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Rinaldo impedisce il suicidio di Armida

Cesare Dandini (Firenze 1596 – 1657)

Data
1635
Collezione
Pittura
Collocazione
D30. Epica fiorentina
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
185 x 203 cm
Inventario
1890 n. 3823

L'opera apparteneva ad un ciclo di diciannove dipinti ispirati ai poemi di Ovidio, Ariosto e Tasso, commissionati dal cardinale Carlo de’ Medici e destinati a ornare il suo appartamento nel Casino di San Marco. L’episodio raffigurato è narrato nell’ultimo canto della Gerusalemme liberata, incentrato sulla terribile battaglia tra i Crociati e l’esercito egiziano nel corso della quale Rinaldo e Armida si sfidano a duello. La maga, dopo aver tentato invano di colpire il giovane guerriero di cui è ancora innamorata, decide di darsi la morte con la stessa freccia utilizzata per il combattimento. Rinaldo le afferra il braccio e “da tergo ei le si avventa/ che già la fera punta al petto stende. Si volse Armida e 'l rimirò improviso, ché no 'l sentí quando da prima ei venne: alzò le strida, e da l'amato viso torse le luci disdegnosa e svenne”. La drammatica concitazione dei versi del Tasso trova riscontro puntuale nella pittura di Dandini, nella quale i personaggi a grandezza naturale si muovono in primo piano come evocando gli eroi di quel melodramma che sul volgere del secolo muoveva i suoi primi passi a Firenze, nell’ambiente colto e raffinato della Camerata de’ Bardi. Il tono drammatico delle espressioni, la posa teatrale delle figure, la preziosità della materia pittorica, ricca di effetti cromatici e di luce, e i raffinati dettagli d’ornato, riflettono gli orientamenti dell’arte fiorentina del primo Seicento, fortemente ispirata dalle armonie del “recitar cantando”. La tela giunse nelle gallerie fiorentine nel 1913, proveniente da collezione privata.

Cornice del XX secolo

Testo di
Anna Bisceglia
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