Venere che pettina Amore
Giovanni Mannozzi detto Giovanni da San Giovanni (San Giovanni Valdarno 1592 – Firenze 1636)
La tela propone una fra le più originali rappresentazioni di Venere presenti nelle arti figurative. La divinità dell’amore è seduta al centro di un paesaggio oscuro e roccioso e, come una madre premurosa, pettina suo figlio Cupido aprendone la folta chioma con un pettine fitto alla ricerca di eventuali pidocchi. La scena, all’apparenza permeata di domestica e affettuosa semplicità, doveva probabilmente nascondere un qualche significato più irriverente se già il biografo secentesco Filippo Baldinucci riferisce, con parole che non lasciano dubbi, come il dipinto procurò un certo scandalo per il suo soggetto: “…Rappresentò in uno una Venere, in atto di pettinare il suo figliolino Amore, ed a chi forte il riprese dell’avere nella sua opera rappresentata cosa troppo vile e sordida, anzi che nò, diede al suo solito una argutissima risposta ma non tale da potersi senza offesa d’una decorosa civiltà raccontare…”. Nella raffigurazione della scena non sorprendono pertanto gli accenti arguti di cui l’arricchisce il pittore: la camicia sensualmente calata sulla spalla di Venere e Amore, che solo le due alucce appuntate sulle spalle distinguono da un monello, che ci mostra la schiena. Nel 1769 il dipinto fu inventariato agli Uffizi con il titolo di “Venere che spidocchia Amore”, definizione che negli anni successivi divenne “Venere che pettina Amore” quando non addirittura “Le cure materne”.
L’opera, sicuramente di committenza medicea, è descritta per la prima volta in un inventario datato 1637 della villa di Mezzomonte di proprietà del principe Giovan Carlo de’ Medici e rimase in possesso del principe fino alla sua morte. Questa notizia documentale smentisce quanto riportato dal biografo Baldinucci che riferisce del dipinto come realizzato su committenza del principe don Lorenzo de’ Medici, ma conferma l’apprezzamento di questo artista presso i vari membri della famiglia. Giovanni da San Giovanni ottenne infatti commissioni sia per opere su tela che per pitture ad affresco dalla principessa Cristina di Lorena, dai già citati principi Don Lorenzo e Giovan Carlo e dai granduchi Cosimo II e suo figlio Ferdinando II, a cui il pittore deve la committenza della sua impresa più prestigiosa, la decorazione della sala dell’Udienza dell’Appartamento d’estate a Palazzo Pitti.