Riviste. La cultura in Italia nel primo '900
Lo spirito di inizio Novecento in Italia, attraverso le riviste e l'arte dell'epoca
Menti profonde, penne affilate, personalità complesse, talvolta incendiarie, tutte diversissime tra loro ma accomunate da una caratteristica fondamentale: aver (ri)animato e reso fecondo, con le riviste da loro stessi fondate e dirette, il dibattito intellettuale e politico del Paese nei decenni iniziali dello scorso secolo. Ora, per la prima volta, un museo descrive e racconta compiutamente, attraverso le pagine dei suoi stessi protagonisti, questo periodo inquieto e fertile, fervido di idee, visioni, provocazioni la cui genialità e portata avanguardistica ha resistito all’usura del tempo e continua a generare frutti ancora oggi. Si tratta della mostra “Riviste. La cultura in Italia nel primo ‘900”, accolta dal 15 giugno al 7 gennaio 2024 in una serie di nuove sale al piano terra della Galleria degli Uffizi.
Organizzata dagli Uffizi insieme alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (con la curatela di Giovanna Lambroni, Simona Mammana, Chiara Toti), offre al visitatore un panorama completo delle più influenti pubblicazioni culturali apparse nella penisola durante il primo quarto del Secolo Breve: dai suoi inizi, con le invettive ribelli del «Leonardo», firmato da Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, all’evoluzione pluralista de «La Voce», sempre di Prezzolini, all’atto di amore per la libertà assoluta dell’Arte espresso da «Lacerba» di Ardengo Soffici, per passare, nel giro di poco più di una decade, dagli slanci futuristici della «Poesia» di Marinetti ad una ritrovata attenzione per il sociale con Piero Gobetti («La rivoluzione liberale») e Antonio Gramsci («L’Ordine nuovo»). Fino a diramarsi, appena oltre la soglia degli anni Venti, nella poetica da “Strapaese” di Leo Longanesi e Mino Maccari («L’Italiano», «Il Selvaggio») e nell’ internazionalismo spinto di Curzio Malaparte e Massimo Bontempelli («900»). Il tutto sempre, pur nella varietà delle testate e dei loro animatori, senza mai rinunciare allo sguardo critico, allo spirito indipendente, a quella rivendicata libertà di giudizio che, in ogni epoca, è caratteristica irrinunciabile dei grandi intellettuali.
Oltre 250 i pezzi che compongono l’itinerario della mostra: non solo le edizioni originali delle riviste, ma anche libri, manifesti, fogli, copertine, caricature ed una accurata selezione di dipinti, disegni e sculture del tempo.
La mostra
Con il 1903 inizia la grande stagione fiorentina delle riviste, aperta dal «Leonardo» (1903-1907) di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, che vede riuniti giovani intellettuali accomunati dall’idealismo antipositivista e mossi dal desiderio di uno scardinamento della cultura del tempo. Sempre a Firenze nasce «Il Regno» (1903-1906), fondato da Enrico Corradini, primo importante organo di stampa del nazionalismo italiano. Per ultima si aggiunge «Hermes» (1904-1906), rivista letteraria di ispirazione dannunziana. Nello stesso fecondo 1903 esce a Napoli il primo fascicolo de «La Critica» (1903-1944) di Benedetto Croce, col l’intento di svolgere un’attività critica garantita dall’autorevole presenza di Croce e Giovanni Gentile.
«La Voce»
Superata la fase inquieta del «Leonardo», Giuseppe Prezzolini fonda a Firenze «La Voce» (1908-1916), rivista destinata a rivestire un ruolo centrale nel dibattito culturale e politico italiano. Grazie all’apporto di un gran numero di collaboratori di diversa estrazione, si afferma come fondamentale organo di circolazione delle idee, in un contesto di garantito pluralismo e di respiro internazionale. Attraverso le sue colonne, dove sfilano le firme di Giovanni Amendola, Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile e della maggior parte degli intellettuali del tempo, si delinea la nuova Italia e viene svolta anche una fondamentale opera di diffusione dell’arte francese, dall’impressionismo al cubismo. Da tale esperienza scaturiranno in seguito pubblicazioni illustri quali «L’Unità» e «Lacerba». Dal 1915 al 1916 «La Voce» si sdoppia in due riviste a carattere letterario e politico, dirette rispettivamente da Giuseppe De Robertis e Antonio De Viti De Marco.
«Lacerba»
Nel 1913 Giovanni Papini e Ardengo Soffici, con la collaborazione di Aldo Palazzeschi e Italo Tavolato, fondano «Lacerba» (1913-1915). Del «Leonardo» vengono recuperati gli accenti eroici e i toni sprezzanti, cui si aggiunge il gusto toscano per lo sberleffo sarcastico. Protagonista della stagione fiorentina del futurismo e delle sue memorabili serate, il gruppo di «Lacerba» organizza tra il 1913 e il 1914 le esposizioni futuriste che portano a Firenze le opere di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini. La rivista propone contributi critici sul cubismo, i discorsi contro il passatismo di Papini, gli scritti carichi di umorismo di Palazzeschi, ma anche i versi di Giuseppe Ungaretti e Dino Campana, oltre a manifesti programmatici e tavole parolibere. Dopo una schierata campagna interventista, cesserà le pubblicazioni in coincidenza con l’entrata in guerra dell’Italia.
