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Madonna con Bambino in trono con i Santi Dionigi l'Areopagita, Domenico, Clemente, Tommaso d'Aquino e angeli

Domenico e Davide Ghirlandaio (Firenze 2 giugno 1448 – Firenze 11 gennaio 1494)

Data
1480-1483 circa
Collezione
Pittura
Collocazione
A13. Hugo van der Goes
Tecnica
168x140 cm
Dimensioni
Tempera su tavola
Inventario
1890 n.8388

La scena si svolge in uno spazio delimitato da una parete a specchi marmorei di eleganza classica, in cui si inserisce il trono della Vergine con il Bambino in braccio, in atto di benedire. Ai lati, due angeli fanciulli reggono vasi con gigli bianchi, i fiori legati a Maria. L’opera segue la tipica iconografia detta “sacra conversazione”, con la raffigurazione della Madonna in trono attorniata da un gruppo di santi. In questo caso essi sono identificabili, anche grazie ai nomi iscritti a lettere d’oro sul parapetto, dei due più prossimi alla Vergine, molto probabilmente eseguiti dal fratello del pittore, Davide: si tratta di Dionigi l'Areopagita, il santo convertito al cristianesimo dalla predicazione di San Paolo, e Tommaso d'Aquino, riconoscibile per il sole raggiato sul petto, suo attributo e simbolo di sapienza sacra. Teologo, filosofo e accademico, esponente della corrente filosofica denominata Scolastica, san Tommaso mostra la Summa Theologiae, il suo scritto più famoso. Inginocchiato in primo piano, quasi di spalle e con lo sguardo volto verso la Madonna e il Bambino, è raffigurato Domenico, il fondatore dell'ordine dei predicatori, di cui indossa il tipico mantello nero: la sua presenza nel dipinto è ulteriore prova della sua originaria collocazione nella chiesa domenicana di San Marco a Firenze.  A destra, sempre inginocchiato, è Papa Clemente I che, come si addice al suo ruolo, indossa un elegantissimo piviale, di seta damascata rossa con un ricamo sullo scudo posteriore raffigurante “Mosé con le tavole della legge”. Anche san Clemente è di spalle come San Domenico, tuttavia si volge con sguardo penetrante verso lo spettatore e indica il Salvatore con la sinistra, quasi volesse invitarci a partecipare alla sacra conversazione, facendosi mediatore tra il mondo reale e quello divino. Dotato di una tecnica eccellente, di una tavolozza vivace e di una grande chiarezza narrativa, Ghirlandaio nelle sue opere sa unire la tradizione artistica fiorentina, fondata sul disegno e sullo studio della prospettiva, alle novità nel colore e nella descrizione analitica del dato naturale introdotte dalla pittura fiamminga, molto in voga a Firenze negli ultimi decenni del Quattrocento. Così si spiega, anche in questa pala, la sottigliezza e precisione con cui sono descritti i tessuti preziosi, la luminosità delle gemme e degli ori, il tappeto anatolico su cui poggiano i piedi della Vergine, i lustri vasi d’argento poggiati sulla balaustra e infine gli elementi naturali, le piante: le rose, fiori di Maria; l'arancio e i gigli, simboli della purezza verginale; infine il melograno, in questo caso allegoria della Chiesa, che accoglie e protegge i fedeli come chicchi nella buccia del frutto.

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