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Approfondimenti | 31/07/2018

Il Granduca dimenticato. La teoria dei busti mediceo-lorenesi e dei loro elogia nell'antiricetto della Galleria delle Statue e delle Pitture

Il Granduca dimenticato. La teoria dei busti mediceo-lorenesi e dei loro elogia nell'antiricetto della Galleria delle Statue e delle Pitture

L'articolo ricostruisce il senso e le forme della teoria dei busti mediceo-lorenesi esposti nell'antiricetto della Galleria delle Statue e delle Pitture a partire dagli anni ottanta del Settecento, accompagnati ciascuno da un testo encomiastico (denominato con il termine latino elogium) relativo al contributo offerto allo sviluppo del museo e delle sue collezioni. Tale assetto nacque per volere di Pietro Leopoldo di Lorena per onorare l'ormai estinta casata medicea in un periodo in cui anche gli studi storiografici si volgevano a stilare il bilancio di un momento di storia fiorentina ormai definitivamente concluso. Nel tempo il numero di effigi coinvolte e l'ordine stesso dei ritratti hanno subìto dei cambiamenti, venendo infine a perdere l'originario significato di “introduzione storica” alla Galleria: emblematica è al riguardo, nei primi anni del Novecento, l'eliminazione del ritratto e dell'encomio di Cosimo III, una volta accertato che il busto già utilizzato non raffigura realmente questo personaggio. La constatazione dell'assenza di questo “Granduca dimenticato” dall'insieme di ritratti tuttora esposti in loco ha rappresentato il punto di partenza di questa indagine, che presenta in appendice per la prima volta una trascrizione commentata ed una traduzione degli elogi posti a corredo di ciascun ritratto.

Il visitatore ansioso di entrare in Galleria, mettendosi in fila sotto gli occhi del Pietro Leopoldo di Francesco Carradori in attesa di staccare il biglietto, il più delle volte finisce per ignorare o per osservare in modo distratto e frettoloso proprio le opere che, collocate nel cosiddetto “antiricetto”, lo accolgono in cima allo scalone, ove sono posti i busti dei grandi personaggi cui si devono le ricchezze d’arte che hanno reso nei secoli gli Uffizi un museo straordinario. I ritratti sono impostati su sgabelloni di legno, ognuno dei quali reca un clipeo su cui, in lettere dorate, si legge un breve elogio in latino, che ricorda solitamente quanto in concreto il singolo personaggio abbia compiuto per la Galleria, con riferimenti all’acquisizione di opere, alla realizzazione di ambienti ed alla promozione di opere divulgative del patrimonio museale: l’impressione generale è di raccogliere parti di quella storia “compendiosa”[1] cui il Lanzi mirava stendendo le iscrizioni e cui fa riferimento nella sua guida alla Galleria, senza riportare tuttavia il testo dei singoli elogia, rimandando al di poco precedente Saggio Istorico del Pelli – edito nel 1779 –  per “più compiute notizie” (Fig. 1).

Per avere una prima edizione a stampa degli elogia lanziani bisogna aspettare l’anno successivo, il 1783, quando essi appaiono nella Description de la Galerie Royale de Florence di Francesco Zacchiroli, che li riporta senza alcuna traduzione o commento[2]. Nel 1807 Lanzi stesso torna a pubblicare gli elogia nella raccolta dei propri testi latini, per rimediare ai piccoli errori che a detta sua erano presenti “in più descrizioni della Galleria” –  verosimilmente le diverse edizioni dell'opera dello Zacchiroli[3]–, accompagnando talvolta le trascrizioni con sintetiche note esplicative[4].

Oggi nell’antiricetto agli elogia lanziani si aggiungono gli encomi latini che accompagnano le effigi di Lorenzo il Magnifico, di Ferdinando III Lorena e di suo figlio Leopoldo II, l'ultimo Granduca. Se è lecito che, con il passare del tempo e l'insediamento di una nuova dinastia regnante, l’allestimento dei busti descritto dallo Zacchiroli possa aver conosciuto delle aggiunte, un elemento può tuttavia innescare una serie di interrogativi sul senso e sulle forme di questa raccolta, ovvero l’assenza dalla teoria di busti medicei del ritratto di Cosimo III, assenza tanto più curiosa se si considera che Zacchiroli riporta anche l’elogium dedicato da Lanzi a questo Granduca, detentore del periodo di regno più lungo della dinastia – cinquantatré anni, dal 1670 al 1723 – e promotore di un grande numero di opere per la Galleria.

Scopo del presente studio è dunque ripercorrere la storia della serie dei ritratti mediceo-lorenesi nell’antiricetto e spiegare le complesse variazioni che nel tempo si sono succedute, offrendo per la prima volta una versione tradotta e postillata degli elogia, presentata in appendice.

 

Il nuovo ingresso

Il vestibolo primo, o antiricetto, prende forma durante i lavori di ristrutturazione commissionati da Pietro Leopoldo di Lorena: una relazione presentata al Granduca il 19 aprile 1780 – stesa da Angelo Tavanti, Giuseppe Piombanti, Giuseppe Bencivenni Pelli e Luigi Lanzi – fornisce una prima idea complessiva del piano[5]. L'idea di una distinzione tra un vestibolo primo ed un vestibolo secondo prende corpo in un secondo momento: il progetto iniziale prevede di realizzare un vestibolo quadrato “di quasi venti braccia per ogni lato” che, posto al sommo della nuova scala, immetta direttamente nel primo corridoio. Quanto alla decorazione di questo ambiente, si pensa di ricorrere a sculture antiche: “potrà essere ornato di statue entro nicchie, di bassi rilievi antichi, di busti di deità, di urne di buon disegno e di buona scultura. Nel mezzo vi avrà luogo il Cavallo, che finora è stato unito al gruppo di Niobe, ed alla porta i due Cani, che ora sono nel vecchio ricetto”[6]. Una delle prime idee, proposta da Pelli, prevede di spostare in questo nuovo ingresso le epigrafi murate nel vecchio ingresso sul terzo corridoio, detto appunto “sala delle iscrizioni”: anche questo aspetto del progetto, tuttavia, è terreno di contrasti tra Pelli e Lanzi, tra i quali, come è noto, non correva buon sangue[7].

Ai busti medicei la relazione preliminare del 1780 dedica un vago accenno nella parte dedicata alla sistemazione dei corridoi: “La serie dei ritratti della casa Medicea non può pulitamente aver Luogo dietro alle Statue, come è stata collocata finora, e bisognerà trasportarla altrove”[8]. In ogni caso, la situazione sembra già definita nel 1782, quando il 14 marzo Pelli poteva ormai annotare che il riordinamento della Galleria era ormai terminato “alla perfine”[9], ma un conto presentato dal marmista Bartolomeo Buoninsegni è in grado di provare che gli sgabelloni per i busti erano già stati installati nell'antiricetto poco più di un mese prima[10]: l'uomo si dice infatti costretto a tracciare “scomodamente” le “composizioni” del Lanzi sugli sgabelloni quando essi sono già posti in opera.

La realizzazione di un “sacrario” delle memorie medicee appare tanto più significativa se messa in rapporto con la quasi contemporanea pubblicazione della Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici di Riguccio Galluzzi, edita in nove libri nel 1781[11]. Al riguardo risulta ancora una volta emblematica un'annotazione che Pelli il 19 marzo di quello stesso anno affida alle sue Efemeridi:

“La lettura della Storia medicea mi tiene distratto da ogni altra cosa. Era molto tempo che desideravo di vederla. Vi è chi stampa anche la Vita del duca Alessandro, ed una serie di fatti storici specialmente toscani dal 1300 in qua. Pare dunque che detta opera risvegli la voglia d'illustrare le cose nostre, e vi è da poterlo fare assai bene, ad onta di tanti libri che già abbiamo in luce. Se fossi più giovane mi unirei in questo spirito, e farei delle fatiche, ma è tardi, ed ho le cose della Galleria alle quali devo per debito pensare sopra tutto, avendone già contratta una pubblica obbligazione[12].”

I primi anni ottanta del Settecento fiorentino appaiono dunque caratterizzati dalla volontà di stilare un bilancio relativamente all'epoca medicea, sentita ormai come conclusa: tale tendenza, adeguatamente testimoniata dal fiorire di opere storiche prodotte e ristampate sull'onda del successo dell'opera del Galluzzi – che Pelli nei propri appunti chiama sinteticamente “storia medicea” –, trova degna espressione all'ingresso della Galleria proprio nella teoria dei busti medicei e, soprattutto, nella stesura della sintetica storia degli apporti al museo da parte di ciascun membro eminente della famiglia, della quale ogni elogium rappresenta un singolo capitolo.

A ricollegare ulteriormente tale allestimento alla  ricapitolazione di un peculiare settore di una storia fiorentina esclusivamente medicea concorre un particolare di quello che doveva essere l'iniziale progetto di Lanzi: in aggiunta alle otto iscrizioni abbinate ai busti medicei, nel 1807 egli ne pubblica infatti una nona dedicata a Francesco di Lorena che, secondo il modello comune alle altre, commemora i meriti del primo lorenese alla guida del Granducato nei confronti del Museo[13]. E' possibile che proprio il provvedimento di riservare ai soli Medici lo spazio dell'antiricetto abbia portato all'esclusione dell'effigie e dell'elogium di Francesco, che del resto non sono mai ricordati qui né dagli inventari né dalle guide[14].

