Gli amici nell'atelier
Guido Peyron (Firenze 1898 - 1960)
Guido Peyron, pittore, pilota d’auto da corsa e persino gastronomo, è un artista originale nel panorama dell’arte toscana della prima metà del Novecento. Questo quadro in particolare ne consacra il talento di ritrattista, capace non solo di cogliere le qualità fisiche o psicologiche del modello, ma anche di incarnare lo spirito di un’epoca. Prendendo spunto da una tradizione di interni d’atelier risalente all’Ottocento, Peyron presenta qui una carrellata di personalità a lui vicine entro una dimensione sospesa nel tempo e nello spazio (nient’altro se non il titolo precisa infatti che ci si trovi nello studio dell’artista). La disposizione apparentemente casuale degli astanti sottende una struttura compositiva complessa basata su un’impaginazione verticale e una tavolozza ridotta ai marroni e ai neri che riattiva memorie seicentesche, in particolare rembrandtiane. Solo il cane dell’artista mantiene una propria autonomia cromatica e dalla sua posizione defilata, rivolge lo sguardo verso lo spettatore, introducendo la scena. I ritratti si dipanano su due file parallele prendendo le mosse da quello in basso al centro di Luigi Dallapiccola colto nell’atto di dirigere il violoncellista Odoardo Zappulli van Oldenbarnevelt. Nella mano sinistra Dallapiccola tiene una sgualcita partitura sulla quale fissa lo sguardo come in uno specchio, in un gioco di immedesimazione tra la sua immagine e le note. Intorno a lui stanno in concentrato ascolto il letterato Arturo Loria (il primo in basso a destra) con alle spalle il conte Walfredo Della Gherardesca; poi, in ultima fila da destra, i pittori Gianni Vagnetti, lo stesso Peyron e il pistoiese Vieri Freccia mentre a chiudere, appoggiato alla parete di fondo, un po’ svagato e avulso dal contesto, Felice Carena, professore di spicco dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ad accomunare il gruppo è la vicinanza a “Solaria”, la rivista fiorentina che persegue l’integrazione tra musica, arte e letteratura, punto di riferimento anche per la fronda toscana di “Novecento”, movimento contraddistinto dall’adozione di temi e formule sommessi ed elegiaci. Peyron mostra tuttavia una maggiore apertura alle novità internazionali (come la pittura espressionista conosciuta dal vivo a Parigi), ma anche nazionali (dal chiarismo lombardo al tonalismo romano), in parallelo alle quali definisce una pittura sensibile più alle vibrazioni dell’animo che alla qualità della forma. Colti e aristocratici, i modi di Peyron si definiscono anche alla luce dell’amicizia con Eugenio Montale che si sviluppa entro le frequentazioni della trattoria dell’Antico Fattore di via Lambertesca. Quando Montale nel 1931 si aggiudica la prima edizione dell’omonimo premio letterario con la poesia Casa dei Doganieri, tra i sei incisori chiamati da Vallecchi a illustrarne la pubblicazione figurano Peyron, Carena e Vagnetti, a riaffermare la consonanza di pensiero e di ideali che aveva presieduto alla creazione del dipinto.