de Valdés e Bernardino Tommassini, detto Ochino.
La scena in primissimo piano è concentrata sulla testa di Cristo mentre incede verso il monte Calvario, portando la croce sulla spalla. L’espressione severa e composta del volto solcato dalle lacrime, lo sguardo abbassato ad esprimere tutta l’umiliazione inflitta dai carnefici e il dolore umano per il suo destino di morte, sono tradotti in una pittura raffinatissima e attenta alla resa analitica dei dettagli, dalla corona di spine che punge la fronte stillando rivoli sottili di sangue, alla capigliatura spessa, intessuta filo per filo, al pari della barba bionda composta in riccioli ordinati. La luminosità compatta e smaltata della superficie, la gamma cromatica chiara, l’indagine sulle trasparenze della pelle diafana, a contrasto con l’accensione della veste rossa, richiamano le finezze della coeva pittura bronzinesca. Salviati eseguì la tavola al tempo del suo breve soggiorno fiorentino, tra il 1543 e il 1548. A questo momento appartengono gli affreschi con le Storie di Furio Camillo nella Sala dell’Udienza in Palazzo Vecchio, i disegni per le Storie di Giuseppe Ebreo, tessute ad arazzo dal fiammingo Nicolas Carcher, la grande Deposizione per l’altare Dini in Santa Croce e diversi ritratti che attestano la sua versatilità nel misurarsi con i diversi generi.