Fiori di campo
Francesco Gioli (San Frediano a Settimo di Cascina, Pisa 1846 – Firenze 1922)
L’opera fu presentata nel 1896 alla mostra fiorentina intitolata Festa dell’arte e dei fiori. Il modo in cui Gioli affrontò il tema, coniugando i sentimenti di materna prosperità con il fertile risveglio della natura in primavera, fu colto ed apprezzato dalla maggior parte della critica dell’epoca. I restanti commenti ribaltarono in negativo queste peculiarità, definendo quest’opera “monotona e troppo moderata”. Gioli scelse per questo soggetto un formato inconsueto e utilizzò la linea diagonale non solo per esaltare il movimento ascendente dei personaggi, ma anche per portare lo sguardo dell’osservatore al dinamico gioco tra madre e figli. Seguendo la traccia del viottolo, il gruppo familiare si chiude con una quarta figura, una bambina poco distante, impegnata a raccogliere qualche ciuffo di rigogliosa ginestra. Gioli racconta con dovizia di particolari questi frammenti di vita quotidiana, studiando i colori degli abiti, bilanciando i toni, rendendo brulicante il contesto in cui si muovono i personaggi. I fiori di ginestra e le margherite, nell’infittirsi della vegetazione, da macchie di colore si trasformano in punti di luce. Al contempo, sul varabile cielo, spiccano le sagome ombrose degli alberi, testimoni silenziosi dell’allegro passaggio della famiglia.
Questo quadro è l’esemplificazione del periodo maturo di Gioli, quando la sua adesione al movimento macchiaiolo è completa. Oltre alla frequentazione del gruppo di artisti – sia a Firenze che a Castiglioncello, presso la dimora di Diego martelli (1839-1896) – per Gioli fu fondamentale il soggiorno parigino del 1875 con Giovanni Fattori (1825-1908), Egisto Ferroni (1835-1912) e Niccolò Cannicci (1846.1906).
L’esordio di Gioli, tuttavia, fu molto diverso. La sua formazione fu accademica e le sue prime opere furono incentrate su temi cari al romanticismo storico. La sua abilità artistica fu subito apprezzata anche se lontana dallo spirito vivace, esemplificato in questo quadro. Tuttavia è proprio grazie a quella fruttuosa istruzione che la sua svolta macchiaiola ebbe un’impronta così incisiva. L’artista cambiò genere, affinò la tecnica, si confrontò con i colleghi italiani e stranieri, ma senza mai dimenticare le importanti lezioni apprese dai maestri: Annibale Marianini (1814-1863) all’Accademia di Pisa, Antonio Ciseri (1821-1891) e Enrico Pollastrini (1817-1876) presso quella fiorentina.
Fu molto attivo e partecipò con successo a numerose esposizioni in Italia e a Parigi.
Acquistato da Umberto I nello stesso anno dell’esecuzione, il quadro fu successivamente donato alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, luogo deputato ad ospitare la nascente collezione di opere d’arte contemporanee.