Tre Grazie
Anton Grassi e Manifattura Imperiale di porcellane, Vienna
Gli imponenti centritavola raffiguranti scene con soggetti mitologici evocano i sontuosi bronzetti che, dal Seicento fino all’inizio del Settecento, hanno decorato le tavole narrando ad esempio episodi religiosi o traendo ispirazione dalle Metamorfosi di Ovidio. Famosa è la cronaca del matrimonio di Maria de’ Medici con il re Enrico IV di Francia avvenuto nel 1600, dove Filippo Buonarroti il Giovane descrive la decorazione del banchetto con le Fatiche di Ercole realizzate dal Giambologna in argento.
Durante il periodo della direzione di Conrad von Sorgenthal (1784-1805), la Manifattura Imperiale di Vienna si orientò verso la produzione di gruppi scultorei, in coincidenza con la nomina nel 1784 di Anton Grassi a capo modellatore. A lui è da ricondurre l’invenzione di queste composizioni destinate all’apparecchiatura da dessert, con al centro gruppi attorniati da minute figure rappresentanti soggetti di genere, in taluni casi alludenti alle Stagioni, come nel servizio da dessert acquistato dal granduca Pietro Leopoldo a cui è stato abbinato sia questo gruppo con le Tre Grazie, che altre sculture anch’esse conservate insieme alle stoviglierie presso il Museo delle porcellane (inv. A.c.e. 1911 nn. 710-726, 143-144, 152, 160, 151, 166).
I gruppi scultorei sono in linea con il gusto neoclassico, anche nella scelta della lavorazione a biscuit della porcellana (una monocottura a 1400°C), che visivamente richiama la purezza del marmo. Anton Grassi, tra il 1792 e il 1794, fu inviato sia a Firenze, per copiare opere conservate a Pitti e agli Uffizi, sia a Roma e a Napoli, dove entrò in contatto con l’arte antica, la cui essenza seppe restituire nelle sue composizioni, unitamente a un’influenza francese. Di fatto spetta alla Manifattura di Sèvres il primato nell’introduzione del biscuit impiegato da subito nella realizzazione di sculture.
Il gruppo con le Tre Grazie, ovvero Aglaia, Eufrosine e Talia, ancelle di Venere e figlie di Giove, trae ispirazione da un marmo antico conservato all’epoca a Villa Borghese a Roma, reso noto attraverso l’incisione di Giovan Battista Piranesi contenuta nel repertorio a stampa Vasi, Candelabri, Cippi, Sarcofagi del 1778. Rispetto ad altre sculture destinate all’apparecchiatura della tavola di Pietro Leopoldo (inv. A.c.e 1911 n. 217, 639), questo ha le caratteristiche di un centrotavola dove il “cestino” decorato con protomi caprine potrebbe assolvere alla funzione di contenitore per composizioni di frutta o floreali.