Incoronazione di Maria
Filippo Lippi (Firenze 1406 circa–Spoleto 1469)
Seduto in trono, Dio padre incorona Maria, alla presenza di numerosi angeli e santi. La Vergine, inginocchiata, accoglie umilmente la volontà divina con le mani giunte. Il tema di Maria regina ricorre di frequente nelle pale d’altare destinate a chiese di conventi e monasteri femminili, come nel caso del dipinto di Filippo Lippi, eseguito per l’altare maggiore della chiesa delle monache benedettine di Sant’Ambrogio a Firenze. Gli angeli più vicini al trono sorreggono la lunga stola sacerdotale che Dio padre porta sopra il mantello, mentre gli altri angeli recano bianchi gigli, fiore associato alla purezza di Maria. Fanno da sfondo alla scena fasce concentriche blu e azzurre, probabilmente la raffigurazione dei cieli che, secondo la cosmologia medievale, componevano la sfera celeste. L’orchestrazione spaziale è complessa, scandita dall’articolata struttura del trono lapideo, che si fonde con l’architettura.
Fra i santi, si identifica con sant’Ambrogio il vescovo raffigurato in piedi a sinistra, santo titolare della chiesa a cui l’opera era destinata, al quale corrisponde specularmente a destra Giovanni Battista, patrono di Firenze. In primo piano è raccolta un’intera famiglia di martiri uccisi ai tempi delle persecuzioni cristiane sotto l’impero romano, ovvero sant’Eustachio, con la veste blu e il manto arancio, insieme alla moglie Teopista e ai loro figli Teopisto e Agapio.
Ai piedi del Battista è raffigurato il committente in preghiera, ben individuabile grazie al cartiglio che l’angelo srotola davanti a lui, sul quale è scritto “IS… PERFECIT OPUS” (Costui realizzò l’opera). I documenti attestano che costui era il canonico Francesco di Antonio Maringhi, procuratore del monastero di Sant’Ambrogio. La pala d’altare, dipinta da Filippo Lippi al costo di oltre 400 fiorini d’oro, fu portata a termine entro il 1447 grazie al cospicuo lascito testamentario del committente, morto nel 1441. Sotto la cornice rimane l’iscrizione col nome di “FRATER FILIPPUS”. Pittore ormai celebre, cui era permesso esercitare la professione nonostante il suo stato di frate carmelitano del convento del Carmine a Firenze, Filippo Lippi sembra compiacersi raffigurando probabilmente se stesso a sinistra in secondo piano, nei panni del frate inginocchiato vestito di bianco con i capelli scuri, che volge lo sguardo verso di noi. Per far fronte alla cospicua mole di lavoro, fra’ Filippo si avvaleva di collaboratori, dei quali fra Diamante, Piero di Lorenzo, Bartolomeo di Giovanni Corradini parteciparono all’esecuzione di questa pala d’altare, come attestano i documenti.
L’opera, destinata all’altare maggiore della chiesa di Sant’Ambrogio, presenta nella composizione figure dall’apparenza un po’ tozza e che spuntano dal basso. Sono espedienti ottici appositamente studiati da Filippo Lippi tenendo conto del punto di vista delle monache benedettine del vicino monastero, che contemplavano l’immagine sacra dal coro a loro riservato, situato nella chiesa in posizione sopraelevata. La pala d’altare era dotata di una predella istoriata, della quale rimane oggi uno scomparto raffigurante un miracolo di sant’Ambrogio a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie, inv. 95B). La cornice attuale è moderna.
L’opera di Filippo Lippi, spostata successivamente in sacrestia, venne trafugata dopo il 1755 e pervenne nella raccolta del mercante d’arte Angelo Volpini, dal quale passò nel 1813 alla Galleria dell’Accademia di Firenze. È agli Uffizi dal 1913.
J. Ruda, Fra Filippo Lippi, Londra 1993, cat. n. 37; M. Holmes, Fra Filippo Lippi. The carmelite painter, New Haven, London 1999, pp. 223-231; L. Bortolotti, Lippi, Filippo, in Dizionario biografico degli italiani, 65, Roma 2005, https://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-lippi_%28Dizionario-Biografico%29/