L'aspetto che maggiormente colpisce di questi ritratti che per primi trovano collocazione nell'antiricetto è la varietà dei materiali, dal bronzo del Cosimo I[15] del Giambologna al porfido di Ferdinando I[16] e di Cosimo II,[17] entrambe opera di Tommaso Fedeli, fino alla virtuosa commistione di porfido e marmo bianco del ritratto di Ferdinando II[18] scolpito da Raffaello Curradi. Il Francesco I[19] di Domenico Poggini, il Cardinal Leopoldo[20], attribuito ad un ignoto artista d'ambito fiorentino, ed il Gian Gastone[21] attribuito ad Antonio Montauti sono invece in marmo bianco. A questi era unito un tempo un ulteriore busto, che l'elogium dettato dal Lanzi consentiva di identificare come Cosimo III, penultimo Granduca di casa Medici.

 

Cosimo III, il Granduca dimenticato

La presenza di un’effigie in marmo di Cosimo III è ricordata qui dagli inventari fin dal 1784. Nell’inventario di quell’anno nel “Vestibulo” è registrato “Un busto armato con testa di marmo bianco, e peduccio d’alabastro di Cosimo III da giovane con un panno sulla spalla sinistra. E’ alto b(racci)a 1 ½ e posa come sopra”[22], ovvero sopra un “termine di legno intagliato, e tinto di bianco con iscrizione davanti”. L’inventario successivo, compilato nel 1825, ricorda invece l’opera in questi termini: “Cosimo III de’ Medici. Guarda a sinistra: ha i capelli a zazzera, basette e pizzo al mento. É vestito di ferro, porta un collaretto di tela steso al collo, ed un manto a tracolla, il quale dalla spalla sinistra scende sotto il braccio destro. E’ in marmo bianco con peduccio in marmo mistio giallastro”[23]. Più laconico l’inventario del 1881, che registra semplicemente “Cosimo III in marmo”[24]. La consultazione incrociata degli inventari e delle guide di Galleria consente di rilevare che il busto di Cosimo III è rimasto regolarmente nella sequenza fino ai primi del Novecento, dal momento che Pieraccini nel 1910 lo ricorda ancora al suo posto[25]. Tuttavia, l’inventario del 1914[26] registra una significativa trasformazione, allorché il busto di “Cosimo III” appare ribattezzato come don Lorenzo de’Medici (1599-1648), e spostato nel “vano dell’ascensore”: il ritratto viene dunque rimosso perché considerato “spurio”, l'iscrizione sullo sgabellone scompare e dunque la storia “compendiosa” del Lanzi viene a perdere un importante capitolo.

L’identificazione con Lorenzo, fratello minore di Cosimo II, è tuttavia confutata negli anni Ottanta del Novecento da Karla Langedjik che, sulla base del confronto con una stampa di Jacques Callot del 1614[27], riconosce nell’opera un ritratto postumo di un altro figlio di Ferdinando I, Francesco (1594-1614)[28]: ad orientare ed a consentire il riconoscimento sarebbero infatti il profilo e la conformazione dell’armatura. La critica più recente ha attribuito l’opera alla cerchia di Andrea Ferrucci del Tadda[29] (Fig.2).  

 

Lorenzo il Magnifico, Ferdinando III e Leopoldo II

Tra le aggiunte più recenti alla teoria dei busti dell'antiricetto, le due effigi di Ferdinando III[30] e di Lorenzo il Magnifico[31] rappresentano il caso eccezionale di opere nate appositamente per questo ambiente e non ricollocate qui da sede precedente. Nella richiesta ufficiale al Granduca Leopoldo II datata 10 gennaio 1825[32], si enfatizza come la collocazione nell'antiricetto del busto del padre suo – che si progetta di far eseguire allo scultore Stefano Ricci, all'epoca professore di scultura presso l'Accademia di Belle Arti – asseconderebbe adeguatamente quel “nobile e delicato provvedimento” che aveva portato Pietro Leopoldo di Lorena a destinare il primo ambiente della Galleria al ricordo dei granduchi di casa Medici ed alla menzione di quanto essi avevano compiuto per il Museo. Il documento continua elencando le benemerenze di Ferdinando III per la Galleria, che vengono riprese quasi alla lettera nell'elogium scritto dall'abate Zannoni sulla falsariga di quelli già composti dal Lanzi[33]. Solo verso la fine l'estensore del documento coglie l'occasione per richiedere anche la realizzazione di un busto in marmo raffigurante il “vero Ritratto di Lorenzo il Magnifico per sostituirsi al falso che è presentemente esposto nel detto vestibulo”, che, affidato allo scultore Ottavio Giovannozzi, si prevede di ricavare da un gesso realizzato dal Ricci prendendo a modello la maschera funeraria del Magnifico, già in casa Capponi ed in Palazzo Riccardi, oggi al Tesoro dei Granduchi in Palazzo Pitti[34].

Il busto del Magnifico viene consegnato per primo, il 20 giugno 1825, e subito collocato in Galleria “in luogo dell'apocrifo che vi stava esposto”[35]. L'origine da un modello precedente è ribadita dall'autore stesso che, nel firmarsi sul retro, aggiunge l'inequivocabile espressione “Copiò” prima della data: sebbene i documenti parlino di un gesso, la Langedijk avrebbe riconosciuto il modello realizzato dal Ricci in una terracotta dell'Ashmolean Museum di Oxford[36], i cui tratti, evidentemente ripresi dalla maschera funeraria del Magnifico – e tuttavia secondo la critica già in parte rielaborati sulla base di un busto oggi a Praga ma a Firenze almeno fino al 1859[37] –, sarebbero stati successivamente idealizzati dal Giovannozzi nel busto marmoreo facendo riferimento ad una stampa settecentesca di Carlo Faucci[38], da cui lo scultore avrebbe ripreso la capigliatura più folta, i tratti più energici e la bocca più carnosa, come pure alcuni dettagli dell'abito. Questo processo di contaminazione si spiega in vista dell'idealizzazione del personaggio, le cui grandi virtù d'uomo di governo e di protettore delle arti contrastavano agli occhi dei posteri ottocenteschi in modo imbarazzante con le sgraziate fattezze che di lui si tramandavano. La “correzione” del busto del Magnifico testimonia peraltro di una peculiare attenzione rivolta al personaggio, che trova riscontro nella pubblicazione in quello stesso 1825 dell'opera omnia di Lorenzo de' Medici, voluta dallo stesso Leopoldo II, che ne curò anche la prefazione[39].

I documenti enfatizzano la veridicità dei tratti del Magnifico, definendo il busto destinato all'antiricetto il “vero” ritratto del personaggio e ricordandone la derivazione da una fonte sicura come la sua maschera mortuaria: questi accenni acquistano senso se si considera come l'opera fosse destinata a sostituire un “falso”, un “apocrifo” già collocato in loco. L'autenticità si misura verosimilmente in questo contesto dalla somiglianza con il personaggio, il che rende quello del Giovannozzi il “vero” ritratto di Lorenzo il Magnifico, anche se realizzato più di trecentotrent'anni dopo la morte dell'effigiato. Se ne deduce che l'“apocrifo” fosse un busto quattro-cinquecentesco raffigurante un personaggio identificato con Lorenzo il Magnifico per errore o per mancanza di un'effigie autentica da collocare nel sacrario delle glorie medicee all'ingresso della Galleria, quale omaggio all’ispiratore dei discendenti granduchi e dei loro successori lorenesi ad ampliare il tesoro di arte e bellezza del complesso vasariano.

La guida di Galleria edita nel 1798 ad opera di Fabbroni -ma ispirata verosimilmente dall'allora direttore Tommaso Puccini- ricorda la recente aggiunta nell'antiricetto (denominato “Antivestibule”) di “deux bustes de Laurent et de Jean de Medicis surnommé le Grand- Capitain”.[40] Già nella guida edita nel 1810 il valore artistico di queste due opere -in particolare la seconda- appare sminuito[41].

E' lecito soffermarsi brevemente su queste due aggiunte del tardo Settecento. Il busto di Giovanni de' Medici, detto “delle Bande Nere” (1498-1526), è verosimilmente da identificare con quello attualmente al Bargello[42], un ritratto postumo eseguito da Francesco da Sangallo dopo il 1526 e l’unico marmo noto nelle collezioni medicee raffigurante il personaggio: l'appellativo di “grande capitano” citato dalle guide di galleria ben si adatta al busto armato.

Per quel che riguarda invece l'effigie di Lorenzo il Magnifico, le fonti che, ripercorrendo la storia collezionistica del busto del Giovannozzi, si trovano a fare menzione di questo “falso” o “apocrifo” a cui esso sarebbe stato sostituito, non riportano tuttavia alcuna ipotesi sull'identità dell'opera o sulla sua attuale collocazione, asserendo che se ne sono perse le tracce: l'esame degli inventari consente tuttavia di formulare alcune ipotesi in merito.

