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Autoritratto

Raffaello Sanzio ( Urbino 1483 - Roma 1520 )

Data
1506
Collezione
Pittura
Collocazione
C1. Autoritratti - Dalle origini al Seicento
Tecnica
Olio su tavola
Dimensioni
47,3 x 34,8 cm
Inventario
1890 n. 1706

In questo dipinto è stato riconosciuto l’autoritratto di Raffaello Sanzio giovane anche sulla scorta del confronto con l’altro autoritratto del pittore visibile nell’affresco raffigurante la Scuola d’Atene nella stanza della Segnatura in Vaticano eseguito tra il 1509 e il 1511 su incarico di Papa Giulio II. Nonostante siano realizzati con tecniche diverse, in entrambi i ritratti l’artista si rappresenta con identiche fisionomia ed espressione, la pettinatura e il taglio dei capelli sono quelli tipici del paggio di corte del Rinascimento e il cappello scuro, della foggia poi detta “raffaella”, è quello usato in genere dai pittori così come la veste scura da cui spunta appena la camicia bianca: è la semplice tenuta da lavoro, volutamente allusiva al suo mestiere, che in questo modo egli orgogliosamente dichiara. Gli occhi scuri e i lineamenti aggraziati sono una conferma del giudizio entusiastico che Vasari, nelle Vite, esprime sul maestro urbinate, del quale esalta “grazia, studio, bellezza e ottimi costumi”, oltre alla perfezione nell’arte, paragonata a quella dei pittori Zeusi e Apelle, ricordati dalle fonti come i più grandi del mondo classico.

L’autografia del dipinto è stata definitivamente stabilita dalle indagini condotte su di esso nel 1983, in occasione della mostra per il centenario della nascita di Raffaello, allestita a Palazzo Pitti. Si ebbe modo allora, attraverso le riflettografie, di visualizzare il disegno preparatorio e la stesura del colore, tecnicamente molto raffinata e costituita da brillanti velature poste per trasparenza su fondo bianco. Questi elementi comprovano l’interesse dell’artista per la coeva pittura fiamminga, molto apprezzata alla corte di Urbino, dove avevano soggiornato famosi pittori nordici come Giusto di Gand e Pedro Berruguete.

La fortuna di questo dipinto è certamente connessa al mito di Raffaello, celebrato in vita e quasi mitizzato, per la morte precoce, avvenuta nel 1520 a soli trentasette anni.

I documenti giunti fino a noi permettono di appurare che l’opera proviene da Urbino, città natale di Raffaello, dove essa si trovava fino al 24 settembre 1652, nella “camera” di Vittoria della Rovere, figlia dell’ultimo duca di Urbino e di Claudia de’ Medici. È plausibile che i signori di Urbino avessero voluto nella loro ricca collezione l’effigie di Raffaello: egli infatti non solo era sommo pittore ma motivo di orgoglio e gloria per la città che gli aveva dato i natali. Vittoria della Rovere, promessa sposa ancora bambina al cugino Ferdinando II de’ Medici, negli anni trenta del ‘600 portò in dote a Firenze i massimi capolavori della collezione di famiglia. L’autoritratto è poi registrato (1663 – 1667) fra i “Ritratti dei pittori fatti di lor propria mano” collezionati dal cardinale Leopoldo dei Medici, primo nucleo della grande raccolta degli Uffizi da lui voluta, tuttora esistente ed incrementata, oltre che famosa nel mondo per essere la più ricca e numerosa nel suo genere.

Sebbene non si abbiano certezze su come il dipinto sia giunto in possesso del cardinale, è ragionevole pensare che si tratti di un dono della cognata Vittoria della Rovere, piuttosto che ipotizzare un presunto acquisto del prelato dall’Accademia di San Luca in Roma.

Testo di
Simona Pasquinucci
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