Veduta di Castiglioncello
Giuseppe Abbati (Napoli 1836 – Firenze 1868)
Sul lato destro: “G. Abbati”
Un lungo piano sequenza accarezza luoghi noti e lungamente contemplati: la luce ha la regia della scena, articolando spazi e volumi in un equilibrio geometrico dalle lunghe pause.
Al ritorno dalla partecipazione alla III Guerra d'Indipendenza, Giuseppe Abbati, tra 1866 e 1867, trascorse lunghi periodi a Castiglioncello ospite, insieme agli amici macchiaioli, di Diego Martelli mentore e teorico del gruppo. La presa del motivo sul vero, l'indagine della luce in relazione ai volumi, la resa dello spazio in senso prospettico e in linea con quanto avevano fatto i pittori toscani del Tre e Quattrocento, erano i capisaldi della rivoluzione macchiaiola che puntava ad abbandonare convenzioni d'accademia e temi che non avessero aderenza al quotidiano. L'osservazione della natura tramite studio diretto, en plein air, era pratica già nota agli artisti della Scuola di Staggia senese, così come ai pittori della Scuola di Barbizon in Francia, e andava ad integrarsi con l'uso di uno specchio annerito che rifletteva le immagini abbassandone le tinte e risaltandone i contrasti, costringendo così all'indagine dei volumi più che dei dettagli, e della luce, più che dei colori, con un deciso processo di sintesi e astrazione. A Firenze questa prassi divenne regola e manifesto presso i pittori che intorno a metà secolo si radunavano al Caffè Michelangelo. Abbati era uno di questi, napoletano trapiantato prima a Venezia e poi a Firenze, patriota volontario già nella spedizione dei Mille durante la quale aveva perso un occhio: prima della precoce scomparsa per idrofobia, a causa del morso del suo cane, nel 1868, attraversò tutte le importanti battaglie artistiche (oltre a quelle risorgimentali) che interessarono la compagine macchiaiola: dalle discussioni al Caffè Michelangelo, alle campagne pittoriche sul litorale toscano nei dintorni di Castiglioncello, alla quiete silente della vita borghese della campagna fiorentina di Piagentina.