Salomè riceve la testa del Battista
Bernardino Scapi, detto Bernardino Luini
Questo dipinto di Bernardino Luini si inserisce in un ampio catalogo di Salomè con la testa del Battista fiorito all’inizio del Cinquecento in Lombardia nell’ambiente artistico legato a Leonardo da Vinci. La fortunata diffusione di questo tema iconografico si lega probabilmente ad Aimery d’Amboise, gran maestro dell’Ordine degli Ospitalieri e fratello di Georges, committente francese di Andrea Solario, uno dei più accreditati seguaci di Leonardo. Alcune fonti riconducono infatti a questo nobile francese l’introduzione di una nuova reliquia legata a San Giovanni (un frammento osseo tratto dal cranio conservato ad Amiens) che avrebbe contribuito al successo del tema, poi declinato nelle varianti a mezzo busto con tre, quattro personaggi, in quelle più rare a figura intera o nel solo bacile con la testa del Battista secondo il modello medievale dello Johannesschüssel. Luini adotta qui il modello compositivo di punta (orizzontale e a tre voci) che si attiene alla narrazione dell’evangelista Marco (Mc 6, 14-29) proprio per l’inclusione della figura della guardia, assente invece nel passo omologo di Matteo (Mt 14, 1-12). Nelle sue linee portanti il racconto prende comunque avvio da Giovanni il Battista messo in prigione da Erode Antipa per aver pubblicamente condannato la sua relazione con la moglie del fratello, Erodiade. Quest’ultima ha una figlia che sappiamo chiamarsi Salomè grazie alle Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe, ma che nei vangeli viene identificata solo come «figlia di Erodiade» in coerenza con la narrazione che la vuole strumento del martirio in balia della madre. Dopo aver affascinato Erode Antipa con la sua danza, Salomè, chiamata a esprimere qualsiasi desiderio, deroga infatti la scelta ad Erodiade che la istiga a richiedere la testa del Battista. L’unica nota personale che avanza, e sulla quale concordano sia il vangelo di Marco sia quello di Matteo, è che la testa le venga consegnata su un vassoio; particolare da cui discende la tradizionale raffigurazione di una Salomè turbata dalla barbara vista, come nell’interpretazione fornita da Alonso Berruguete in un altro noto quadro degli Uffizi (vedi scheda opera), ma che nel contesto lombardo di inizio Cinquecento diventa soprattutto un pretesto per esaltare la raffinatezza dei manufatti dell’oreficeria locale. Più che ai testi sacri la Salomè del Luini risponde infatti al confronto con il modello leonardesco che qui trova un riferimento puntuale nel foglio con la celeberrima Testa di fanciulla tradizionalmente denominata La Scapigliata (Parma, Galleria Nazionale) dalla quale recupera l’inclinazione della testa, le palpebre abbassate, la bocca appena dischiusa che sembra sussurrare alla serva lì accanto. È tra l’altro proprio con l’attribuzione a Leonardo che il dipinto giunge a Firenze nel 1792 dalle collezioni imperiali di Vienna nell’ambito di uno scambio tra le raccolte della famiglia Asburgo Lorena. Più volte citato da Stendhal nei suoi scritti, viene ricondotto in via definitiva al Luini a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento. Con il tempo la critica, ponendo in ordine l’intricato catalogo delle varianti, ne ha ridimensionato la centralità, fissando infine una datazione avanzata al terzo decennio del XVI secolo.