Ritratto di Tommaso Inghirami detto “Fedra”
Raffaello Sanzio (Urbino 1483 - Roma 1520)
Il personaggio, abbigliato con una veste rossa stretta in vita da una fusciacca bianca, e con il capo coperto da una berretta egualmente rossa, emerge in primo piano contro un fondale oggi molto scurito ma che in origine consisteva in un tendaggio verde, secondo lo stesso brillante contrasto cromatico che caratterizza anche il Ritratto di Giulio II e quello del cardinal Bibbiena. E’ Tommaso Inghirami, letterato nato a Volterra nel 1470 e protetto di Lorenzo il Magnifico, formatosi a Roma presso lo storico e umanista Pomponio Leto al quale successe nella carica universitaria. Il soprannome di Fedra gli derivò dall’interpretazione nel ruolo di protagonista dell’omonima tragedia di Seneca, nel corso della quale si distinse per l’abilità nel verseggiare in latino. Tra i molti incarichi ufficiali ricevuti dal papa, fu nominato prefetto della Biblioteca Vaticana nel 1510 ed è a questo momento che risale l’esecuzione del ritratto di Raffaello. Il pittore ha fermato sulla tavola il suo atteggiamento assorto e il movimento della mano che sta per iniziare a scrivere, consultando nel contempo il volume aperto sul leggio. Pur immergendo il personaggio nell’atmosfera eletta e ufficiale del suo compito, Raffaello indaga a fondo nel suo aspetto più umano e vero, e non rinuncia a descrivere con sottili passaggi di colore e di luce ogni piega del volto, la barba da poco rasata, la pelle cascante del mento sul bordo della veste, le mani grassocce appoggiate sulla carta, e persino il celebre strabismo.
Di questo ritratto esiste una seconda versione, anch’essa considerata autografa, conservata presso l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston.