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Deposizione (Pala di Luco)

Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo, Firenze 1486-1530)

Data
1523- 1524
Collocazione
Sala di Apollo
Tecnica
Olio su tavola
Dimensioni
238,5 x 198,5 cm
Inventario
Palatina 1912 n. 58

La Deposizione è una delle opere più rappresentative della Galleria Palatina. La sua commissione risale ai primi anni Venti del Cinquecento, quando Andrea si era ritirato in Mugello per scampare alla peste che flagellava Firenze e qui fu ingaggiato da Caterina di Tedaldo della Casa, badessa del potente monastero camaldolese di Luco, nei pressi di Borgo San Lorenzo. La pala divenne oggetto d’interesse da parte dei Medici fin dalla prima metà del Seicento, perché il cardinale Carlo, fratello del Granduca Cosimo II, aveva tentato invano di convincere le monache a cederlo. Ci riuscì invece un secolo dopo il granduca Pietro Leopoldo di Lorena che l’acquisì per destinarla alla Tribuna degli Uffizi, facendo collocare al suo posto una copia eseguita da Sante Pacini. Nel 1795 la tavola fu spostata in Palatina, scambiando il posto con la Madonna delle Arpie, dello stesso autore (Inv. 1890 n.1577).

Davanti al sepolcro di roccia scabra, profilata contro il cielo chiarissimo, si raccolgono sette figure. Maria, al centro, sostiene delicatamente il corpo esanime di suo figlio appena deposto dalla croce. Alla sua destra in primo piano Maddalena, congiunge le mani portandole accanto al volto e alle sue spalle santa Caterina d’Alessandria (omonima della committente) serra le braccia al petto: entrambe attonite, come paralizzate da uno strazio non ancora sciolto in pianto. Sul lato opposto San Giuseppe di Arimatea, nel mentre sostiene Gesù, è attratto dal gesto di San Paolo che sta per posare la mano sulla spalla di Maria, in segno di conforto. San Pietro, (titolare con Paolo della chiesa di Luco) si stringe invece nel suo manto giallo e osserva in silenzio il corpo livido dell’uomo e maestro da lui rinnegato per vigliaccheria solo qualche giorno prima. In primissimo piano campeggia il calice con la patena su cui s’innalza l’ostia, simbolo della celebrazione eucaristica derivata dal sacrificio di Gesù: sul piccolo disco bianco si distingue infatti la sagoma del Crocifisso, il corpo di Cristo che il fedele riceve al momento della comunione.

I protagonisti sono disposti su due diagonali che s’incrociano in corrispondenza della figura di Maria, determinando il perfetto bilanciamento dello spazio. Questo ricercatissimo equilibrio è arricchito sia dalla scelta dei colori intensi, abbinati o giustapposti, sia dalle risonanze continue dei movimenti di ciascun personaggio, così che lo sguardo dello spettatore scorre pianamente da una parte all’altra senza incontrare interruzioni. Sebbene il modello di questa Pietà dipenda in parte da quella di Fra Bartolomeo per le monache di San Gallo (anch’essa oggi in Galleria Palatina, Inv. Palatina 1912 n.64) Andrea perviene a un risultato diverso quanto a impostazione spaziale e profondità emotiva. Nel dipinto non ci sono espressioni esasperate o plateali: esso è, piuttosto, la rappresentazione di un dolore interiore talmente grande da rimanere rappreso nell’anima, reso percettibile attraverso gesti lenti, pause e leggerissime variazioni nella gamma sentimentale dei volti. Nell’evidenza scultorea dei panneggi e del nudo c’è tutto lo studio che Andrea aveva condotto su Michelangelo, e il riflesso delle più belle opere dell’amico Jacopo Sansovino, dei cui modelletti si era servito più di una volta. Proprio per l’equilibrio supremo e la chiarezza della sua pittura, che Vasari definì “senza errori”, Andrea fu guardato come esempio di riferimento dalle generazioni fiorentine successive, fino alla metà del Seicento.

Bibliografia

A.Cecchi in I dipinti della Galleria Palatina e degli Appartamenti Reali, Le scuole dell’Italia Centrale 1450- 1530 , a cura di S.Padovani, Firenze 2014 pp. 28-33 (con bibliografia precedente).

Testo di
Anna Bisceglia
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