Ritratto di Pietro Aretino
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore 1488/90 – Venezia 1576)
Il ritratto di Pietro Aretino fu eseguito da Tiziano agli inizi del 1545, e venne successivamente donato dal poeta toscano, committente del dipinto, al duca Cosimo I de’ Medici, nell’ottobre dello stesso anno. Noto scrittore e cortigiano del Cinquecento italiano, l’Aretino visse prima a Roma alla corte papale, negli anni venti, e successivamente a Venezia, dove divenne celebre per i suoi scritti ricchi di ingegno ed acume, e al contempo temuto a causa del carattere violento e satirico, e della penna schietta e polemica con cui recensiva anche personaggi illustri e potenti e per cui venne definito da Ludovico Ariosto “il flagello de’principi”. Tiziano riesce qui a coglierne i tratti precipui del suo carattere, ritraendolo in una posa dal piglio orgoglioso e risoluto, con la lunga barba che ne accentua l’aspetto virile, una pesante catena d’oro al collo e l’ampio soprabito color rosso, il “robone”, che ne avvolge la mole imponente. E' una pittura potente, di timbro michelangiolesco, che a buon diritto rientra tra i capolavori della ritrattistica di Tiziano, esempio della sua ultima produzione, quando il pittore sperimentava una resa “abbozzata” della materia pittorica come qui rivelano le incompiutezze del manto, splendido sì nelle pieghe e nei riflessi del tessuto, ma scarsamente rifinito. Questa licenza esecutiva, nota dunque come il ‘non finito’ dell’ultimo Tiziano, non sembrò esser tuttavia compresa dall’Aretino che, seppur amico ed estimatore del pittore, lo accusò di aver lavorato in fretta. In una lettera a Cosimo de’ Medici così commentò il quadro: “Certo [questa mia sembianza] respira, batte i polsi e muove lo spirito nel modo ch’io mi faccio in la vita; et si più fossero stati gli scudi, che glie ne ho dati invero [a Tiziano], e drappi sarieno più lucidi, morbidi e rigidi”, insinuando scherzosamente-col suo abituale tono graffiante-che Tiziano dipingesse in proporzione ai soldi ricevuti!