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San Girolamo nel deserto

Giovanni Battista Cima da Conegliano (Conegliano 1459/1460-1518)

Data
1510-1520 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
B4. Giovanni Bellini
Tecnica
Olio su tavola
Dimensioni
33 x 27,5 cm
Inventario
Contini Bonacossi n. 19

Rispetto alle precedenti versioni del tema di San Girolamo nel deserto, Cima da Conegliano cambia prospettiva combinando il motivo del santo erudito con quello del penitente ed eremita. Una tale scelta era dovuta al tipo di committenza a cui si rivolgeva l’opera, interessata più che altro alla figura di San Girolamo come erudito e Padre della Chiesa. Il santo, infatti, durante il suo romitaggio nel deserto di Calcide, perfezionò la conoscenza del greco e lo studio dell’ebraico; trasferitosi a Roma nel 382 come consigliere del papa Damaso I, attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, del Salterio e di gran parte dell’Antico Testamento. Definì quindi la cosiddetta Vulgata della Bibbia, riconosciuta dal Concilio di Trento come testo ufficiale della Chiesa in lingua latina.

L’artista riesce a restituire, attraverso un’armonica fusione tra figura e paesaggio, il clima pacato di meditazione e solitudine in cui è immerso il protagonista. L’eremita, abbigliato in modo semplice, è raffigurato seduto su di una sedia ricavata in una roccia mentre consulta un libro aperto di fronte a lui. Attorno alla sua figura sono posti gli attributi tipici del santo: la penna e il calamaio, il leone addomesticato e il teschio. Quest’ultimo, posto esattamente al centro della composizione, è simbolo di vanità e penitenza.

L’opera, memore ancora delle influenze belliniane, viene considerata come la più tarda tra i quadretti del pittore che trattano questo tema. Il contatto con i maestri della nuova generazione, come Giorgione e Tiziano, è ben visibile nella resa del paesaggio rappresentato con grande cura nella resa dei particolari: un ardito scorcio con rupi aguzze punteggiate dalla vegetazione si apre su una veduta più lontana in cui le montagne trascolorano in toni azzurrini per effetto della foschia, mentre un calmo corso d’acqua scivolando increspa i morbidi declivi.

L’opera, già nella collezione veneziana dei principi Giovanelli, giunse ad Alessandro Contini Bonacossi.

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