 L'inventario di Galleria cronologicamente più vicino allo spostamento dei due marmi nell'antiricetto è quello del 1784, che fa peraltro menzione di un busto del Magnifico “vestito alla civile” nel Gabinetto delle Monete[43]. Un'annotazione a margine registra uno spostamento successivo dell'opera nel “vestibolo primo”, ovvero nell'antiricetto. Il marmo seguente registrato dall'inventario è proprio il ritratto di Giovanni dalle Bande Nere, anch'esso spostato nell'antiricetto secondo un'annotazione a margine­. Seguendo i riscontri inventariali, al busto del Magnifico registrato nell'inventario del 1784 corrisponde nel successivo inventario del 1825 un ritratto di Giuliano de Medici, il fratello del Magnifico, posto nel “Vestibulo Primo”: “Il suo sguardo è dimesso: ha i capelli a zazzera con un piccolo ciuffo sulla fronte; il collo è nudo; veste secondo l'uso dei suoi tempi”, recita la descrizione[44]. L'inventario non manca di indicare come il busto sia provvisto di un peduccio quadrato che reca l'iscrizione “Laurentius Medices”, scritta per errore, in seguito ad errata identificazione. L'inventario menziona inoltre un successivo spostamento del busto dal "vestibulo primo", prima nel cosiddetto “Stanzino del Pozzo” e poi nel cosiddetto “Magazzino dei piatti”, ambienti minori destinati a deposito. Alla luce delle descrizioni e delle misure offerte dagli inventari, è possibile identificare dunque l'“apocrifo” busto, già creduto ritratto di Lorenzo il Magnifico, con il ritratto postumo di Giuliano de' Medici oggi al Bargello, datato al 1480 circa ed attribuito da Caglioti al “Maestro degli Apostoli sistini”[45] (Fig. 3). Il peduccio con iscritto il nome di Lorenzo non è più presente, condizione del resto frequente tra i busti un tempo conservati agli Uffizi e poi passati al Bargello, quali ad esempio i ritratti di Piero e di Giovanni de' Medici di Mino da Fiesole[46] o la cosiddetta “Gentildonna” di Desiderio da Settignano[47].

Alla vigilia della richiesta dei due busti destinati ad essere realizzati dal Ricci e dal Giovannozzi, nell'antiricetto della Galleria dovevano essere dunque presenti le effigi dei sette granduchi di Casa Medici, il ritratto del cardinal Leopoldo ed infine due busti dei Medici vissuti “avanti il principato”. Successivamente il busto di Lorenzo il Magnifico opera del Giovannozzi venne collocato al posto dell'“apocrifo”, ma è solo nel 1827, quando anche il busto di Ferdinando III fu terminato dal Ricci, che i documenti consentono di ricostruire un ulteriore intervento di carattere museografico. Una richiesta al ministro del Mobiliare datata 11 dicembre 1827[48] relativamente alle basi da approntare per il ritratto di Ferdinando III, offre utili informazioni sulla collocazione dei busti medicei nell'antiricetto: “I busti dei Granduchi che stanno disposti intorno alle pareti del primo vestibulo di questa R. Galleria sono inalzati [sic] sopra mensoloni di legno riccamente intagliati che parton da terra, tutti della stessa forma, ed ornati egualmente se si eccettuano i due che mettono in mezzo la scala, i quali non comportando quel genere di sostegno, per essere addossati ai pilastri che con le membrature delle basi aggettano dal piombo della muraglia, posano sopra due vecchi e deformi sgabelloni”. I busti collocati sugli sgabelloni “deformi” (ossia diversi dagli altri) devono essere verosimilmente i busti di Lorenzo e di Giovanni de' Medici, ultime aggiunte in ordine di tempo alla teoria dei ritratti medicei prima di questo momento, ed è altrettanto lecito supporre che, in attesa della collocazione del busto di Ferdinando III – per il quale si era concordato di realizzare anche un'apposita base – nel 1825 il busto del Giovannozzi abbia preso semplicemente il posto dell'“apocrifo”, venendo dunque collocato a lato della scala.

Il documento prosegue con una proposta: “Nella circostanza che a quella serie di busti devesi aggiungere quello del G. D. Ferdinando III di gloriosa memoria, e che VS Illma è incaricata di provvedere alla costruzion della Base, che dovrà sostenerlo, io la pregherei di voler esaminare se con la spesa che occorrerebbe per costruire un mensolone compagno agli altri sopraccennati, si potessero piuttosto approntare due semplici colonnette mozze da sostituire ai due sgabelloni. E nel caso affermativo, gradirei che venisse eseguito questo cangiamento il quale senza alterar nella sostanza le superiori disposizioni, mi parrebbe in grado di ordinare più elegantemente quel vestibulo; giacché dovendosi in questa occasione trasporre alcuni di quei busti, ed escluderne uno che non appartiene rigorosamente a quella serie, avrebbe il tutto egregiamente sistemato...”. Se il busto da “escludere” è quello di Giovanni de' Medici, che effettivamente non viene più ricordato un questo ambiente della Galleria[49], il “trasporre” alcuni busti sarà da intendere come una variazione alla collocazione dei busti medicei all'interno di quello stesso ambiente. I provvedimenti legati all'assetto definitivo della sala consentono inoltre di sollevare la questione relativa agli encomi latini al di sotto delle nuove effigi: se quello di Ferdinando III è stato composto dall'allora antiquario della galleria, l'Abate Zannoni, e fu sottoposto anche all'approvazione del figlio[50], è lecito domandarsi chi abbia composto l'encomio di Lorenzo il Magnifico, tuttora leggibile sotto il ritratto marmoreo, o quanto meno, dal momento che i documenti d'archivio non ne conservano memoria, quando sia stato collocato. La guida di Galleria del 1832 indica il busto del Magnifico come primo nella serie dei ritratti medicei, e dunque sembra estendere anche ad esso quanto dice prima di riportarne l’elenco: “Les inscriptions latines de l'abbé Lanzi, qu'on y a ajoutées au bas, marquent ce que chacun de ces grand Princes a fait. C'est un hommage que la reconnaissance des beaux arts rend à leurs bienfaiteurs.”[51] E' vero che Lorenzo non ha cinto la corona di Granduca, per ovvi motivi, ma per i suoi alti meriti nell'arricchimento delle collezioni artistiche medicee non vi è motivo di escluderlo dal novero dei “principi” di casa Medici, e se fosse stato l'unico a mancare di un'iscrizione la guida l'avrebbe verosimilmente segnalato. Il riferimento si rivela dunque prezioso anche se in parte erroneo, perché non tutti gli elogi sono stati scritti dal Lanzi, non quello di Ferdinando III, opera dello Zannoni, né quello del Magnifico, la cui effigie non era in origine prevista nel piano dell'allestimento della sala. E' lecito supporre quindi che l'elogium del Magnifico sia stato apposto per amor di completezza proprio nel 1827, in concomitanza con la collocazione del busto del Granduca lorenese, ma sia stato passato sotto silenzio dai documenti perché ritenuto non molto importante dal punto di vista “politico”, laddove l'elogio di Ferdinando III è stato invece sottoposto niente di meno che alla regia approvazione, e come tale riportato ufficialmente nei documenti poi archiviati.

Il secondo ritratto lorenese dell'antiricetto, raffigurante Leopoldo II ed opera dello stesso Giovannozzi, firmato e datato al 1846[52], arrivò invece quasi vent'anni dopo: si tratta infatti di un busto marmoreo giunto agli Uffizi da Torino nel 1865. Il 29 dicembre del 1864 il ministro dell'Istruzione Pubblica, ricevuta l'offerta “per qualche Galleria” dal ministero delle Finanze di un busto di Leopoldo II appartenente alla Regia Direzione delle Gabelle, scrisse al Direttore della Galleria, chiedendo se l'opera avesse reale pregio artistico e se poteva essere proposto un luogo in cui collocarla[53]. Consegnato il 18 gennaio 1865[54], il busto dell'ex Granduca, “scolpito in marmo bianco con decorazioni sul petto”, venne esaminato dal direttore degli Uffizi e giudicato di “pochissimo pregio artistico, essendo un lavoro come suol dirsi di decorazione eseguito nello Studio di Scultura del fu Professor Pampaloni dal lavorante Giovannozzi”[55]. Infine fu deciso di collocare il busto nei magazzini della Galleria, “non credendo conveniente di collocare il busto suddetto a pubblica mostra”. La tipologia del busto è quella del ritratto ufficiale, raffigurante il Granduca con le decorazioni connesse al suo rango: un esemplare dello stesso tipo è peraltro già presente prima di questa data nelle collezioni granducali, collocato oggi presso la Galleria d'Arte Moderna in Palazzo Pitti[56].

Evidentemente ad un certo punto è stato ritenuto opportuno collocare anche questo busto lorenese nell'antiricetto, dal momento che esso vi è ricordato dalle guide di Galleria almeno a partire dagli anni settanta dell'Ottocento[57]. L'epigrafe encomiastica è attribuita nel catalogo del Pieraccini a Giovanni Crisostomo Ferrucci[58], e sarà da datare verosimilmente al momento della collocazione del busto in loco.