Il futurismo: «Poesia» e « L'Italia Futurista»
«Poesia» (1905-1909) è fondata a Milano nel 1905 da Filippo Tommaso Marinetti, Sem Benelli e Vitaliano Ponti. Oltre a promuovere le opere di Giovanni Pascoli, Giosuè Carducci e Gabriele d’Annunzio accanto a quelle di Gustave Kahn, John Keats e William Butler Yeats, pubblica nel 1909 il Manifesto del Futurismo, divenendo organo del movimento. A Firenze nasce invece «L’Italia Futurista» (1916-1918), fondata e diretta da Emilio Settimelli e Bruno Corra in seguito anche con Arnaldo Ginna. Ampio spazio è dedicato agli scritti di Marinetti che, insieme a Balla, partecipa con il gruppo fiorentino anche alla realizzazione del film Vita Futurista.
Il ritorno all'ordine: «Valori Plastici» e «La Ronda»
La drammatica esperienza della prima guerra mondiale mette in evidenza un rinnovato bisogno di certezza, di “ritorno all’ordine”. È in questo clima che nascono a Roma «Valori plastici» (1918-1921) e «La Ronda» (1919-1923). «Valori plastici» si caratterizza per un forte legame con la pittura metafisica, promuovendo la diffusione delle teorie estetiche di Carlo Carrà, Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, orientate verso il ritorno al classicismo pittorico e all’esaltazione della cultura figurativa italiana del Trecento e del Quattrocento. Allo stesso modo «La Ronda», richiama l’idea di un “rientro in riga” tra le fila del mondo letterario: in polemica con le avanguardie letterarie, auspica il ritorno a un classicismo basato sui padri letterari dell’Ottocento italiano, Manzoni e Leopardi.
Piero Gobetti e Antonio Gramsci: «Energie Nove», «Ordine Nuovo», «Rivoluzione Liberale», «Il Baretti»
Nella Torino dell’immediato dopoguerra emerge la figura di Piero Gobetti che, a soli diciassette anni, fonda «Energie Nove» (1918-1920). L’attenzione per le questioni politiche e sociali lo avvicina a Antonio Gramsci, fondatore con Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti de «L’Ordine Nuovo» (1919-1922), organo del neonato movimento dei consigli di fabbrica. Con «Rivoluzione Liberale» (1922-1925) Gobetti riprende il percorso politico intrapreso da «Energie Nove», indagando le cause storiche delle innumerevoli contraddizioni italiane. A seguito del delitto Matteotti, le limitazioni alla libertà di stampa rendono impossibile a Gobetti continuare la pubblicazione dei suoi scritti politici: da qui nasce appunto l’ultima delle sue riviste, «Il Baretti», il cui carattere puramente letterario consente di portare avanti l’opposizione al fascismo sul piano culturale.
Le riviste di Strapaese: «Il Selvaggio» e «L’Italiano»
Con l’ascesa del fascismo si afferma in Italia una tendenza culturale opposta all’esterofilia e al cosmopolitismo: è lo Strapaese e sostiene l’idea di una cultura autarchica, di un’arte di ispirazione paesana che serva a orientare l’azione politica e restituire al fascismo imborghesito la sua vera natura. Roccaforti di questa tendenza sono le riviste «Il Selvaggio» (1924-1943) e «L’Italiano» (1926-1942). Nascono lontane dalla capitale: la prima, a Colle Val d’Elsa, trasferendosi poi a Firenze sotto la guida di Mino Maccari; la seconda, nel cuore di Bologna, dove è fondata e diretta da Leo Longanesi, il quale negli anni Trenta si ritroverà a guidarle entrambe. Tutti e due abbandonano presto la loro originaria impostazione politica per lasciare spazio a temi prettamente artistici e letterari, pur ribadendo il diritto di poter ridere di chiunque, potenti inclusi.
«900» e «Solaria»
Negli stessi anni in cui le testate di Strapaese si schierano in favore di una chiusura autarchica, nascono, sul versante opposto, due riviste che predicano l’apertura alle nuove correnti di stampo europeo: «900» (1926-1929) e «Solaria» (1926-1934). «900» nasce dalla volontà dei suoi fondatori, Massimo Bontempelli e Curzio Malaparte, di dar vita a una realtà editoriale internazionale (emblematica la scelta di pubblicare in francese). «Solaria» di Alberto Carocci condivide la missione europeista, ma al suo interno si dividono da una parte i “rondisti”, che aspirano a un’arte lontana dal coinvolgimento politico e dall’altra i “solariani”, che vedono nella cultura uno strumento di analisi e denuncia. Lo spirito critico, indipendente e cosmopolita di entrambe le riviste mal si adatta alla crescente intransigenza del regime: «900», a seguito dell’imposizione dell’uso dell’italiano, chiude i battenti dopo pochi anni; «Solaria», nonostante innumerevoli ingerenze e censure, sopravvivrà fino alla metà degli anni Trenta.