Martirio di Santa Cecilia
Orazio Riminaldi (Pisa 1593- 1630)
In quest'opera, databile tra il 1620 e il 1625, Riminaldi dimostra chiaramente di avere assimilato appieno la lezione di Caravaggio persino nella puntuale citazione di alcune sue opere, come il “Martirio di San Matteo”. La teatralità dell’impaginazione scenica, con la sapiente orchestrazione del cono di luce che investe i tre protagonisti, accentua sia la potenza espressiva del carnefice che afferra le chiome di Santa Cecilia per scoprirne il collo e vibrare il colpo di spada, sia il dinamismo dell'angelo che si precipita verso la martire per omaggiarla con i simboli della santità e del martirio. Su questo impianto di stretta osservanza caravaggesca l'artista innesta spunti d’indirizzo decisamente classicista, tratti da Simon Vouet e Guido Reni, ravvisabili nella raffinata mondanità delle sontuose vesti di broccato e nella tenera sensualità della martire.
La tela era originariamente destinata alla chiesa di Santa Maria della Rotonda al Pantheon a Roma ma, per ragioni forse legate ad un pagamento non onorato da parte del capitolo della chiesa, fu trattenuta dallo stesso artista che la portò con sé a Pisa nel 1627 e alla sua morte la lasciò ai suoi eredi che la collocarono nella chiesa di Santa Caterina. Nel 1693 fu acquistata dal Gran Principe Ferdinando de' Medici per la sua raccolta e sistemata negli appartamenti al primo piano di Palazzo Pitti. In quest’occasione la tela fu allargata su tre lati per essere adattata all’imponente cornice di cui è tuttora dotata.