Vaso con coperchio in forma di drago
Bottega dei Saracchi
Il vaso poggia su un piede circolare cinto da una fascia in oro inciso e smaltato a racemi, impreziosita da tre perle e da tre rubini. Il fusto, contraddistinto da due nodi di raccordo in oro decorati da motivi floreali in smalti opachi e traslucidi, sostiene una coppa a conchiglia sulla quale poggia un elaborato coperchio a forma di drago con testa, ali e coda lavorate a tutto tondo e fissate al corpo mediante legature in oro. Sul dorso del mostro è inciso in rilievo un altro animale fantastico, simile a un delfino, che funge da presa per il coperchio.
L’opera è ricordata per la prima volta nell’inventario della Tribuna degli Uffizi risalente al 1589, dove è descritta come “Un vaso di diaspro orientale con suo coperchio che tutto fa drago, con collo, alia e coda del simile con un dalfino nel mezzo del coperchio del simile, con suo piede a balaustro di simile, guarnito tutto d’oro smaltato con n. otto rubini e sei perle sul coperchio e n. otto rubini e quattro perle sul piede e n. 4 altri rubini sul gambo”. Come gli altri preziosi oggetti in pietre dure della raccolta medicea, anche questo esemplare si trovava custodito in uno dei due armadi segreti che si aprivano in corrispondenza delle pareti laterali della Tribuna, vero e proprio scrigno dei tesori d’arte dei Medici. Nel sontuoso ambiente il pezzo rimase fino al 1780-1782, quando fu trasferito presso il nuovo Gabinetto delle Gemme, l’attuale Sala delle Miniature, allestito nell’ultimo stanzino verso l’Arno del primo corridoio della Galleria.
Il raffinato lavoro è attribuito alla bottega dei milanesi Saracchi. Esperti intagliatori di cristalli e orafi, i fratelli Saracchi (Giovanni Ambrogio, Simone, Stefano, Michele e Raffaello) furono impegnati nella creazione di elaborati vasi dalle stravaganti forme di uccelli, pesci e animali fantastici molto apprezzati dalle raffinate corti italiane dei Gonzaga, dei Medici e dei Savoia. Oltre al pezzo qui considerato, presso il Tesoro dei Granduchi si conservano altri esemplari riconducibili alla stessa bottega, molti dei quali realizzati probabilmente in occasione del matrimonio di Ferdinando I con Cristina di Lorena, celebrato nel 1589.