Felsina pittrice. Vite de pittori bolognesi
Carlo Cesare Malvasia (Bologna 1616-1693)
Il conte Carlo Cesare Malvasia, bolognese, ebbe un ingegno versatile ed una vasta istruzione che spaziò dall’apprendistato di pittore - da cui derivò la sua ottima conoscenza dell’ambiente degli artisti della sua città - allo studio del diritto civile e canonico che insegnò, per ben quarant’anni, presso lo Studio bolognese. Fin da giovane, il Malvasia fu molto conosciuto anche nell’ambiente letterario della sua città per la sua produzione lirica, oggi perduta, che gli consentì di essere ammesso nell’Accademia letteraria dei Gelati, con il nome di “Ascoso”.
Negli anni Quaranta del Seicento il conte soggiornò frequentemente a Roma soprattutto per stringere contatti utili alla sua carriera in ambito legale, ma iniziò, ben presto, a farsi una buona fama anche come connoisseur e collezionista di disegni.
Malvasia guardò, quindi, con interesse, all’iniziativa di Carlo Manolessi che ripubblicò a Bologna, nel 1647, la seconda edizione giuntina delle Vite vasariane, esortando i lettori ad aggiornare l’opera del Vasari e a far conoscere le biografie di artisti operanti in altre località della penisola. In seguito, la pubblicazione di opere come le Maraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi (1648), dedicata alle vite degli artisti veneti, lo convinsero a cimentarsi, egli stesso, in una simile impresa letteraria. Iniziò quindi a viaggiare in molte città italiane per raccogliere notizie utili al suo progetto. Negli anni Sessanta del Seicento si recò più volte anche a Firenze, presso il Cardinal Leopoldo de’ Medici, per delle attività di expertise su alcuni disegni della collezione granducale ed entrò in contatto con Filippo Baldinucci, l’esperto incaricato di riordinare la vasta collezione di disegni del cardinale, che stava allora iniziando a lavorare alle sue Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728).
Nel 1678 il conte Malvasia riuscì finalmente a pubblicare la sua Felsina pittrice, sulle vite degli artisti bolognesi, dopo aver raccolto un’ingente mole di documenti attraverso le ricerche svolte nel corso dei due decenni precedenti.
Nella Felsina pittrice Malvasia difendeva il valore degli artisti bolognesi con un’accesa verve polemica nei confronti del Vasari, ritenuto troppo parziale nei confronti degli artisti toscani. Alcune considerazioni contenute nei primi esemplari della sua opera furono così ingenerose nei confronti di artisti come Vasari, Raffaello e Annibale Carracci da risultare sgradite al pubblico, tanto che Malvasia fu costretto a correggerle, per garantire, in seguito, il successo della sua pubblicazione.
Nonostante ciò, nella Felsina pittrice, appare evidente l’ispirazione al modello della seconda edizione giuntina delle Vite vasariane, sia per l’organizzazione generale dell’opera, sia per l’ampio ricorso all’aneddotica sugli artisti bolognesi, sia per la presenza dei ritratti degli artisti stessi, alcuni dei quali incisi su disegno dello stesso Malvasia.
Per garantire la diffusione dell’opera anche in ambito internazionale, l’ambizioso conte Malvasia dedicò la Felsina Pittrice a Luigi XIV, inviandone subito una copia a Parigi, presso la corte del re Sole, ed una presso l’ambasciatore francese a Roma.
L’esemplare dell’opera appartenente alla Biblioteca degli Uffizi è impreziosito dalle postille manoscritte del padre oratoriano Sebastiano Resta, collezionista di disegni ed esperto in materia che, secondo Prosperi Valenti, coltivò il progetto di comporre una storia dell’arte figurata attraverso volumi di disegni.