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Cammeo con i ritratti di Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e i figli

Giovanni Antonio de’ Rossi (Milano 1513 – Roma post 1575)

Data
1558 – 1562
Tecnica
Agata
Dimensioni
18,8 x 17 cm
Inventario
inv. Bg. 1917 (VII), n. 1

Nel cammeo sono raffigurati Cosimo I de’ Medici (1519 – 1574), allora duca di Firenze, la moglie Eleonora di Toledo (1519 – 1562) e i figli Francesco (1541 – 1587), Ferdinando (1549 – 1609), Giovanni (1543 – 1562), Garzia (1547 – 1562) e il piccolo Pietro (1554 – 1604), che non arriva neppure alla vita della madre e gioca con il Toson d’oro; sovrasta tutti la Fama alata che dà fiato alla tromba.

Il “cammeo grandissimo” è citato da Giorgio Vasari che nel descrivere la composizione include anche le figlie femmine di Cosimo, Isabella (1542 – 1576) e Lucrezia (1545 – 1561) e indica la presenza di una “Fiorenza”, ossia un’allegoria della città, nel tondo oggi vuoto sorretto da Cosimo e Eleonora. A Vasari è stato anche attribuito un disegno, conservato nel Christ Church College di Oxford, che mostra il cammeo con l’aggiunta della catena del collare del Toson d’oro e di due studi alternativi, sul lato destro e sul lato sinistro, per la montatura finale dell’onice in un raffinato lavoro di oreficeria di gusto manierista.

Discrepanze non facilmente spiegabili fra l’aspetto attuale del cammeo, la descrizione vasariana, il disegno di Oxford e le registrazioni inventariali hanno dato luogo alla formulazione di varie ipotesi. Quel che è certo e documentato è il lungo lavoro del celebre intagliatore milanese Giovanni Antonio de’ Rossi al servizio di Cosimo dal 1556, che vi lavorava nel 1559 e ancora nel 1562 a Roma dove si era trasferito. Di sicuro il cammeo era a Firenze nel 1562 e pochi anni dopo (1589) ebbe un posto di rilievo in Tribuna dove fu collocato di fronte al grande cammeo con Antonino Pio che sacrifica alla Dea Speranza, oggi al Museo Archeologico di Firenze, a simboleggiare la gara fra gli artisti del Rinascimento e gli antichi e a istituire un paragone fra l’oculato e mite imperatore romano e Cosimo, duca di Firenze.

Testo di
Maria Sframeli
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