 

Maria Maddalena d'Austria e Vittoria della Rovere

L'ultimo importante intervento museografico è databile con precisione al 1896, l'anno in cui l'allora direttore Enrico Ridolfi fece realizzare una nuova rampa di scale che, simmetrica a quella già esistente, sale dal piano del Gabinetto dei disegni e delle stampe per arrivare ad una rampa centrale che mette al piano della Galleria[59]: si decise dunque di riqualificare l'antiricetto, ora ben visibile in tutta la sua ampiezza dal fondo dell'ultima rampa. Come riporta in una relazione, Ridolfi fece dunque ornare le due pareti sul lato lungo con degli arazzi, mentre “vennero disposti sopra sgabelloni di antico modello, in legno di noce lumeggiati d'oro, i busti in marmo, in porfido e in bronzo (che già stavano collocati in quel vestibolo su goffe mensole) rappresentanti Lorenzo il Magnifico, cui è dovuto il principio delle collezioni medicee, e i successivi granduchi di Toscana, che più promossero l'incremento della Galleria”[60]. A questo intervento, che portò nel locale gli sgabelloni lignei a tutt'oggi in uso – e lascia supporre che le due “colonnette mozze” proposte nel 1827 non siano state effettivamente messe in opera –, fece seguito un'ulteriore aggiunta di marmi, l'ultima in ordine di tempo, alla teoria dei busti mediceo-lorenesi: il direttore ricorda infatti di aver aggiunto i busti di Maddalena d'Austria[61] e di Vittoria della Rovere[62], che definisce “bellamente scolpiti” e ricordandone la provenienza: “erano stati in addietro, come cose di nessun pregio, forniti dai depositi della Galleria a decorazione dell'ingresso di un pubblico dicastero”[63]. Del giugno di quello stesso anno è una richiesta alla Galleria del formatore Giuseppe Lelli, che chiede di poter effettuare un calco dei “due busti rappresentanti Signore della Famiglia Medicea … di recente ritirati dai locali della Corte di Cassazione di Firenze”[64]. L'aggiunta dei due busti accrebbe da un lato la collezione di due eccellenti opere di Giovanni Battista Foggini, dall'altro segnò la fine di quello che era stato il filo conduttore dell'allestimento delle effigi medicee e lorenesi: anche le due granduchesse ebbero un'iscrizione sui loro sgabelloni, ma si trattò della semplice menzione del nome e di poco altro, senza alcun riferimento ad eventuali apporti alla Galleria. La teoria dei busti medicei perse dunque il suo valore didattico ed informativo sulla storia degli Uffizi per ridursi ad una rassegna di antichi ritratti dall’aria sussiegosa e distante, simile a quella degli avi di Don Rodrigo nella sala in cui egli si confronta con padre Cristoforo: sulla storia “compendiosa” orchestrata dal Lanzi calò un oblio di cui è conferma palese l'eliminazione di Cosimo III e del suo elogium dalla serie, una volta appurato che non si trattava dell'effigie del penultimo Granduca, senza preoccuparsi di riempire coerentemente il posto lasciato vuoto.

 

APPENDICE[65]

I mecenati di casa Medici

Gli elogia latini composti da Luigi Lanzi[66]

 

Cosimo I de'Medici[67] (Fig. 4)

(1519-1574, Granduca dal 1569)

I

Cosmas I Medices M. D. E.

Cujus studio et impensa,

Imagines hominum

ex omni memoria illustrium

e probatissimis exemplaribus depictae       5

Signa marmorea coempta,[68]

maxime auri, argenti, aeris antiqui copiae

avito gentis sue thesauro aggregatae sunt,

quae ornamente[69] harum medium

Posteri ejus[70] dicaverunt. 10

I

Cosimo I de’ Medici Granduca di Toscana

Grazie alla cui passione e alla cui spesa

le immagini di tutti gli uomini

più illustri della storia

furono riprese dagli esemplari più apprezzati,

furono acquistate insieme statue di marmo,

le più grandi ricchezze d’oro, d’argento e d’antico bronzo

furono aggiunte all’antico tesoro della sua stirpe,

ed i suoi successori le destinarono

ad ornamento di questo palazzo.

Al di là dei generici riferimenti alle acquisizioni di oggetti preziosi, l’attenzione del Lanzi appare qui particolarmente rivolta alle “Imagines hominum illustrium” (linee 3-5). Nella propria edizione del 1807 egli spiega così il passaggio: “(Cosimo) Ordinò a Cristoforo dell’Altissimo di raffigurare i volti degli uomini illustri e li dedicò nel Museo”[71]. Il riferimento è alla cosiddetta “Serie Gioviana”, così chiamata perché derivata dalla collezione di effigi delle più grandi personalità della storia, messa insieme dal medico e filosofo comasco Paolo Giovio (1486-1552). Cominciata intorno alla metà del Cinquecento per volontà di Cosimo I, che inviò a Como il pittore Cristofano dell’Altissimo a copiare gli originali, la collezione finì col tempo per essere ampliata in modo autonomo, fino al 1840, arrivando a contare quattrocentonovantadue esemplari.

E’ utile rilevare tuttavia che, al contrario di quanto Lanzi afferma, la collezione “gioviana” non fu destinata da Cosimo al Museo, ovvero alla Galleria, dove giunse invece al tempo di Francesco I: la raccolta di dipinti era infatti stata esposta in precedenza nella sala del Mappamondo in Palazzo Vecchio[72].

 

Francesco I de'Medici[73] (Fig. 5)

(1541-1587, Granduca dal 1574)

II

Franciscus Medices M. D. E.

quum hasce aedes

a Cosma I ad commoditatem domesticam positas

gazae antiquae collocandae primus destinasset,

ambulationem a regia vetere ad Arni ripam     5

adjecto conclavi cum tholo

excolendam pictura atque omni ornatu curavit,

museum mediceum

tabulis, signis, numismatis, gemmis

locupletatum aperuit.   10

II

Francesco de’Medici Granduca di Toscana

Avendo per primo destinato questo palazzo

-assegnato da Cosimo I alla comodità domestica-

alla collocazione dell’antico tesoro,

fece abbellire con la pittura ed ogni ornamento il passaggio dal palazzo vecchio alla riva dell’Arno, aggiunto un gabinetto con cupola,

aprì il Museo Mediceo

arricchito di dipinti, statue,

monete, gemme.

Il testo si sofferma sul significativo cambiamento di destinazione degli ambienti dell'ultimo piano del complesso vasariano nel passaggio da Cosimo I a suo figlio Francesco: è con quest'ultimo, infatti, che la loggia coperta voluta da Cosimo I si trasformò in “Galleria” propriamente detta. Lanzi non manca di riferire, oltre all'incremento di vari nuclei collezionistici del grande patrimonio artistico mediceo – qui chiamato gaza, parola latina d’origine persiana –, la decorazione del soffitto del primo corridoio, che va da Palazzo vecchio (qui, letteralmente, “la reggia antica”, linea 5) al fiume Arno. La Tribuna del Buontalenti è indicata generalmente come un “gabinetto con cupola” (linea 6), con il tono generico di chi fa riferimento ad un qualcosa di ben noto[74].

 

Ferdinando I de' Medici[75] (Fig. 6)

(1549-1609, Granduca dal 1587)

III

Ferdinandus I Medices M. D. E.

qui numerum conclavium museo auxit

pecuniam veterem duplicavit

et pocula e gemmis cavatis multa superaddidit,

ejusdem felicitate           5

Niobe cum liberis marmorea symplegma pugilum

signum juvenis ferrum acuentis ad cotem,

Cratera cum Iphigeniae fabula anaglypta,

et Veneris atque Apollinis

venustissima orbis terrae simulacra   10

comparata Romae sunt,

quibus alii principes arcessitis

hanc urbem spectabiliorem

fecerunt.

III

Ferdinando I de’ Medici Granduca di Toscana

Che accrebbe al museo il numero delle sale,

raddoppiò le antiche ricchezze

ed aggiunse molte coppe di gemme intagliate.

Grazie alla prosperità del medesimo

la Niobe di marmo con i figli, la lotta dei pugili,

la statua del giovane che arrota il ferro sulla cote,

il cratere a bassorilievo con la storia d’Ifigenia,

e le statue di Venere e d’Apollo,

le più belle di tutta la terra,

furono acquistate insieme a Roma:

altri principi con esse, dopo averle fatte arrivare,

resero questa città

più splendida.

Tra le opere aggiunte alle collezioni viene dato particolare risalto alle sculture antiche: nell'ordine si fa riferimento all'acquisizione della Niobe[76] con il gruppo dei figli, al gruppo dei Lottatori – la “lotta dei pugili” di cui alla linea 6[77]–, all'arrotino, anch’esso indicato con una perifrasi alla linea 7[78], al vaso Medici, ornato con quella che era ritenuta all’epoca la raffigurazione del sacrificio di Ifigenia[79], alla Venere Medici – di cui Lanzi ricorda nel 1807 l’allora attuale collocazione in Francia[80] – ed all'Apollino[81], rimaste per lungo tempo presso la villa Medici sul Pincio, che Ferdinando acquista nel 1576. L'elogium termina con un generico riferimento ad “altri principi”: si allude a Cosimo III, che fa trasferire nel 1677 a Firenze la Venere, i Lottatori e l’Arrotino per ornarvi la Tribuna[82], ed a Pietro Leopoldo di Lorena, cui si deve l’arrivo a Firenze del gruppo dei Niobidi [83] e dell’Apollino[84] nel 1770, e del vaso Medici nel 1780[85].

 

Cosimo II de' Medici[86] (Fig. 7)

(1590- 1621, Granduca dal 1609)

IV

Cosma II. Medices M. D. E.

hic opus conclavium

quae spectant ad orientem solem

a Francisco patruo suo ceptum[87]

et a Ferdinando patre ampliatum   5

consummavit, adornavitque,

et pictis tabulis ditavit.

