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Marte gradivo

Bartolomeo Ammannati (Settignano 1511 – Firenze 1592)

Data
1559
Collezione
Scultura
Collocazione
Verone sull’Arno
Tecnica
Bronzo
Dimensioni
215 cm (altezza)
Inventario
1914 n. 38

La maestosa effigie, nota come “Marte gradivo” - attributo che indica la sua divinità o il suo incedere in battaglia - è tra i capolavori di Bartolomeo Ammannati, virtuoso esempio della colta assimilazione della lezione di Michelangelo palmare nell’accurata resa dell’anatomia e della torsione del busto. Rappresenta il dio Marte nell’atto di marciare alla testa di un esercito con il bastone di comando nella mano destra e la spada nella sinistra, in origine provvista della lama. Una nota di spesa del giugno 1559 dà notizia del trasporto da casa dell’Ammannati alla fonderia della Sapienza “d’una forma di terra da gittare uno Marte di bronzo”,offrendo un riferimento cronologico che porrebbe l’esecuzione del Marte al tempo in cui Ammannati era impegnato nei lavori per la Fontana grande di Palazzo Vecchio, in relazione quindi con “le molte statue di marmo e di bronzo” ricordate da Vasari come eseguite dallo scultore per Cosimo I de’ Medici. Sarebbe così possibile interpretare la scultura come la celebrazione da parte di Cosimo I di quel dio sotto i cui auspici egli era nato: Marte incarnava infatti i «valori di virtù e d’intelletto» posti da Cosimo a fondamento del suo governo, scegliendo come emblema personale il capricorno, animale caro al dio guerriero, oltre che segno zodiacale dell’Imperatore Augusto, che Bartolomeo aveva posto sotto l’alto cimiero di Marte. Le dimensioni della statua e i riferimenti al Duca di Firenze portano ad ipotizzare che fosse destinata all’esposizione in un luogo pubblico della città. Nel corso del Seicento il bronzo venne trasferito a Roma e fatto collocare dal cardinal Ferdinando de’ Medici inizialmente nella galleria e poi nello spazio antistante la loggia di Villa Medici, a pendant del Sileno con Bacco fanciullo di Jacopo del Duca. Il bronzo rientrò a Firenze nel 1797 e da allora è esposto nella Galleria degli Uffizi.

Testo di
Laura Donati
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