Flora
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore 1488/90 – Venezia 1576)
La giovane donna emerge dal fondo bruno del dipinto porgendo con la mano destra un mazzo di fiori primaverili, composto di roselline, viole, gelsomini; è abbigliata all’antica, con una candida camiciola che scivola sulla spalla destra lasciando intravedere il seno, mentre reclina dolcemente la testa sulla spalla sinistra, volgendo lo sguardo fuori dallo spazio dipinto. Il suo volto, dai tratti delicatissimi, corrisponde perfettamente ai canoni della bellezza rinascimentale cinquecentesca: pelle chiara e luminosa, il rosa sulle guance, e il viso incorniciato da lunghi capelli sciolti, biondo ramati, il colore tipico delle chiome delle donne ritratte da Tiziano (da qui il termine “rosso Tiziano”).
L’identificazione del soggetto come “Flora”, la ninfa sposa di Zefiro di origine greca le cui gesta sono narrate da Ovidio, risale a Joachim von Sandrart, storiografo olandese, che nel 1635 circa vide l’opera nella collezione di don Alfonso Lòpez, ambasciatore spagnolo ad Amsterdam. Venduta da quest’ultimo all’Arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, la tela giunse poi a Firenze nel 1793 nell’ambito degli scambi di opere d’arte tra l’Imperiale Galleria del Belvedere di Vienna e i granduchi di Toscana. La celebrità di questa immagine è testimoniata dalle numerose incisioni tratte a partire dal XVI secolo.
Il dipinto si inserisce nel filone di ricerca sull’immagine della bellezza femminile aperto a inizio secolo dalla “Laura” di Giorgione datata 1506 del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Al pari delle altre raffigurazioni di donne di particolare avvenenza e sensualità che costituiscono il sottogenere della pittura nato in laguna e denominato le “Belle”, l’immagine non allude in maniera univoca a Flora, l’animatrice delle feste licenziose dell’antichità romana, bensì alla bellezza muliebre capace di unire pudicizia e voluptas.