Idem Thomae Dempstero

Librorum de tuscis antiquitatibus

scribendorum auctor fuit,    10

per quos ad novum eruditionis genus

via munita est.

IV

Cosimo II de’ Medici Granduca di Toscana

Costui portò a compimento, adornò

ed arricchì di tavole dipinte

la creazione dei gabinetti

che guardano ad oriente,

intrapresa da suo zio paterno Francesco

ed ampliata dal padre Ferdinando.

Lui stesso fu sostenitore della stesura

dei libri d’antichità etrusche di Thomas Dempster,

attraverso i quali è stata preparata la via

ad un nuovo genere

di erudizione.

Oltre al completamento dei gabinetti del primo corridoio (linee 2-5), ad essere ricordato in questo elogium è in particolare il sostegno dato dal Granduca alla realizzazione dell’Hetruria regalis dell’erudito scozzese Thomas Dempster (1579-1625, linee 8-10), opera commissionata dallo stesso Cosimo II e composta tra il 1616 ed il 1619, ma che conobbe un lungo periodo di oblio prima dell’edizione, avvenuta soltanto nel 1726 ad opera di Thomas Coke e di Filippo Buonarroti. L’importanza dell’opera, che giustifica il primato che Lanzi le riconosce, sta propriamente nella duplice natura che essa venne ad assumere in vista della pubblicazione, poiché Coke e Buonarroti integrarono l’ampia raccolta di antiche fonti letterarie realizzata da Dempster con illustrazioni relative ai monumenti figurati  – ovvero alle testimonianze archeologiche – e con ulteriori apparati esplicativi, pubblicandola con il titolo De Etruria regali: come sintetizza Camporeale, “l’opera del Dempster per il contenuto chiude un’epoca, quella rinascimentale, ma per l’edizione ne apre un’altra, quella illuministica”[88].

All’origine di un tale ritardo nella pubblicazione fu la caduta in disgrazia del Dempster presso Cosimo II per una serie di motivi, tra i quali il contrasto dello studioso con sir Robert Dudley, il geografo ed ingegnere navale al servizio del Granduca dal 1606 e suo fidato consulente in fatto di porti e di nautica[89]. Messo in cattiva luce agli occhi di Cosimo, Dempster finì con l’essere espulso dalla Toscana nel luglio del 1619, e se da Bologna, dove per cinque anni insegnò lettere nella locale università, continuò a render noto a Cosimo II di essere ancora intento alla rifinitura dell’opera, per citare uno tra i più recenti contributi sulla questione, “l’Hetruria regalis non interessava più il Granduca”[90].

 

Ferdinando II de' Medici[91] (Fig. 8)

(1610-1670, Granduca dal 1621)

V

Ferdinandus II Medices M. D. E.

hic marmora litterata et opera veterum figlina,

et immagines nummosque augustorum

et antiquam omnis generis suppellectilem

ex haereditate [92] principum urbinatium   5

atque ex sumptu suo in museum intulit,

conclavia

mensis musivi operis gemmatis instruxit,

ambulationem

ab Arni ripa ad porticum helvetiam  10

ex forma Francisci propatrui sui

pingi atque ornari jussit.

V

Ferdinando II de’ Medici Granduca di Toscana

Costui introdusse nel museo

iscrizioni marmoree e vasi degli antichi,

ed immagini e monete degli Augusti

ed oggetti antichi d’ogni genere,

dall’eredità dei principi urbinati

e con propria spesa,

corredò le sale

con tavoli adorni di gemme decorati a mosaico,

ordinò che il corridoio dalla riva dell’Arno alla loggia dei Lanzi, secondo il progetto di Francesco, fratello del suo bisavolo, fosse dipinto e decorato.

Al di là dell’introduzione di pregiati arredi avvenuta durante il granducato di Ferdinando, e delle menzioni relative alla decorazione del terzo corridoio “dalla riva dell’Arno alla Loggia dei Lanzi” (linee 9-12: nel 1807 Lanzi si premura di tradurre l’espressione “porticus Helvetiam” con l’espressione ancor oggi in uso)[93], è evidente che l’elemento cui Lanzi dà maggiore attenzione è la cosiddetta “eredità urbinate”, una ricchissima collezione di armi e di opere d’arte di cui Ferdinando entrò in possesso nel 1631 sposando Vittoria della Rovere, unica erede di Francesco Maria della Rovere[94], Tra le opere più celebri che per questa via arrivarono agli Uffizi è utile ricordare ad esempio l’Idolino di Pesaro in bronzo, oggi al Museo Archeologico di Firenze[95], il dittico dei Duchi d’Urbino di Piero della Francesca[96], l’Autoritratto ed il ritratto di Giulio II di Raffaello[97] e la Venere d’Urbino di Tiziano[98].

 

Cardinal Leopoldo de' Medici[99] (Fig. 9)

(1617-1675)

VI

Leopoldus Cosmae II F. Medices card

qui gemmas caelatas

et numismata[100] augustorum missilia

supra ceteros gentis suae principes coemit,

itemque[101] pictorum maxime eminentium  5

imagines miniacas formas[102] archetypas

tabulas, queis suam quisque

effigiem atque artem expresserat,

eo successu et laude collegit

quae aemulatore apud posteros caritura fit.   10

VI

Leopoldo, figlio di Cosimo II de’Medici, Cardinale,

che acquistò gemme incise

e monete degli augusti gettate in dono al popolo,

più degli altri principi della sua stirpe,

ed allo stesso modo raccolse le immagini miniate, le immagini originali, i quadri

in cui ciascuno aveva

espresso la propria origine e la propria arte,

con successo ed apprezzamento tali da essere

destinati a mancare d’un rivale presso i posteri.

L’elogium offre in breve spazio una panoramica degli amplissimi interessi del Cardinale in fatto di collezionismo, dalle gemme incise ai missilia – monete romane che usualmente venivano gettate al popolo dal carro imperiale –[103] ai ritrattini miniati[104]. Il nucleo collezionistico per il quale tuttavia Leopoldo è maggiormente celebrato è naturalmente la collezione degli autoritratti[105], da lui cominciata e che ancora oggi gode di numerosi incrementi.

 

Cosimo III de' Medici[106] 

(1642-1723 , Granduca dal 1670)

VII

Cosmas III Medices M. D. E.

a quo multa priscae aetatis monumenta

ex haereditate Leopoldi patrui atq. avorum

ad celebritatem musei tranelata,[107]

nummi urbium veterum conquisiti,    5

series Augg. e marmore suppleta

operibusq. ampliatis

Conclavia cum omni ornatu suo III

ad occidentem solem addita sunt.

VII

Cosimo III de’ Medici Granduca di Toscana

Dal quale molte opere dell’antichità,

dall’eredità dello zio paterno Leopoldo e degli avi,

furono trasferiti per la celebrità del museo,

monete di antiche città furono ricercate da ogni parte,

aumentata la serie degli Augusti in marmo

e, ampliata la costruzione,

furono aggiunti tre gabinetti con ogni loro decorazione

a ponente.

Detentore, come già ricordato in apertura, del periodo di regno più lungo nella storia del Granducato mediceo, Cosimo III è qui ricordato come appassionato collezionista, tanto dei beni familiari[108] quanto di opere acquisite ex novo: è interessante osservare come Lanzi lasci in ombra gli interessi collezionistici rivolti all’arte moderna – si sa, per esempio, che Cosimo III fu un appassionato collezionista di dipinti olandesi[109] – per enfatizzare l’attenzione rivolta alle opere antiche, dalle monete alla serie dei busti imperiali. Agli “Augusti in marmo” lo stesso Lanzi tenne particolarmente, al punto da farne, al tempo del riallestimento del 1780, il “terzo museo” della Galleria, cui furono destinati i tre corridoi e che fu oggetto di grandi attenzioni, dall’attento studio volto ad identificare o rinominare i ritratti già presenti all’intenso ampliamento della collezione, operato attingendo a collezioni private o ad altre dimore granducali[110]. Il testo dell'elogium ricorda infine la creazione di tre gabinetti sul corridoio di ponente: si tratta nello specifico della Sala degli Autoritratti dei Pittori[111], della Sala delle Iscrizioni[112] e del Medagliere[113]. La prima, realizzata tra il 1707 ed il 1708 e concepita per esporre gli autoritratti della collezione del Cardinal Leopoldo, fu affidata a Giovan Battista Foggini, che scolpì anche una statua raffigurante il Cardinale che trovava posto in una nicchia nella parete di fondo[114]; la seconda, ornata di epigrafi e di sculture, è anch’essa attribuita a Foggini e fece da ingresso alla Galleria fino al 1780 (è il cosiddetto “ingresso vecchio” da cui, come ricordato in apertura, Pelli voleva rimuovere le iscrizioni per collocarle nell’ingresso nuovo); il terzo Gabinetto fu infine voluto da Cosimo per ospitarvi la ricchissima collezione di monete e medaglie cui la sua dinastia si dedicava con passione dal quindicesimo secolo: il più antico riferimento noto al riguardo sono le lettere che Piero il Gottoso, padre del Magnifico, scriveva al fratello illegittimo Carlo, preposto di Prato, in merito all’acquisto di monete romane[115]. Cosimo III arrivò ad accrescere la collezione di 13.000 pezzi[116].

