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De civitate Dei di Sant’Agostino

Aurelio Agostino di Ippona (Tagaste 354 - Ippona 430)

Data
1470
Collezione
Libri e Archivi
Collocazione
Biblioteca degli Uffizi
Tecnica
Volume a stampa
Dimensioni
h.41
Inventario
G-3 n. 149
Iscrizioni
note manoscritte di rimando ai capitolo in inchiostro rosso

Aurelio Agostino nacque nel 354 a Tagaste, nella Numidia. Il padre Patrizio era un piccolo proprietario terriero ancora legato al Paganesimo, la madre Monica era una fervente cristiana. Nella giovinezza frequentò le scuole a Tagaste e a Cartagine dedicandosi agli studi di retorica. Prima di seguire la fede cristiana aderì a varie correnti filosofico-religiose: si accostò alla dottrina dei Manichei e nel 383 recatosi a Roma fu influenzato dallo scetticismo. Nel 384 ottenne a Milano una cattedra di eloquenza e tre anni dopo ricevette il battesimo dal vescovo Ambrogio. Tornato in Africa divenne prete e vescovo di Bona, allora Ippona; morì nel 430 e fu subito considerato santo avendo acquisito già in vita una grande notorietà. Sant’Agostino fu senz’altro il maggior rappresentante della Patristica che è la filosofia dei Padri della Chiesa, cioè di coloro che hanno elaborato i primi dogmi. Agostino è detto il Dottore della Grazia perché da lui fu formulato questo dogma, la dottrina si rivolge soprattutto alla soluzione del rapporto fra ragione e fede cristiana stabilendo i limiti dell’intelletto umano e delle sue capacità; la Verità non può essere raggiunta dalla Ragione per la sua limitatezza, solo la Fede può condurre l’uomo alla Verità, l’illuminazione divina è una luce che l’anima riceve da Dio, una fiamma alla quale si accende la singola lampada spirituale di ogni individuo.

Il trattato apologetico De civitate Dei (che si compone di 22 volumi) fu scritto da Sant’Agostino gli ultimi anni della sua vita fra il 413 e il 426 per difendere il Cristianesimo dall’accusa dei pagani di costituire la causa della rovina dell’Impero, accusa rinnovata con forza dopo il sacco di Roma da parte di Alarico (410). Influenzato dal Manicheismo, Agostino concepisce la storia come il risultato della lotta fra bene e male, cioè del contrasto fra la società dei buoni e degli empi, fra la città celeste o di Dio e la città terrena o del Diavolo. Le due città hanno un corrispettivo in cielo e precisamente nelle schiere degli angeli ribelli e in quelli rimasti fedeli a Dio. Il corrispettivo sulla terra è legato alle figure di Caino e Abele: la Civitas Terrena, ossia la città della carne e del diavolo, fondata da Caino; e la Civitas Dei, ossia la città dello spirito, la città celeste fondata da Abele. Il cittadino della città terrena sembra essere il dominatore, il cittadino della città celeste, invece, vive come un pellegrino in cammino verso la Gloria di Dio. Le due città coesistono da sempre e saranno divise solo nel giudizio finale in cui il dominatore sarà destinato all’eterna dannazione, il pellegrino all’eterna salvezza, ma già si delineano su questa terra, in quanto la città celeste è rappresentata dalla Chiesa e quella terrena dall’Impero Romano.

Il pensiero di Sant’Agostino ebbe grande diffusione nel Medioevo quando si sviluppò la massima sintesi fra pensiero cristiano e platonico. L’editio princeps del De Civitate Dei fu realizzata a Subiaco nel 1467 dai tipografi tedeschi Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz e a fine del Quattrocento furono numerosi gli stampatori che si dedicarono a quest’opera.

L’incunabolo conservato alla Biblioteca degli Uffizi fu stampato a Venezia dai fratelli tedeschi Vindelino e Giovanni da Spira. Dal colophon apprendiamo che Vindelino terminò il lavoro dopo la morte improvvisa del fratello subentrando nel 1470 a capo dell’impresa tipografica.

Questo esemplare presenta rubricazioni in rosso, capi lettere di apertura dei singoli capitoli in rosso e blu e una bellissima miniatura alla c.15 [r.] che ci testimonia come i primi incunaboli assomigliassero ancora ai manoscritti. La carta, infatti, presenta due lettere iniziali dorate su sfondo blu con cornice a girali bianchi sui tre margini e al centro del margine inferiore un clipeo con due teste maschili dalle cui bocche ha origine il fregio a motivi vegetali, La fattura delle teste maschili risente dell’influenza artistica della bottega del Pollaiuolo. L’incunabolo proveniva dal Convento dell’Annunziata e nel 1810 pervenne alla Regie Gallerie in seguito alle soppressioni napoleoniche.

Bibliografia

A. Jori, De civitate Dei, in: Dizionario delle opere filosofiche, a cura di Franco Volpi, Mondadori 2000, pag. 9; Agostino, Aurelio, Santo, s Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; E. Gilson,  Le metamorfosi della «Città di Dio» , Siena, Catagalli, 2010; G. Lettieri,  Il senso della storia in Agostino d'Ippona. Il saeculum e la gloria nel «De civitate Dei» , Roma, Borla, 1988, Ms, 211.



Testo di
Silvia Pagni
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