Apollo e Dafne
Ignoto, ambito fiorentino
iscrizione sul recto (mano ottocentesca), e sul verso del foglio di supporto (mano moderna)
Il disegno, eseguito a sanguigna, si incentra sulla scena più carica di pathos del mito di Apollo e Dafne raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi (I, 452-567). Nell’antefatto Apollo, trafitto da una freccia d’oro di Cupido, si innamora perdutamente della bella ninfa Dafne, mentre la stessa rifiuta il suo sentimento, mantenendosi devota alla dea Diana. Ovidio descrive dapprima le lusinghe di Apollo e poi, a fronte dell’opposizione di Dafne, l’inseguimento disperato tra i due “come quando un cane di Gallia scorge in campo aperto una lepre, e scattano l’uno per ghermire, l’altra per salvarsi”. Il momento del mito rappresentato in questo foglio inizia ora: Apollo incombe alle spalle della fuggitiva la quale esaurite le forze, implora le correnti del Peneo, suo padre, di annientare “mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui”. E mentre ancora Dafne lo sta implorando – come sottolinea la postura con le braccia e lo sguardo rivolti verso il cielo – inizia la sua metamorfosi in pianta di alloro, descritta qui con la sola trasformazione delle mani in tronchi, mentre Apollo che non l’ha infatti ancora raggiunta assiste impotente alla perdita della sua amata.
Per quanto il foglio riporti sia sul verso sia sul recto il nome di Giovanni Mannozzi – noto anche come Giovanni da San Giovanni – la critica si è espressa in via dubitativa, preferendo ricollegare il disegno alla mano di un autore ignoto del XVII secolo, probabilmente di ambito fiorentino, per la leggerezza del tratto con cui sono stati raffigurati personaggi e il paesaggio. Il foglio è giunto agli Uffizi all’interno di un nucleo di circa cento disegni e acqueforti donati nel 2020 da Carlo Pineider Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi nel marzo 2020.