 

Gian Gastone de' Medici[117] (Fig. 10)

(1671-1737, Granduca dal 1723)

VIII

Io Gasto Medices M. D. E.

hic gemmas antiquae caelaturae CCC

et opera ex aere permulta

veteris novique artificii

museo donum dedit,       5

mediceisque monumentis

per Antonium Franciscum Gorium

interpretandis vulgandis

consilia rem auspicia contulit.

VIII

Gian Gastone de’Medici Granduca di Toscana

Costui dette in dono al museo

trecento gemme d’antica cesellatura

e molte opere in bronzo

di antica e nuova lavorazione,

e all’esegesi ed alla pubblicazione

delle opere d’arte medicee

ad opera di Anton Francesco Gori

conferì intenzione, argomento, sostegno.

L’ultimo Granduca di casa Medici è ricordato come sensibile collezionista di gemme e bronzi, ma  come già nel caso di Cosimo II, è la promozione di un’opera divulgativa del patrimonio museale ad offrirgli un posto nella “storia compendiosa” agilmente delineata dal Lanzi, ovvero il Museum Florentinum di Anton Francesco Gori (1691-1757), opera in sei volumi edita tra il 1740 ed il 1742, destinata all’illustrazione delle opere d’arte della collezione medicea raffigurate da Giovanni Domenico Campiglia (1692-1775)[118].

 

Aggiunte più recenti[119]

Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico[120] (Fig. 11)

(1449-1492)

I

Laurentius Medices

Vir magnificus

Et ad omnia summa natus

Philosophiae columen

Litterarumque et artium optimarum    5

Cuius opera impensaque

Museum

Quam ditissime incepit

Cuiusque exemplo

Studia mediceorum principum       10

Austriacorumque

In id augendum

Sic sunt incensa

Ut iam concedat paucis

Antistet compluribus           15

I

Lorenzo de’Medici

Uomo magnifico

e nato per ogni grandezza

sostegno della filosofia

delle lettere e delle arti migliori

grazie alla cui opera ed alla cui spesa

il Museo

ebbe inizio nel modo più ricco possibile.

Seguendo il suo esempio

i desideri dei principi medicei

ed austriaci

di accrescerlo

furono accesi a tal punto

che ormai esso è inferiore a pochi

e su moltissimi primeggia.

L’elogium di Lorenzo il Magnifico, che si è ritenuto composto intorno al 1827, presenta un tono genericamente encomiastico, senza riferimenti puntuali a singole opere acquisite o specifici meriti nei confronti della collezione medicea, se non quello di esserne stato l’iniziatore. La figura di Lorenzo – che l’estensore del testo definisce alla linea 3 “ad omnia summa natus”, riprendendo tanto il riferimento di Cicerone a Pompeo nel Brutus[121] quanto (e forse soprattutto) il modo in cui Poliziano si riferisce al Magnifico nella lettera del 18 maggio 1492 in cui ne descrive a Jacopo Antiquario gli ultimi istanti prima della morte[122] – venne dunque collocata a capo della teoria dei busti mediceo-lorenesi come aggiunta coerente con l’iniziale progetto del Lanzi, quale prologo alla “storia compendiosa” della Galleria vista attraverso gli apporti dei suoi mecenati.

 

Ferdinando III di Lorena[123] (Fig. 12)

(1769-1824, Granduca dal 1790 al 1799 e dal 1814 al 1824)

XI

Ferdinandus III M. D. E.

qui

genera musei opum universa

sed praesertim numismata,

lineares picturas,        5

easque ex aerea lamina charta impressas

adauxit

conclave tabulis tuscorum artificum

praestantibus adservandis exstruxit

spirantia marmora      10

ab iisdem in instaurationem artis exsculpta

empta vel aliunde traslata

in unum collegit

locum ornatu novo

spectabiliorem effecit   15

 

XI

Ferdinando III Granduca di Toscana,

che accrebbe tutti i generi d'opere del museo

ma soprattutto le monete, i disegni

e le raffigurazioni impresse su carta da lamina di bronzo,

fece costruire un gabinetto per la conservazione

dei dipinti eccellenti degli artisti toscani,

raccolse in un unico luogo statue marmoree che sembrano vive, dai medesimi scolpite a rinnovamento dell'arte,

acquistate o trasferite da altro luogo,

con nuova ornamentazione rese il luogo

più bello

L’elogium dedicato a Ferdinando III, composto nel 1827 dall’Abate Zannoni, antiquario di Galleria[124], ricorda molto da vicino, come già detto, la richiesta ufficiale inoltrata a Leopoldo II per la realizzazione di un busto di suo padre da aggiungere alle effigi degli altri benemeriti del Museo[125]. La sala della pittura toscana e la sala della scultura toscana, ricordate dal testo, furono aperte nel 1822 dall’allora direttore della Galleria Giovanni degli Alessandri (1811-1828)[126].

 

Leopoldo II di Lorena (Fig. 13)

(1797-1870, Granduca dal 1824 al 1859)

XII

Leopoldus II Lotharingius M. D. E.

Annor XXXV principatum ornavit

optimis ad praeclara quaeque meritis

musaei gazam adauxit tabulis sanctianis

opere ac pretio nobilissimis

laudatorum diagrammatum copiam ex omni

artium magisterio comparatam et ordine

digestam publici usus esse iussit

musaeum etruscum aedibus adsignatis

memorabili in aevum munificentia fundandum

aperiendum cur(avit)

XII

Leopoldo II di Lorena Granduca di Toscana

ornò un governo di trentacinque anni

con ottimi meriti in ciascuna illustre impresa.

Accrebbe il tesoro del Museo dei dipinti del Sanzio

più nobili per fattura e per valore,

ordinò che l’abbondanza dei disegni pregiati, messa insieme da ogni ramo dell'arte e disposta in ordine,

fosse messa a disposizione del pubblico.

Con munificenza memorabile in eterno,

fece in modo che nella sede assegnata

fosse fondato ed aperto il Museo etrusco

Nell'elogium, che si ritiene dettato da Giovanni Crisostomo Ferrucci[127], è possibile avvertire un gusto mimetico volto ad armonizzare questo nuovo testo con quelli lanziani, come dimostra l'uso del termine gaza per indicare il “tesoro” delle collezioni granducali, utilizzato da Lanzi nell'encomio di Francesco I. Dell'ultimo Granduca di Toscana si ricordano qui l'acquisizione dei ritratti di Agnolo e Maddalena Doni, dipinti da Raffaello nel 1506 e ceduti al Granduca dagli eredi nel 1826[128], conservati per lungo tempo presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti e recentemente trasferiti nella Galleria delle Statue e delle Pitture. L’elogium fa inoltre menzione dell'apertura al pubblico della collezione dei disegni e della fondazione del Museo Etrusco, entrambe avvenute nel 1853, come ricordato sia dai documenti d’archivio[129] che dalle guide. Riguardo alla prima è utile ricordare quanto si legge in una guida del 1860: “All’estremità della terza Galleria furono aperte tre Sale, situate dietro la loggia d’Orcagna, nelle quali si raccolse una preziosa collezione di disegni originali de’Maestri italiani da Giottino sino al secolo XVI, ed il cui numero è di circa 20.000. Fra i più interessanti se ne fece una scelta che fu esposta nelle cornici in ordine cronologico. Per esaminare quelli conservati nelle cartelle e le stampe, il cui numero sorpassa le 30.000, bisogna ottenere un permesso dal direttore”[130]. Il Museo Etrusco trovò invece collocazione nel circuito del corridoio vasariano, nelle due sale cui mette lo scalone dal terzo corridoio e nel tratto di corridoio che costeggia il lungarno Archibusieri[131].

 

Maria Maddalena d'Austria[132] (Fig. 14)

(1589-1631, Granduchessa dal 1609 al 1621)

VI

Maria Magdalena Austriaca

Caroli Archiducis Austriae filia

Cosmi II Magni Ducis Etruriae uxor

VI

Maria Maddalena d’Austria

Figlia di Carlo Arciduca d’Austria

Moglie di Cosimo II Granduca di Toscana

 

Vittoria della Rovere (Fig. 15)

(1622-1694, Granduchessa dal 1633 al 1670)

VIII

Victoria Roborea

Federici principis Urbini Filia

Ferdinandi II Magni Ducis Etruriae uxor

VIII

Vittoria Della Rovere

Figlia di Federico principe di Urbino

Moglie di Ferdinando II Granduca di Toscana

Le iscrizioni che accompagnano i busti delle due granduchesse non possono essere considerati di valore propriamente encomiastico, dal momento che riportano soltanto il nome delle due donne, dei rispettivi padri e dei rispettivi mariti.

