Sacra Conversazione (detta anche Sposalizio di santa Caterina, o Pala Pitti)
Fra Bartolomeo (Firenze 1473- 1517)
Eseguita nel 1512 per l’altare di santa Caterina nella chiesa domenicana di San Marco a Firenze, questa pala d’altare presenta una composizione imponente, con quindici figure intorno alla Vergine col Bambino, appena sceso dalle sue braccia per consegnare l’anello a Santa Caterina da Siena, inginocchiata a sinistra. L’unione mistica è testimoniata dai santi che circondano la scena in ordinata simmetria: Caterina d’Alessandria, Maurizio, in armatura, e Bartolomeo, con il caratteristico coltello. Alle loro spalle, i fondatori dell’ordine domenicano e i principali santi martiri cristiani, Pietro, Paolo e Stefano. Quattro angiolini in alto sollevano il tendaggio del baldacchino, che oggi vediamo sormontato da una copertura a pagoda, aggiunta a fine Cinquecento per adattare la pala ad un nuovo altare; due angeli musicanti completano in basso l’andamento circolare della scena.
La tavola fu portata a Palazzo Pitti nel 1690 per volere del gran Principe Ferdinando, il quale, come era suo uso, donò una copia a mo’ di risarcimento ai domenicani di San Marco, affinché l’altare nella chiesa non restasse vuoto. La copia fu eseguita da Anton Domenico Gabbiani, che intervenne anche sull’originale, ampliandone la fascia superiore dove dipinse un’ideale prosecuzione del vano architettonico. Questa operazione era necessaria per consentire l’allestimento della pala tra le pareti di Palazzo Pitti, entro una monumentale cornice a bastoni bordati di grandi foglie, eseguita da Giuseppe Magni, analoga a quelle che adornano le due Assunte di Andrea del Sarto, la Pala Dei di Rosso, la Madonna del Baldacchino di Raffaello, l’Immacolata di Luca Giordano, il Martirio di Santa Cecilia di Orazio Riminaldi e altri quadri ancora. Insieme alla Pala della Signoria, iniziata due anni prima e lasciata incompiuta (Firenze, Museo di San Marco), la Pala Pitti è il dipinto in cui più si comprende quanto Fra Bartolomeo si ispirasse ai modelli di Raffaello, come denuncia il confronto con la Madonna del Baldacchino (anch’essa esposta in Galleria Palatina, nella Sala di Saturno) da cui derivano l’impianto scenografico, le pose dei santi e il loro dialogo intenso di sguardi. Al contempo le figure centrali della Madonna e del Figlio evocano la dolcezza di gesti, intima e naturale, che il pittore urbinate aveva saputo infondere alle sue Madonne col Bambino e alle Sacre Famiglie fiorentine. Intorno al 1512 questa pala rappresentava un compendio delle esperienze artistiche del frate domenicano, aggiornato come si è detto non solo sui dipinti di Raffaello, ma anche su quelli di Leonardo e della pittura veneziana, studiata al tempo del soggiorno in Laguna, intorno al 1508. Il restauro del 1996 ha restituito la ricca gamma cromatica in precedenza gravata dall’imbrunimento progressivo di strati di vernice, che le conferivano un’apparenza abbassata e monocorde. L’effetto che ne risultava incise anche sui giudizi dei conoscitori dei secoli passati, condizionati questi ultimi anche da quanto scritto da Giorgio Vasari nelle ‘Vite’, dove si legge che fra Bartolomeo “si valse assai d’imitare in questo colorito le cose di Lionardo, e massime negli scuri, dove adoprò fumo da stampatori e nero d’avorio abruciato’.