Venere di Urbino
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore 1488/90 – Venezia 1576)
L’ opera è una delle più celebri di Tiziano e ritrae una figura emblematica di giovane sposa in procinto di essere abbigliata per prendere parte alla celebrazione del rito noto a Venezia come “il toccamano”. Si trattava di una cerimonia a carattere domestico e non ecclesiastico durante la quale le giovani donne richieste in matrimonio, toccando la mano dello sposo, esprimevano il loro consenso alle nozze. Tiziano coglie lo spunto per dipingere una seducente Venere seguendo un’iconografia nata nel primo Rinascimento e ispirata all’antica figurazione della “Venus pudica”. La fanciulla, distesa nuda su un letto dalle lenzuola spiegazzate, guarda lo spettatore con occhi ammiccanti e allusivi, mentre con la mano sinistra nasconde il pube e nella destra tiene un mazzolino di rose, emblema della Dea e della piacevolezza e della costanza in amore. Ai piedi del letto il cagnolino addormentato – lo stesso che appare in un altro dipinto di Tiziano degli Uffizi, il Ritratto di Eleonora Gonzaga – richiama alla fedeltà coniugale. Lo sfondo mostra un ambiente raffinato, peculiare di una ricca casa patrizia della Venezia del Cinquecento. Vi sono affaccendate due ancelle: una è intenta a frugare nel cassone istoriato dal quale ha appena estratto il sontuoso abito color oro e azzurro destinato alle nozze, visibile sulla spalla dell’altra ancella in piedi a destra. Sul davanzale delle finestra, il vaso di mirto, pianta tradizionalmente legata a Venere, costituisce un ulteriore riferimento alla costanza in amore cui allude ancora il cagnolino ai piedi del letto.
In questa tela Tiziano conferma il suo straordinario talento nel conferire intensità e carattere ai personaggi, nonché una sapienza ineguagliabile nel restituire la morbidezza degli incarnati e le qualità dei materiali. Come attesta un lettera del 1538, il dipinto della “donna nuda” fu acquistato da Guidobaldo II della Rovere direttamente da Tiziano; la tela giunse poi a Firenze nel 1631 con l’eredità di Vittoria della Rovere, ultima della Casata e moglie del granduca di Toscana, Ferdinando II de’ Medici. Per lungo tempo fu esposta nella Tribuna degli Uffizi vicino alla Venere de’ Medici, probabilmente in un voluto confronto tra le due conturbanti bellezze, quella classica e ideale della statua antica e quella moderna e carnale dipinta da Tiziano.