 

Un elogium mancato: Francesco Stefano di Lorena[133]

(1708-1765, Granduca dal 1737)

IX

Imp Franciscvs Lotharingivs Avg M D E

cvivs mvnificentia Mvsevm Medicevm

signis Aegyptiis nvmmis veteris Mediiqve Aevi

titvlis monvmentorvm Latinis  5

atqve accessione opvm antiqvarvm

qvas Lotharingiae Principes congesserant

locvpletatvm

item ex ea parte qvam violentia ignis deleverat              10

restitvtvm

et lineari pictvra per artifices

pensione perpetva condvctos expressvm est

 

IX

Imperatore Francesco di Lorena Augusto Granduca di Toscana

Per la cui generosità il Museo Mediceo

Fu arricchito

Di statue egiziane, di monete dell’epoca antica e medievale

Di iscrizioni latine di monumenti

E dall’aggiunta di opere antiche

Che i principi di Lorena avevano messo insieme

Ed allo stesso modo fu restaurato in quella parte

Che la violenza del fuoco

Aveva distrutto

E fu raffigurato in disegno dagli artisti

Stipendiati.

Si riporta qui l'elogium di Francesco Stefano di Lorena, steso dal Lanzi ma non collocato nell'antiricetto, verosimilmente per destinare, come già detto, tale ambiente ai soli Medici e alla storia dei loro apporti alla Galleria.

Al di là delle aggiunte alle collezioni, è interessante osservare come l’encomio faccia riferimento ai lavori di restauro seguiti all’incendio divampato il 12 agosto 1762[134] ed alla realizzazione  – a partire dal 1749 – dell’Inventario disegnato[135], realizzato da una squadra di disegnatori coordinata da Benedetto Vincenzo de Greyss. Il progetto rimase incompiuto: si conservano le versioni a matita presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi e le versioni definitive a tocco in penna presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, raffiguranti i tre corridoi, cinque su otto pareti della Tribuna, la Sala degli Autoritratti e la Sala delle Iscrizioni[136].

 

 

Note

[1]     Lanzi 1782, 12: “Così il forestiere può leggere nel primo vestibolo una compendiosa storia del Museo, ma però imperfetta, finché non vi si aggiunga l'iscrizione di un Sovrano che sicuramente ha contribuito alla sua bellezza e dignità più di qualunque predecessore.” Un riferimento, dall’intento cortigiano piuttosto palese, a Pietro Leopoldo, il cui busto –accompagnato da una grande iscrizione celebrativa- sarà aggiunto più tardi, nel 1790, a coronamento del Ricetto Lorenese (Al riguardo si veda Spalletti 2011, pp. 176-177).

[2]     Zacchiroli 1783, pp. 24-28.

[3]     Lanzi 1795-1796, p. 273, n. 121.

[4]     Lanzi 1807, pp. 49-51.

[5]     AGU, XIII (1780) a 30.

[6]     Ibidem

[7]     In una nota del 7 ottobre 1780, Pelli scrive: “Non sono ancora fissate certe cose nella Real Galleria, come sarebbe la collocazione delle lapidi latine, greche, etrusche, dei bassirilievi, dei busti dei filosofi ecc. ecc. Perché? Perché siamo troppi a comandare, e questo è il tempo che la seconda parte è considerata per prima, e che... Onde io che non voglio brighe dico con forza il mio parere, poi lascio fare, e rido.” Efemeridi, Serie II, Volume VIII (1780), pp. 1441v- 1442. L'epilogo della vicenda è noto da un'altra annotazione del 20 febbraio dell'anno seguente: “L'ingresso vecchio della Real Galleria rimane destinato per un salotto d'iscrizioni e teste di uomini illustri. Dette iscrizioni sono state distribuite nelle loro classi, ma ho sempre creduto buio il luogo, e lo credo ancora, onde senza la gesuitica opposizione dell'abate Lanzi averei ornato con dette iscrizioni l'ingresso nuovo. Esse poi nei loro spazi sono collocate miserabilmente, e si confondono insieme, né si leggono facilmente. Questi difetti gli noto per non esserne incolpato.” Ibidem, Serie II, Volume IX (1781), p. 1542v.

[8]     AGU, XIII (1780) a 30.

[9]     Efemeridi, Serie II, Volume X (1782), p. 1768.

[10]    ASF, SFF, FL, 123: “Adi 18 Febbraio 1782. Lo scrittoio delle Reali Fabbriche e Giardini deve dare a Bartolommeo Buoninsegni Per avergli scritti n. 8 cartelli sopra il legno ammannito a tempera, posti negli sgabelloni dei Busti di Marmo del Nuovo Atrio della R. Galleria rappresentanti i Ritratti dei Principi della Casa Medici, e tutti a Norma delle Composizioni del Molto Reverendo Signor Abate de Lanzi, alte dette lettere tre piccioli di Braccio, et altre alte Mezzo soldo Essendo convenuto segnarle prima per la spartizione dei Versi, Risegnarle di nuovo, con la Matita per la formazione del carattere, e poi colorite di nero col pennello, essendo stato necessario segnarle a Mano Scomodamente sul posto, Comprese alcune fatte in marmo in un peduccio di un busto, che tutti assieme sono lettere n. 2260 che a soldi 15 il Cento importano soldi 339”. Si veda inoltre Spalletti 2011, p. 67.

[11]    Galluzzi 1781.

[12]    Efemeridi, Serie II, volume IX (1781), p. 1560 v.

[13]    Lanzi 1807, 51, n. IX.

[14]    É necessario tuttavia ricordare che l'elogio di Francesco Stefano fu pubblicato nel 1824 nel secondo volume della Reale Galleria di Firenze illustrata (Firenze 1824, 7): l'inserimento di questa epigrafe, insieme a quella successivamente posta al di sotto dell'effigie di Pietro Leopoldo nel Ricetto lorenese (Ibidem, 8),mira verosimimilmente ad esaltare i “magnanimi Austriaci” succedutisi ai Medici al governo della Toscana e “che noi han posto nel colmo della più desiderevole felicità” (Ibidem, 1).

[15]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 50.

[16]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 48.

[17]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 47.

[18]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 45.

[19]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 49.

[20]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 43.

[21]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 42.

[22]    BGU, Ms.113, n. 11.

[23]    BGU, Ms.175, n. 342.

[24]    BGU, Ms.381, n. 36.

[25]    Pieraccini 1910, p. 64

[26]    Firenze, Inventario Soprintendenza Beni Artistici e Storici, n. 7: “Busto di Don Lorenzo dei Medici. Guarda a sinistra: ha i capelli a zazzera, basette e pizzo al mento. E’ vestito di ferro, porta un collaretto di tela steso al collo, ed un manto a tracolla, il quale dalla spalla sinistra scende sotto il braccio destro. E’ in marmo bianco con peduccio in marmo mistio giallastro”.

[27]    Langedijk 1981-1987, II (1983), pp. 922-923, n. 12; si veda inoltre D. Pegazzano in L’arme e gli amori 2001, p. 132, n. 15.

[28]    Langedijk 1981-1987, II (1983), p. 924, n. 13.

[29]    D. Pegazzano in L’arme e gli amori 2001, 131, n. 14.

[30]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 41.

[31]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 51.

[32]    AGU, 1825, a 2.

[33]    Ibid. “Egli infatti, oltre all'averla arricchita di ogni genere di monumenti, come statue, quadri, cammei, stampe, disegni, e medaglie d'oro e d'argento in gran numero, eresse di nuovo la bella sala, ove i capi d'opera della pittura Toscana riuniti ed apposti a buon lume si son come rivestiti di nuova bellezza, con grande ammirazione e diletto del pubblico, e specialmente dei culti forestieri; fondò una piccola ma preziosa galleria di Toscane sculture; e provvide alla proprietà ed eleganza del locale con le vernici dei pavimenti, con tappeti nei gabinetti, con le nuove basi pei busti de' Cesari, e con altre consimili ordinazioni”.

[34]    Langedijk 1981-1987, II (1983), p. 1154, n. 25.

[35]    Sul busto di Lorenzo il Magnifico si vedano Langedijk1981-1987, II (1983) pp. 1163-1164, n. 30 con bibliografia precedente; I. Dalla Monica in Itinerario Laurenziano 1992, 12-13, n. 2; A. V. in Borgia 2002, p. 104 n. I. 43

[36]    Langedijk 1981-1987, II (1983), pp. 1164-1165, n. 31. Si veda inoltre Warren 1998,  in particolare p. 6.

[37]    Langedijk 1981-1987, II (1983), pp. 1154-1156, n. 26.

[38]    Ibid, pp. 1158, n. 26b.

[39]    Opere 1825, I, III-VII.

[40]    Fabbroni 1798, p. 11.

[41]    “Quoique ces deux Bustes appartiennent à la Maison des Medicis, il ne paroit pas que le second surtout ait contriubue à l’embellissement de la Galerie” Galerie 1810, p. XII. Tale giudizio - posto fra parentesi insieme alla menzione dei due busti - è riportato anche nell’edizione del 1813 (p.13), per poi sparire in quella edita nel 1816 (p. 13, ove rimane solo il riferimento ai due busti senza il secondo segno di parentesi).

[42]    Inv. 90S.

[43]    BGU, Ms.113, n. 34

[44]    BGU, Ms.175, n. 334.

[45]    Inv. 360S.

[46]    Rispettivamente, Inv. 75S e Inv. 117S.

[47]    Inv. 62S.

[48]    AGU, 1827, a 44.

[49]    L'ultimo riferimento è presente nella guida di Galleria del 1825 (Galerie 1825, p. 15), evidentemente approntata prima degli spostamenti qui descritti.

[50]    AGU, f. 1827 a 44.

[51]    Galerie 1832, p. 15.

[52]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 40.

[53]    AGU, 1865 a 6.

[54]    Si veda il verbale relativo, AGU, ibidem.

