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Due figure maschili stanti, vestite all’antica

Jacopo di Giovanni di Francesco, chiamato Jacone (Firenze, 6 febbraio 1495-24 maggio 1554), attribuito

Tecnica
Penna e inchiostro
Dimensioni
286 x 195 mm
Inventario
n. 1061 S
Iscrizioni

 “Rex di Turchi gra[nde] Bal […] imperatore deturchi” Sul recto, a penna, lungo il margine inferiore

Nel catalogo della raccolta di Emilio Santarelli uscito nel 1870, quattro anni dopo la sua donazione alla Reale Galleria di Firenze, tra i fogli di Baccio Bandinelli figurano “Due figure di vecchi in piedi, panneggiate. Disegno a penna: carta grigia” da identificare con questo disegno. Esso appartiene a quella parte del nucleo grafico ascritto a Jacone in cui sono più evidenti i caratteri bandinelliani, anche se l’artista seppe comunque mantenere un’originale indipendenza dal modello.

La sua attribuzione si pone come una logica conseguenza rispetto al Gruppo di figure (inv. 882 F) ascritto ab antiquo a “Giacone”, con il quale infatti condivide l’andamento del tratteggio incrociato e a linee parallele, nonché certe idiosincrasie stilistiche e morfologiche, nelle mani e nei volti, derivanti da Andrea del Sarto e dal Pontormo, e, soprattutto, la bidimensionalità della composizione, risolta in superficie piuttosto che scandagliata in profondità.

Un certo accademismo più raggelato del segno, che risulta meno convulso e più calligrafico, potrebbe essere collegabile a una derivazione da un prototipo ricopiato. Vengono in mente le facciate dipinte di Polidoro da Caravaggio e di Maturino da Firenze, che Jacone andò a studiare a Roma (insieme forse agli affreschi romani di Perino del Vaga), per poi tornare a Firenze arricchito di un’esperienza che mise a frutto in talune storie di chiaroscuro celebrate da Vasari.

D’altro canto, anche in questo foglio, sono presenti quelle caratteristiche evidenziate dallo stesso Vasari circa lo studio e l’elaborazione di posizioni e di atteggiamenti, che appaiono spesso piuttosto forzati: “[…] fu molto bizzarro e fantastico nella positura delle sue figure, stravolgendole e cercando di farle variate, differenziate dagl’altri in tutti i suoi componimenti; e nel vero ebbe assai disegno, e quando volle imitò il buono” (Vasari 1568, Bettarini-Barocchi, V, 1984, p. 403).

 

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