[55]    AGU, ibidem, 19 gennaio 1865.

[56]    Inv. OdA 1911, n. 361.

[57]    Si veda ad esempio Catalogo 1875, p. 8.

[58]    Si veda ad esempio Pieraccini 1897, p. 16. Il dato è ripetuto nelle edizioni successive: anche in questo testo gli altri encomi sono erroneamente tutti attribuiti al Lanzi.

[59]    Ridolfi 1895-1896, 171; Idem 1906, pp. 9-10.

[60]    Ibidem.

[61]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 46.

[62]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914 n. 44.

[63]    Ridolfi 1895-1896, pp. 171-172.

[64]    AGU, 1896, N.2, Ins. 14.

[65] Nella galleria fotografica (Fig. 16) si riporta una tabella relativa ai riscontri da inventari e guide Gli inventari sono contrassegnati dalla sola indicazione dell'anno: i numeri d'inventario riportati in corsivo indicano una collocazione nell'Antiricetto. Le guide di Galleria sono invece contrassegnate dall'anno e dal nome dell'autore o del titolo ( Z= Zacchiroli; C= Catalogue de la royale galerie de Florence...; R = Rigoni; P= Pieraccini): i numeri romani riportati sono i numeri d'ordine con cui i busti sono registrati nelle guide. Si è scelto di riportare nella tabella unicamente le Guide che fanno menzione dei busti ordinandoli numericamente.

[66]    La numerazione posta all’inizio di ciascun elogium è quella riportata da Zacchiroli 1783, pp. 24-28.

[67]    Zacchiroli 1783, pp.24-25, n. I; Lanzi 1807, p.49, n. I.

[68]    La linea risulta assente in Lanzi 1807.

[69]    Errato: in Zacchiroli 1790, p.44 è riportata la forma “ornamenta”  ed in Lanzi 1807 la forma “ornamento”, che qui si preferisce.

[70]    Lanzi 1807 riporta “eius”.

[71]    Lanzi 1807, p. 49, nota ad loc.: “Imagines ecc. Vultus clarorum hominum a Jovio collectos jussit exprimere Christophorum dell’Altissimo, eosq. In Museo dedicavit”.

[72]    Sulla Serie Gioviana, si veda De Luca 2009, in particolare le pp. 19-23 e 27-30.

[73]    Zacchiroli 1783, p.25, n. II; Lanzi 1807, p.49, n. II.

[74]    Sulla decorazione della Tribuna ad opera di Francesco I, si veda Conticelli 2016.

[75]    Zacchiroli 1783, pp. 25-26, n. III; Lanzi 1807, p. 50,  n. III.

[76]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 294.

[77]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 216; Lanzi 1807, p. 50 nota ad loc.: Symplegma etc. La lotta”.

[78]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 230.

[79]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 307. In merito all'interpretazione del fregio figurato del Vaso Medici, si veda Paolucci 2018, p. 174 e pp. 180-192.

[80]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 224; Lanzi 1807, 50 nota “Veneris Quae nunc in Gallia”.

[81]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 229.

[82]    Bocci Pacini 1989, p. 222.

[83]    Capecchi – Paoletti 2002, 8. Si veda inoltre Spalletti 2011, pp. 15-89 passim.

[84]    Lanzi 1782, 175: “L'Apollino appoggiato a un tronco è nuovo dono, che S. A. R. fece a Firenze, quando l'arricchì della Niobe”.

[85]    Capecchi – Paoletti 2002, p. 19. Si veda inoltre Spalletti 2011, p. 55: Pelli annota l’arrivo dell’opera il 31 ottobre 1780 (Efemeridi VIII, c. 1466, 1 Ottobre 1780).

[86]    Zacchiroli 1783, p. 26, n. IV; Lanzi 1807, 50, n. IV.

[87]    Errato: la forma corretta “coeptum” è riportata in Zacchiroli 1790, 46 ed in Lanzi 1807,p.  50, n. IV.

[88]    Camporeale 2000, 21. Sulla pubblicazione del De Etruria regali, si veda Cristofani 1978.

[89]    Su sir Robert Dudley si veda l’agile profilo in Paolucci-Romualdi 2010, 94-96. In merito al contrasto tra Dempster e Dudley, si veda invece  Leighton-Castelino 1990, 349-350: convinto che Dudley lo avesse denunciato all'inquisizione ed avesse diffuso voci calunniose su di lui e sua moglie, Dempster sarebbe arrivato a minacciarlo con una spada, rifiutando in seguito di presentare le proprie scuse.

[90]    Gialluca 2014, p. 283.

[91]    Zacchiroli 1783, p. 27, n. V; Lanzi 1807, p. 27, n. V.

[92]    In Lanzi 1807 è presente la forma “hereditate”.

[93]    Lanzi 1807, 50, nota “Porticum Helvetiam. Vulgo: la loggia de’ Lanzi”.

[94]    Pelli 1779, I, pp. 234-244.

[95]    Firenze, Museo Archeologico Nazionale, Inv. MAF n. 1637.

[96]    Firenze, Galle Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1890 nn. 1615, 3342.

[97]      Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Rispettivamente Inv. 1890 n. 1706 e n.1450.

[98]    Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1890 n. 1437.

[99]    Zacchiroli 1783, 27-28 n.VI ; Lanzi 1807, 51 n. VI.

[100]  In Lanzi 1807 è presente la forma alternativa “nomismata”.

[101]  In Lanzi 1807 risulta assente il “-que” enclitico.

[102]  In Lanzi 1807 risultano assenti le parole “imagines miniacas formas” e l’impaginazione del testo restante appare diversa: l’iscrizione risulta distribuita su nove linee anziché dieci –con l’eccezione della linea su cui si trova il solo numero romano d’ordine- ed il testo presente alle linee 5-9 di Zacchiroli 1783 è ordinato in modo differente rispetto alle corrispondenti linee 5-7 di Lanzi 1807, riportate di seguito: “ITEM PICTORVM MAXIME EMINENTIVM TABVLAS/ QVEIS SVAM QVISQVE/ EFFIGIEM ATQVE ARTEM EXPRESSERAT”.

[103]  Sui missilia e sulla loro distribuzione in età imperiale, si veda Simon 2008.

[104]  Pelli 1779, I, p. 256 e n. 316.

[105]  Pelli 1779, I, pp. 256-258 e Idem, II, pp. 195-197, nota CXXIII.

[106]  Zacchiroli 1783, p. 28 n. VII; Lanzi 1807, p. 51 n. VII.

[107]  Errato: la forma corretta “translata” è riportata in Zacchiroli 1790, 47 ed in Lanzi 1807.

[108]  Si veda al riguardo Paolucci 2017.

[109]  Meijer 2013, 19.

[110]  Si veda al riguardo Paolucci 2011.

[111]  Spinelli 2003, pp. 262-264.

[112]  Spinelli 2003, p. 334; Si vedano inoltre Paolucci 2010 e Romualdi 2010 e, da ultimo, Muscillo 2016

[113]  Pollard 1983, p. 284.

[114]  Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1914, n. 350.

[115]  Pollard 1983, p. 272.

[116]  Pollard 1983, p. 284.

[117]  Zacchiroli 1783, p. 28, n.VIII; Lanzi 1807, p. 51, n. VIII

[118]  Sulla pubblicazione del Museum Florentinum  si veda Balleri 2005.

[119]  La numerazione riferita a ciascun elogium è quella attuale, riportata sui basamenti su cui poggiano i busti.

[120]  In mancanza di altre fonti, il testo dell’elogium è stato ripreso dall’iscrizione sul sostegno del busto.

[121]  Cic. Brutus, 239: “Meus autem aequalis Cn. Pompeius vir ad omnia summa natus maiorem dicendi gloriam habuisset, nisi eum maioris gloriae cupi ditas ad bellicas laudes abstraxisset.”

[122]  Garin 1952, p. 894: “Vir ad omnia summa natus, et qui flantem reflentemque totiens fortunam usque adeo sit alterna velificatione moderatus, ut nescias utrum secondi rebus constantior an adversis aequo ac temperantior apparuerit”.

[123] AGU f. 1827, a 44.

[124]  AGU f. 1827, a 44.

[125]  Vedi nota 32.

[126]  Barocchi 1983, p. 130.

[127]  Pieraccini 1897, p. 16.

[128]  Prisco-De Vecchi 1966, p. 95, nn. 55-56.

[129]  AGU, filza 1853, a 55 “Conti di Manifattori per la montatura del museo etrusco”, a 68 “Pini Carlo, Serafini Pasquale. Gratificazione ottenuta per la montatura del museo etrusco”.

[130]  Guida 1860, pp. 88-89.

[131]  Ibidem, pp. 90-91.

[132]  Il numero d’ordine in cifre romane che precede le iscrizioni relative alle due granduchesse è quello che è attualmente tracciato sui rispettivi sostegni in Galleria. 

[133]  Lanzi 1807, p. 51, n. IX.

[134]  Fileti Mazza-Tomasello 2008, pp. 21-22.

[135]  Heikamp 1969.

[136]  Sulle modalità realizzative dell'opera si veda Muscillo in corso di stampa.

 

Abbreviazioni

AGU: Archivio della Galleria degli Uffizi, Firenze.

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BGU: Biblioteca della Galleria degli Uffizi, Firenze.

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